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 2010  luglio 19 Lunedì calendario

PAURA E UN’ETERNA ATTESA: SE LA SOCIETA’ E’ AL MINIMO

Se si guarda all’insieme della società cercando di tirarsene fuori e quindi di analizzarla come se non se ne fosse parte, si ottiene l’impressione di un corpo sociale che va al minimo. Non si è colpiti dalla debolezza di un organo, ma di ogni sua parte come si trattasse di qualcosa di sistemico e che dunque rallenta la funzionalità di tutte le sue strutture e coinvolge i singoli componenti, i suoi cittadini, impedendo all’organismo sociale di svolgere ogni attività utile. Qualcosa che ha indebolito tutta la società e il totus homo. Viene in mente la cachessia, la condizione di un corpo che va al minimo.
E chi ha vissuto nel Dopoguerra sa bene che l’Italia andava al massimo e non certo per il motore dell’economia, poiché uscivamo da una guerra che non aveva lasciato che macerie. E non si può affermare che tutta l’Europa sia al nostro stato poiché guardando alla Germania, solo per fare un esempio, si notano una accelerazione e un vigore straordinari e si tratta di un Paese che è alle prese con una unificazione difficile, poiché sta ridando alla Germania un volto unitario e non più sdoppiato e per certi aspetti antinomico.
Insomma, le società possono muoversi al massimo, oppure tenere una corsa al trotto, e ora sappiamo che possono andare anche al minimo, come se si muovessero con attenzione, con sospetto, con la sensazione di una stanchezza cronica o di un invecchiamento precoce. Giangiacomo Schiavi ha descritto ieri attraverso le lettere al Corriere i disagi e le speranze dell’Italia che fa il proprio dovere, la lotta delle formichine che si impegnano ogni giorno e si domandano quali sono le cause che fanno girare al minimo il motore dell’impegno.
La nostra è una società in preda alla paura. Ecco il primo rilievo, è spaventata. E la paura, lo sappiamo, è unmeccanismo di difesa, almeno nell’ambito del singolo uomo, e la si definisce una sensazione di malessere, che si attiva con la percezione di un rischio. La paura dunque è difensiva poiché mette nelle condizioni di affrontare il pericolo. un sensore che pone in guardia, che dispone a difendersi.
Ma se la paura si attiva su un organismo che non può reagire, allora la paura fa paura. Se un uomo su una carrozzella avverte che un nemico sta per entrare nella sua casa e prova paura, non ne trae vantaggio poiché non si può muovere e quindi l’annuncio di quell’evento gli fa avvertire l’impotenza e la paura gli fa soltanto paura poiché quella sensazione di malessere aumenta. Se uno vive persistentemente nella paura tenderà a ridurre la sua creatività, il suo protagonismo, l’iniziativa, poiché teme che possano nuocergli, incidere negativamente. Con la paura un impiegato eseguirà perfettamente ciò che gli è stato chiesto e, se gli venisse un’idea sulla possibilità di svolgere lo stesso lavoro diminuendo i tempi o migliorandone l’efficienza, non lo applicherà, poiché teme che quella modalità vista dal proprio capo ufficio possa essere presa come una sciocchezza o una ingenuità e certamente ciò metterebbe in crisi la sua posizione in un momento in cui si parla di lavoro insicuro, di difficoltà delle aziende, di esuberi di personale. Senza la paura invece verrebbe spinto dalla voglia di progredire nella carriera e userebbe quella stessa idea, vedendola come una possibilità di contribuire positivamente all’attività dell’ufficio e dunque anche di poterne avere una gratificazione, presente o futura. Basta la paura a portare il comportamento di un impiegato al minimalismo, ad un atteggiamento che ha come imperativo non fare nulla che non sia strettamente richiesto poiché potrebbe essere pericoloso alla sua situazione personale e alla sua funzione già in pericolo.
Lo stesso meccanismo lo si osserva in una impresa: data la crisi, l’imprevedibilità del futuro, la difficoltà di avere sostegno dalle banche che, spaventate, non concedono più crediti, seguirà le strade certe, userà ancora maggior prudenza, cercherà anche di razionalizzare e di tagliare posizioni che appaiono non più giustificate, e quindi anche quell’azienda andrà al minimo. Anzi, la sua strategia sarà rivolta al togliere, non all’acquisire. Non è certo morta, ma rimanda tutto ai segnali di ripresa, alla situazione generale del Paese, all’andamento dei mercati internazionali e per il momento cerca di restare almeno nell’ordinario.
