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 2010  luglio 19 Lunedì calendario

D’Annunzio e la Duse

La superdonna del superuomo (Michele Smargiassi) Lui, parlando con gli amici, la chiamava «la racchia», lei «il nano ripugnante» (Michele Serra) «Voglio possederti come la morte possiede... Disperderti alla rosa dei venti, discioglierti nel Gran Tutto» (Gabriele D’Annunzio a Eleonora Duse). • George Bernard Shaw, spettatore a Londra della commedia di Sudermann "Magda" (giugno 1895). In scena, a pochi giorni di distanza, Eleonora Duse e Sarah Bernhardt. La Duse: «Flessibile e morbida come una ginnasta o una pantera». La Bernhardt: «Maliziosa, estroversa, civetta, sapientemente truccata e con un sorriso smagliante». Uscendo dopo averla vista: «Non si poteva prevedere, quarantotto ore dopo, una forza che l’avrebbe distrutta, una forza che si manifestava in un talento apparentemente tranquillo come quello della Duse. Eppure, distruzione è la sola parola adatta per quel che è accaduto». Fonte: Masolino D’Amico, "La Stampa" 28/10/2002, pagina 27 • Sacha Guitry, dopo tredici anni di liti e malintesi, si riappacifica col padre e gli scrive la commedia "Pasteur": «Teatro naturalmente esaurito, il tout Paris: al secondo atto mio padre deve scrivere un biglietto, mentre ascolta un giovane che parla». Gli attori in questi casi fingono, «mio padre invece scrive davvero e quando il giovane esce di scena gli dice: "Fate recapitare immediatamente questo biglietto"». L’attore, intimorito, consegna il foglio al regista, che dopo aver letto la scritta ( "Alla signora del palco di proscenio, second’ordine a destra"), lo porge a una signora velata, che non riconosce. Lei legge: «Cara Eleonora, so che i vostri occhi mi seguono, e è per voi sola che stasera recito. Vi bacio la mano. Lucien». Era la Duse. Fonte: Daria Galateria, "Entre nous", Sellerio. • Intimo. Il nero comparve con D’Annunzio, che fece cucire per Eleonora Duse indumenti intimi in raso lunghi fino al ginocchio. Fonte: Luisa Ciuni su Il Giorno del 26/04/01 a pagina 39. • In vacanza con Eleonora Duse a Marina di Pisa, nel 1899, [D’Annunzio] scrisse sulle pareti di un casottino di legno i primi versi de "La Tenzone": «Come l’estate porta l’oro in bocca/ l’Arno porta il silenzio alla sua foce». Fonte: Eugenia Tognotti su La Stampa del 25/07/01 a pagina 25. • Capponcina/2. Dal 1898 al 1911 Gabriele D’Annunzio visse alla Capponcina, sulle colline di Settignano, vicino Firenze. Andò ad abitarvi perché al di là della strada, alla Porziuncola, abitava Eleonora Duse. Fu lei a pagare i mobili antichi, gli arredi, le spese di manutenzione. Fonte: Umberto Cecchi su Il Giorno del 07/11/01 a pagina 37. • Nel 1897 l’amore con Eleonora Duse: i due s’incontrano sulle rive del lago Albano e sognano di costruire un teatro di poesia. La fine del legame nell’estate del 1903, mentre il poeta termina "La figlia di Jorio". Fonte: Claudio Rendina su la Repubblica del 18/11/01 a pagina XIV della Cronaca di Roma. Dal 1874 al 1878 la Duse passò da una compagnia all’altra, si licenziò poi dalla compagnia Brunetti-Pezzana, una delle più importanti, perché respingeva tutti i tentativi di costringerla a uno stile recitativo che riteneva falso La Duse era alta 158/160 cm e aveva un giro di vita di 60/62 cm) Arrigo Boito, cui la Duse aveva regalato una sua foto al termine di uno spettacolo, le scrisse per ringraziarla del dono, poi, non trovando per lei qualcosa di abbastanza fragile, le inviò una poesia in quattro versi scritta con inchiostro rosso sulla pagina di maggio di un calendario, giocando sul senso della parola "mai" che in francese significa maggio La Duse girava da una città all’altra con ventisette bauli Tra il 12 marzo e il 29 aprile 1891 (?), giusto per render conto dei ritmi dell’epoca, la Duse mise in scena a San Pietroburgo ventuno repliche di dodici pièce diverse • La Duse, che non metteva il cerone, a chi gliene domandava il motivo rispondeva: «Fiamma tinta, fiamma spenta» La tecnica della Duse, che «non mi consente semplicemente di recitare le parti, ma che mi costringe, del tutto contro la mia volontà, a soffrire insieme agli esseri che rappresento» In febbraio 1893 la Duse andò in vacanza in