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 2010  luglio 19 Lunedì calendario

IN ROMANIA CON I BAMBINI ORFANI

Su Mino Damato potrei scrivere un intero romanzo raccontando le nostre peregrinazioni in giro nel mondo. Mi limito invece a un’esperienza professionale che abbiamo vissuto insieme nell’autunno del ”95.
In quell’anno andammo in Romania per raccontare la storia dei ragazzi (e delle ragazze) che vivevano nei tombini, nel sottosuolo di Bucarest: uno stuolo di bambini e adolescenti, denutriti e affamati, che cercavano un pezzo di pane e qualcosa come giaciglio.
 lì che incontro Mino. Un bassotto energico e svelto (due o tre centimetri più di me, cosa che mi faceva arrabbiare), un bel volto dai lineamenti autoritari, schietto, come le sue parole, che ignoravano i preamboli. La sua umanità, sottolineata con un ampio rilievo mediatico (ma proprio non c’era bisogno) dall’adozione della piccola Andreea, malata di Aids, non ambiva certo a nessun tipo di riconoscimento. Generoso com’era e schivo com’era, non avrebbe mai acconsentito a nessuno di collocarlo sul piedistallo dei benefattori del mondo. Me ne resi conto quella volta che in un villaggio alla periferia di Bucarest cercò di «seminarmi» distribuendo alla chetichella sacchetti di riso e calzettoni di lana a gente che camminava scalza sulla neve. «Ti ho visto», gli dicevo. «Stai zitto», era la risposta.
La mia esperienza professionale con Mino è stata breve e, a parte una fugace parentesi in Cambogia, si è conclusa nella metà degli anni Novanta, in Romania: ma ciò che ho assorbito dalla sua forte personalità (solo in apparenza così dolce e arrendevole) è rimasto dentro di me. Senza sfociare nella retorica del necrologio, vorrei dire che lo invidio per aver saputo mantenere e tradurre nella sua vita privata quel forte impegno morale e umano che ha fatto di lui uno dei migliori giornalisti del nostro tempo.
Ettore Mo