Ecco un’altra definizione di società al minimo: un corpo sociale che fa cose ordinarie e che non si pone nemmeno il problema delle innovazioni e delle trasformazioni, per evitare rischi che potrebbero portare ad una condizione di asfissia o di respiro stertoroso. Si è preoccupati del peggio, non dello straordinario.
Dunque andare al minimo significa aspettare. Aspettare chi? Godot.
Nella celebre commedia Aspettando Godot di Samuel Beckett attorno ad un tavolo preparato per una cena ci sono delle persone che aspettano l’ultimo commensale, Godot, un personaggio che nessuno conosce e che nemmeno è sicuro arrivi: un mistero che però tiene tutto in sospeso. Il tempo viene consumato in questa attesa e nelle ipotesi più strane su chi egli sia e se effettivamente stia per giungere. E talvolta si sente un rumore che sembra annunciarlo. E non si consuma il pasto, si digiuna tra ansie e impazienza e alcuni si seccano poiché si tratta di uno stile al limite con la maledu-
cazione e allora bisognerebbe reagire, e incominciare senza di lui. Ma se poi arriva ed è un personaggio importante?
Se la paura funziona come meccanismo di difesa porta ad una azione, ad una scelta, mentre se blocca conduce dentro una situazione snervante, incerta, persino inquietante e non si fa nulla, o semplicemente si pensa, si chiacchiera, si aspetta. L’attesa è veramente un dramma poiché è una consapevole inanizione e si pensa persino che Godot sia un killer che ammazzerà tutti.
I temi della paura e dell’attesa sono i primi riferimenti che vengono alla mente osservando la nostra società. Una condizione apparentemente inerme e tranquilla ma che sa di dramma. Richiama un’opera straordinaria, Erwartung di Schönberg in cui una donna sta attendendo il suo amore che dovrebbe venire ma il tempo passa invano e si fa sempre più lento. Dopo aver aspettato a lungo decide di andargli incontro e finisce per trovarsi su un sentiero isolato nella foresta, al buio e i suoi sentimenti sono di disperazione.
La società al minimo è affetta da paura e si trova chiusa in un’attesa che è rischiosa, anzi potrebbe portare alla fine, aspetta chissà cosa, un evento misterioso, un personaggio senza volto.
 una società in cui i giovani non fanno nulla, stanno ore davanti a Internet, a inviare sms, ad aspettare le zone orarie per telefonare a prezzi stracciati; non hanno progetti anzi non percepiscono nemmeno il futuro, poiché nella incertezza e nella paura non si riesce a vedersi proiettati oltre l’attimo presente e allora la migliore difesa sta nel cancellare il futuro e vivere come se il mondo terminasse tra un attimo, così ogni dovere cessa, ogni imperativo diventa ridicolo e si campa morti o come lo si fosse. Ci si spegne davanti al mondo digitale acceso, che offre l’opportunità di cancellare ciò che non piace mentre nel concreto non è sempre possibile farlo.
La società al minimo, se considera un futuro, si limita al futuro prossimo, alla fine del mese, e si va fatalmente al tempo reale: una espressione di grande consumo e che mi terrorizza soprattutto guardando la società al minimo. E così non si fanno nemmeno più progetti e la ricerca che ha bisogno di futuro termina, e le attività di sviluppo passano di moda per le preoccupazioni del quotidiano e tutto si riduce ad una operatività stanca, ad un respiro che sembra regolare ma è in debito di ossigeno e rallenta ulteriormente l’efficienza di un corpo e anche di un corpo sociale.
Perché mai si dovrebbe provare interesse per la scuola senza un futuro, senza percepirlo? Perché mai si dovrebbe impegnarsi in progetti a lunga scadenza quando il campanile sta battendo a morto?
Tutto si riduce a rispondere allo stimolo, ma senza cercarlo poiché è faticoso e rischioso muoversi, e nella paura si riduce la velocità di corsa in nome della prudenza, e semmai si invoca la fortuna. E così le società al minimo rinverdiscono le culture del magico, della provvidenza, dell’occasione improvvisa, taumaturgica. E un simile evento non lo si prevede ma lo si incontra in un momento insperato, qualsiasi. Meglio attendere che affannarsi. E si diventa fatalisti, si ritorna al «sarà quel che Dio vorrà».