Egitto con Wolkoff, la moglie e la figlia. La sua relazione con lui era finita, ma la Duse aveva continuato a essergli amica. Capitava a volte di trovarlo addormentato davanti alla sua porta nel settembre del 1894 incontra Gabriele d’Annunzio. Stempiato, col pizzetto e un paio di baffi all’insù, d’Annunzio aveva l’aspetto di un Mefistofele. Era alto un metro e sessantacinque scarso, più o meno quando la Duse, e lei potè guardarlo direttamente nei grandi occhi intelligenti color grigio-verde. Aveva i denti guasti e il mento sfuggente, ma «quando parla all’amata diventa il ritratto di Apollo» (Isadora Duncan) Il loro primo incontro d’amore, probabilmente nell’autunno del 1894: la Duse aveva appena letto Trionfo della morte, e il loro incontro rispecchia quello di Giorgio e Ippolita. Dopo essersi conosciuti, d’Annunzio e la Duse non riuscirono a prender sonno e vagarono soli per Venezia, ognuno per conto proprio. D’Annunzio prese una gondola e, proprio mentre albeggiava, scese dalla barca e si trovò di fronte la Duse. Proprio come Giorgio e Ippolita, il loro nido d’amore fu l’albergo più romantico di Venezia, il Danieli, dal colore rosa. La Duse confessò a d’Annunzio che, incontrandolo, aveva trovato l’armonia: aveva sentito la sua anima e scoperto la propria D’Annunzio aveva quasi cinque anni meno «La prego di chiedere ai suoi colleghi perché un lavoratore che è occupato tutto il giorno, di notte, terminato il lavoro, ha il diritto di riposarsi, mentre io, che lavoro tutta la notte, non posso avere il piacere di restar sola durante il giorno» (la Duse a una cronista americana per spiegare come mai non si faceva mai intervistare da nessuno) • La Duse non indossava mai gioielli. Solo a Parigi, nel 1897, si lasciò convincere a mettere una collana di perle durante la rappresentazione del "La dama della camelie": «noi francesi non riusciamo a immaginarla senza. Dobbiamo avere una prova tangibile che Marguerite Gautier era mantenuta con larghezza di mezzi» (lo stilista Jean-Philippe Worth) • Nonostante stesse intrattenendo una relazione con d’Annunzio, la Duse non smise mai di scrivere e vedere Arrigo Boito e troncò definitivamente la sua relazione con lui solo nel 1898 A casa la Duse indossava abiti di bianco satin dalla linea morbida, acconciava i folti capelli scuri nei più diversi modi, non indossava mai il busto né faceva uso di cipria o di trucco Nel 1900 d’Annunzio pubblicò Il fuoco, un ritratto della Duse che fece scandalo in tutto il mondo • La relazione tra la Duse e d’Annunzio terminò nel 1904. Lui aveva terminato La figlia di Iorio e aveva affidato abilmente la parte a una giovane attrice invece che a lei. Lei andò a casa di d’Annunzio per recuperare le sue cose e vi trovò le forcine della sua nuova amante (lui l’aveva tradita spesso). Cercò di dar fuoco alla casa di d’Annunzio, ma fu bloccata dal custode. «È necessario!» gridò «Il fuoco! Il fuoco! Subito!» Lasciò il teatro nel 1909, in coincidenza con l’arrivo della menopausa. E smise anche di avere storie d’amore con uomini. Per due anni si fece accompagnare da Lina Poletti, che la corteggiò e l’amò e con cui forse ebbe anche rapporti sessuali Mentre girava il film, sola a Torino (mentre in tournee era solita portarsi un’amica), si comprò una bambola, «tanto carina e tutta mia». Quando si sentiva depressa, stringeva a sé la bambola e si diceva: «Avanti!» Nel 1921 tornò sulle scene: «Comparirò dinanzi agli spettatori col mio viso stanco e pieno di rughe e coi miei capelli bianchi. Se mi vogliono così, ne sarò lieta e fiera. Se no, ritornerò nel silenzio» disse • La Duse fu la prima donna ad apparire sulla copertina del Time • Partì poi per una tournee in America: morì a Pittsburgh, dove aveva recitato qualche giorno prima, in seguito a una brutta influenza • Quelli che «pretendono di capire l’arte, non capiscono nulla» (Eleonora Duse). Recita in italiano e il pubblico segue le prodigiose interpretazioni con un breve riassunto tra le mani. Tempesta D’Annunzio con un numero inverosimile di lettere e soprattutto telegrammi, cui il poeta risponde a malapena, ma scrive le dispendiose tragedie che lei gli ha chiesto e la grande attrice, di tasca sua, riesce più o meno a fare accettare