Iacopo Gori, CorrierEconomia 19/07/2010, 19 luglio 2010
ANDERSON «COSA VUOLE LA GENERAZIONE
iPAD» - «Il futuro è già qui, è solo mal distribuito» dice William Gibson, che di lavoro fa lo scrittore di fantascienza. Il problema (o la fortuna) è che questa stessa frase la usa per spiegare cosa sta accadendo nel mondo dell’informazione anche Chris Anderson, che di lavoro fa il direttore di
, la rivista californiana conosciuta come la «Bibbia di Internet». Quello che serve all’editoria (e non solo) è capire come distribuire meglio questo futuro presente: informazione gratuita, bilanci da far quadrare, rivoluzione iPad, social media e community, aumenti di lettori e calo di vendite.
«La gente ha sempre paura del cambiamento – dice Anderson a CorriereTv in occasione del suo viaggio in Italia per Reply XChange 2010, evento sulle nuove tecnologie organizzato da Reply all’Università Bocconi di Milano ”. La tecnologia digitale distrugge i settori prima di crearne altri, ma offre anche molte più opportunità. Tempi difficili e entusiasmanti».
In termini economici come possono i media gestire la rivoluzione digitale?
«I media sopravvivono grazie alla formula di sovvenzione pubblicitaria. In quella online non ci sono abbastanza soldi per indennizzare le perdite dei media tradizionali. Si sta migrando verso un nuovo modello di business, il : l’uso di prodotti gratuiti per commercializzare quelli a pagamento. L’aumento di pay wall (varchi di accesso a pagamento
e applicazioni per iPad non rappresentano un rifiuto del concetto di gratuito, quanto di gratuito e sponsorizzato dalla pubblicità. Alla scadenza del periodo una parte del contenuto resta gratis e una parte va a pagamento, per i lettori più fedeli. L’esempio del online è semplice: 10 storie al mese gratis, il resto lo paghi. Se lo visiti molto è chiaro che lo apprezzi e sei disposto a pagare. Diventa possibile generare un introito diretto dai clienti, anziché indiretto tramite gli inserzionisti. Non è chiaro ancora con quale equilibri avverrà la divisione tra gratis e a pagamento, con quali meccanismi e a che prezzi; credo però che questa soluzione possa funzionare per testate di spicco, non per tutte».
I nuovi media fanno aumentare i lettori ma le entrate delle aziende editoriali sono in calo. Cosa si può fare?
«Il web sa far bene tante cose: è perfetto per potenziare la versione cartacea con contenuto a maggior frequenza e interazione. Il modello di business non si è rivelato però altrettanto redditizio di quello dei media tradizionali per una semplice questione economica: non c’è carenza. C’è invece competizione infinita. essenziale che i media abbiano un sito web. Ma è bello sapere che non si tratta dell’unico modello di distribuzione. L’avvento di media complessi, come l’iPhone o l’iPad, rappresenta un modo per prendere il meglio della distribuzione digitale, come il basso costo e l’ampia raggiungibilità, insieme a un modello economico che verte molto di più attorno alle qualità diversificate di un contenuto articolato ed elevato».
Quale sarà l’impatto dell’iPad nell’editoria?
« Molto grande. la terza grande piattaforma informatica: pc, cellulare e ora il tablet. un dispositivo molto diverso: tattile, esperienza quasi sensuale, con applicazioni "immersive". In più l’iPad è personale: dà sensazione più di intrattenimento che di lavoro. Noi scommettiamo che se ne venderanno decine di milioni; che la gente vorrà leggere i media su questi dispositivi e che sarà disposta a pagare. Non tutti, ma una quantità sufficiente di lettori».
Sarebbe una bella scommessa vinta.
«Per ora è così. In Usa l’iPad ha un successo enorme. è stato uno dei primi a lanciare la rivista su iPad: la gente ha pagato 5 dollari, abbiamo venduto 100mila copie il primo mese».
Ma pagano per un prodotto diverso?
«La domanda infatti è: che cos’è una rivista su iPad? Quando converti un giornale dalla stampa al tablet alcune cose restano uguali, come le parole o le foto, altre sono molto diverse: video, interattività, animazione, alternativa di visualizzazione, . Siamo agli inizi per quel che riguarda la sfida creativa di re-immaginare un giornale con questo nuovo modello di distribuzione e interazione».
Lei non è direttore della versione web di Wired ma di quella cartacea e su iPad: perché?
«La versione su iPad ha origine da quella cartacea. Noi non l’abbiamo appaltata ad altri team, ma creata in parallelo. I nostri designer, fotografi e scrittori sviluppano tre edizioni contemporaneamente: cartacea,
. Raccontiamo storie in una maniera nuova. La versione cartacea è incredibilmente efficace: io preferisco i libri su carta. Ma amo anche l’iPad. Fin quando la versione di carta porterà dei valori sarà richiesta da una parte del nostro pubblico. Forse non dai nuovi lettori. Io continuerò a promuovere entrambe le versioni».
Lei si sente un giornalista?
«Oggi il direttore di una rivista diventa un manager. Il mio bigliettino da visita dice "Direttore", ma se imiei figli seguissero imiei passi, sui loro ci sarebbe scritto "Community Manager". Al contempo, il mio mestiere consiste nel fare il produttore multimediale. Siamo dei brand manager, ma senza scordarci di fare i direttori».
Essere un community manager è la nuova qualità del giornalista?
«L’editoria avrà bisogno di una nuova classe di professionisti con forti capacità di ascolto, guida, gratificazione e punizione: qualità necessarie per tenere insieme community e non tradizionalmente giornalistiche».
Tra dieci anni i ragazzi leggeranno i quotidiani?
«Non come oggi. Ne leggeranno svariati, probabilmente su dispositivi complessi. E i quotidiani potrebbero essere più simili a riviste giornaliere che non a notiziari. Per riuscire a fare, in 12 ore, qualcosa che il web non abbia già fatto. Anziché avere 30 giornalisti che seguono una storia, meglio 30 che trovano le proprie storie. I nostri figli avranno di sicuro un rapporto coi quotidiani: forse non cartacei, ma l’istituzione, la testata che dà autorevolezza, resterà e fornirà valore».
Iacopo Gori