In una società al minimo se qualcosa si muove è per il superfluo o per l’inutile, per il non essenziale e allora mentre l’economia boccheggia si discute la modifica di un articolo della Costituzione che permetta di inserire una parola non usata dai padri costituenti: azienda. E mentre i giovani sono senza punti di riferimento, si discute animatamente se usare negli esami di maturità i test all’americana e se sia ancora da pretendere la traduzione di greco al classico. come se in un reparto di rianimazione, per un paziente in serio pericolo di vita, con la respirazione artificiale, si chiedesse un odontoiatra per trattare il secondo molare di destra cariato o come se di fronte ad un moribondo sulla strada ci si preoccupasse del suo colesterolo fuori norma. Problemi sicuramente della medicina ma inadeguati alla condizione del paziente.
Un agire vuoto che sostituisce ciò che sarebbe necessario fare e che non si riesce a realizzare, e allora si giunge a non vedere nemmeno cosa è utile e ci si lascia andare a un «tanto per fare». E un po’ quello che accade nella burocrazia che è il mestiere più difficile poiché occorre dimostrare di essere indispensabili pur non facendo nulla e questo inutile affanno è veramente faticoso.
Non si compiono nemmeno più grandi peccati, minimalismo anche nel comportamento infedele, nelle corruzioni: bustarelle leggere, in rispetto della crisi. Del resto si riducono persino i salari!
La morale è al minimo e la Chiesa che è la coscienza del Paese deve occuparsi dei propri «abusi» e non ha tempo di interrogarsi sul perché i bellissimi templi di Cristo, di un personaggio così straordinario, siano vuoti. Forse serve un Cristo minore, più tranquillo, meno rivoluzionario. Un Cristo al minimo.
La paura è certamente il riferimento più evidente dell’agire singolo e dell’insieme sociale ed è sulla paura che devono fondarsi le strategie se si vuole accelerare la società. Non sarà la causa esclusiva, ma rimane il nodo principale da sciogliere.
Bisogna allora tenere conto che di fronte alla paura si può reagire in due modi soltanto: con la fuga oppure con la violenza. Se uno si trova di fronte ad un nemico può scappare, e un cerbiatto se la dà a gambe levate davanti a un leone. La fuga nel caso dell’uomo non è necessariamente motoria, ma si trasforma in una fuga psicologica, mentale, per cui si diventa passivi, non si percepiscono nemmeno più le cose utili da fare e ci si isola in se stessi con la sensazione magari del fallimento e della propria incapacità e impotenza.
 questo il percorso che va verso la depressione. E come esistono soggetti depressi, si hanno anche società gravemente depresse.
L’altra possibilità è uno scoppio di violenza. Si assale il nemico anche se l’asimmetria delle forze è enorme e la possibilità di batterlo impossibile. Più che combattere ci si agita fino a trasformare il singolo in un baruffaldo e sul piano della società fino a dividerla, a mettere un gruppo contro l’altro e fomentare le guerre tra fratelli, oppure tra opposizioni inesistenti come quelle tra i partiti politici di oggi, ridotti a un amalgama che ricorda le paludi miasmatiche.
Una società al minimo non è depressa ma lo può diventare e a questo stadio si fa immobile, si presenta come un cadavere imbellettato, senz’anima come i robot. Una società al minimo non ha ancora indossato la tuta mimetica e un fucile magari scarico, ma lo può fare poiché la guerra anche se tra pupi dà l’impressione di protagonismo, anzi persino di diventare eroi e, per una società che sta per finire, pensare agli eroi della Tavola rotonda o a don Chisciotte della Mancia è consolante. Per riferirmi di più alla cronaca, gli esempi sono i nostri eroi del nulla, quegli degli stadi, delle prove di coraggio che decorano di morte la società al minimo.
Ora rientro nella società di cui sono parte e da cui mi sono staccato con lo stile di un fisico che studi un oggetto, per poterla vedere nel suo insieme come se fosse altro da me, e subito mi accorgo di non sapere cosa fare e di sentire solo la necessità di fare e subito. E capisco che non serve un qualsiasi intervento ma un agire adeguato a spingere un cavallo, un buon purosangue come è l’Italia, che ora va al passo, almeno a trottare.
Ma io non so proprio come e cosa fare. Sono seduto a tavola e aspetto Godot. Perché anch’io vado al minimo.
Vittorino Andreoli