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 2010  luglio 19 Lunedì calendario

L’ETERNO SETTEBELLO FRA SPIE E STARLETTE

Sedicimila persone sulle tribune dello Stadio del Nuoto del Foro Italico per la finale dell’oro. Politici, star del cinema. Forse anche qualche spia. Pullulavano di agenti segreti quelle Olimpiadi della Città Eterna. Anche fra gli atleti c’era qualche personaggio strano, come Dave Sime, un corridore americano arruolato dalla Cia perché aiutasse gli «007» a contattare il collega sovietico del salto in lungo Igor Ter-Ovanesyan, candidato alla defezione. «Eppure eravamo scarichi. L’errore era stato vedere la partita precedente, tra Russia e Jugoslavia, che ci aveva promossi campioni olimpici. Avevamo già la medaglia in tasca, comunque fosse finito il match con l’Ungheria. Siamo scesi in acqua poco concentrati e abbiamo rischiato di perdere. Siamo andati sotto di 2 gol, i magiari vincevano 3 a 1. Abbiamo avuto uno scatto d’orgoglio e siamo riusciti a pareggiare» ricorda Eraldo Pizzo, calottina numero 3 di quel Settebello glorioso.
Un oro che oggi, in quella stessa piscina di allora, sarà ricordato, celebrato (anche in vista della candidatura di Roma per i Giochi del 2020), con premiazioni, confronti, interventi, immagini, testimonianze e una partita amichevole tra Italia e Canada (ore 19,30, diretta RaiSport2). Presenti i campioni olimpici di quella vittoria. Poi, a settembre, stesso periodo di Roma 1960, il Coni chiamerà a raccolta tutti i medagliati.
Cinquant’anni fa. Un altro mondo. Ex colonie, ex imperi, la Germania ancora unita prima del Muro. Gli occhiali da sole di Livio Berruti, i piedi scalzi di Abebe Bikila. L’Urss dello Sputnik, l’America kennediana e l’emancipazione degli atleti neri, con il portabandiera a stelle e strisce Rafer Johnson. Cassius Marcellus Clay, un diciottenne pugile di Louisville che ancora nessuno conosceva. Le tre medaglie di Wilma Rudolph, poliomelitica. La prima irruzione delle Tv commerciali, doping (che ucciderà il ciclista danese Knud Enemark Jensen), sponsorizzazioni. I tramonti infuocati sul Cupolone. «Le Olimpiadi che cambiarono il mondo», scrive il premio Pulitzer David Maraniss. Gli ultimi Giochi romantici.
Vinciamo 36 medaglie, 13 ori dietro sovietici e statunitensi. Negli sport di squadra, è pallanuoto. Squadra di ragazzini. «Gli anziani erano stati fatti fuori. Eravamo veri outsider: se mi avessero detto di firmare per il bronzo avrei anche pagato qualcosa di mio» prosegue l’amarcord di Pizzo. Il «Caimano», che diventerà il suo soprannome, era già uno dei fuoriclasse della Pro Recco, che aveva appena vinto il secondo scudetto. Nel Settebello azzurro, la cui fama nasce col primo oro di Londra 1948, c’era un altro recchese, Franco Lavoratori, che oggi non c’è più. Gli altri erano Dante Rossi, Giuseppe D’Altrui, Gianni Lonzi, Rosario Parmegiani, Brunello Spinelli, Salvatore Gionta, Amedeo Ambron, Giancarlo Guerrini, Luigi Mannelli e Dario Bardi. Anche quest’ultimo se n’è andato. «In realtà, saremmo dovuti essere in undici, ma siamo riusciti a inserire il dodicesimo iscrivendolo nel nuoto. Credo fosse Ambron».
L’outsider stupisce. I match: Romania (4-3), Giappone (8-1), Germania Ovest (3-0), Urss (2-0), Jugoslavia (2-1). Quindi, la finale con l’Ungheria (3-3): è oro. «Una gioia incredibile. Anche perché la vittoria davvero era inaspettata. Siamo andati a festeggiare in via Veneto. Giacca azzurra, pantaloni bianchi, la medaglia al collo. La gente ci fermava. Non credo che un atleta che vinca oggi un oro possa vivere la stessa esplosione di felicità che abbiamo provato noi. Non eravamo smaliziati come lo sono i nostri figli e nipoti». Anche i premi erano un’altra cosa. «Ci hanno dato 250 mila lire ciascuno. Quanto potranno essere oggi? Quaranta volte tanto? Cinquemila euro. La Fiat, poi, ci ha fatto dono di una ”500” a testa. E se aggiungevi qualcosa, potevi avere la ”600”». Impagabile l’emozione dell’oro. Ma anche quella del primo Villaggio olimpico. «Prima si andava in albergo, ogni Nazionale secondo le proprie possibilità. Per me il Villaggio è stato indimenticabile: incontravo tutti i giorni Cassius Clay, che non era ancora famoso. I grandi nuotatori americani...». E gli avversari: russi, ungheresi, jugoslavi, romeni. «Avversari, ma non nemici. Ci conoscevamo tutti, eravamo sempre gli stessi. Io ero entrato in Nazionale nel ”57, li vedevo agli Europei, ai match internazionali. I russi ci consegnavano i loro soldi, valute estere che loro ufficialmente non potevano avere. A Roma ci ordinarono trapunte colorate, che avremmo dovuto consegnare loro il mese successivo, a un torneo in Russia».
Altri tempi. In mezzo secolo è cambiata anche la pallanuoto. «Allora era più seguita. Dopo il calcio, venivamo noi, almeno nelle regioni dove si giocava la waterpolo. Ma anche a livello nazionale, negli sport di squadra. Volley, basket, rugby erano ancora indietro. E poi, eravamo veri dilettanti. Chi gioca oggi è un professionista, che si allena due volte al giorno, pagato. I nostri stipendi erano rappresentati da quello che riuscivamo a risparmiare sui rimborsi spese della Federazione. Facevamo un collegiale ogni fine settimana, ci davano mille lire per il taxi e i soldi per il biglietto in prima classe in treno: viaggiavamo in seconda e salivamo in macchina in quattro, dividendo il pedaggio».
 cambiato tutto. Il regolamento. «I sette che entravano in vasca restavano sino alla fine, salvo incidenti. Non c’erano le sostituzioni. Si giocava due tempi da 10 minuti effettivi, anziché le attuali quattro frazioni da 8. In realtà, stavi nell’acqua 40, 45 minuti». La preparazione. «In palestra non ci sono mai andato. Nuotavamo, sì, ma senza esagerare. Oggi il pressing è asfissiante, devi mettere le mani alla gola dell’avversario. tutto più fisico». Il tatticismo. «Non era così esasperato. Non c’era la difesa a zona. C’erano difensori che a malapena superavano la metà campo. Ci dicevano: marca quello». Lo spettacolo. «C’era più spazio per il talento. E forse, anche per l’errore. Ma credo che allora la gente sulle tribune si divertisse di più».