al pubblico quel linguaggio tanto sopra le righe. Ma D’Annunzio è già stanco della relazione, le scrive che sta componendo un romanzo su loro due, sulla decadenza e vecchiaia di lei. In nome non solo dell’amore ma dell’arte, la Duse glielo lascia scrivere, lo incoraggia e quando è finito accetta di sentirselo leggere dalla viva voce del suo Gabri. Sarà un libro scandaloso, un bestseller internazionale, subito tradotto in francese e in inglese. Di questo gossip scottante ci restano non poche belle pagine, di Lenor ci restano le mani ignude sotto la pioggia nel pineto. DUSE ELEONORA Vigevano (Pavia) 3 ottobre 1858, Pittsburgh (Stati Uniti) 21 aprile 1924. Attrice. Figlia d’arte, sul palcosenico fin da bambina, primo grande successo la Teresa Raquin di Zola interpretata nel 1879, poi La signora delle camelie, Cleopatra ecc., si impose come la più grande attrice italiana del suo tempo. Fu legata a Gabriele D’Annunzio. Per umiliare il marito e collega Tebaldo Cecchi, Eleonora Duse si denudò il seno in scena. In tourné s’innamorò di Flavio Andò, «soltanto bello, per il resto un cretino», che lasciò per mettersi con Arrigo Boito. Nel 1894 iniziò la storia d’amore con D’Annunzio, che la tradì per anni (lui una volta confidò a un amico: «Per la vecchia via fiesolana talvolta scendo al cancello di una villa dove m’attendono due sorelle sonatrici di liuto, esperte in giochi perversi. Rientro dopo tre ore impaziente. Dal viale chiamo la mia unica compagna: l’infedeltà fugace dà all’amore una novità inebriante»). Lei sapeva tutto, ma finse sempre di non essere gelosa: «Nessuna di quelle che ti amano ha veduto nell’anima mia ciò che io traverso loro ho veduto nella tua. Ecco perché le sopporto e indulgo con loro». La rottura definitiva giunse quando lui s’accese per la marchesa Alessandra Di Rudinì. Allora la Duse in una lettera dall’America: «La gloria non è che un mascherono di cartapesta, gonfio, che se lo tocchi ne esce marciume». Eleonora Duse nasce nel 1858 in una stanza d’albergo di Vigevano mentre i genitori, attori di piccola compagnia, sono in viaggio. Debutta in teatro a quattro anni nel ruolo di Cosetta de "I Miserabili": per farla recitare devono picchiarla sulle gambe. Quando interpreta Giulietta di Shakespeare all’Arena di Verona ha solo 14 anni. Dopo la morte della madre, passa da una compagnia all’altra senza mai farsi amare dai compagni di lavoro, che la trovano troppo superba. A vent’anni si ammala di tisi (guarisce: «La vinsi, ma s’intende: ho vissuto e recitato con residui di polmoni»), a 23 anni diventa primattrice, a 29 capocomica. La Duse era a Venezia per riposarsi di una tourneée durata 6 mesi. Aveva 36 anni ed era all’apice della carriera. Difendeva con orgoglio la sua vita privata: «A che pro mostrare i fili della marionetta» diceva. Nel 1878 la Duse era stata legata a Martino Cafiero: lui aveva 32 anni, lei 20. Lui era il direttore del "Corriere del mattino" di Roma. Quando lei restò incinta l’abbandonò. La Duse passò i primi mesi della gravidanza a Marina di Pisa, il parto dovrebbe essere avvenuto all’inizio del 1880, il bambino - maschio, se ne ignora il nome - non sarebbe sopravvissuto. Eleonora aveva sposato l’attore Tebaldo Checchi il 7 settembre 1881, a Firenze, e da lui aveva avuto una figlia, Enrichetta, nata il 7 gennaio dell’anno seguente. L’attrice si innamorò di un altro collega, Flavio Andò, nel 1885, e per lui abbandonò il marito. A Venezia la Duse aveva casa all’ultimo piano di un vecchio palazzo, a quel tempo appartenente ad Alexandre Volkoff, a due passi da palazzo Venier. Lo aveva arredato con stoffe e tappeti d’Oriente, qualche mobile antico, sul muro la tela preferita, una madonna di Bernardino Fungai. La scala che portava al suo piano venne tappezzata con tessuto rosso vivo. la Duse finì col sopprimere tutti gli specchi, compresi quelli degli alberghi nei quali soggiornava. Nonostante tutto la Duse non si preoccupava del suo aspetto esteriore: «Non ha mai avuta la benché minima sciccheria. Il suo vestito saliva sempre da una parte e pendeva dall’altra, il suo cappello non era mai in equilibrio». D’Annunzio arrivò a Venezia il 6 settembre 1894. Scese all’Hotel Danieli. Col suo traduttore francese, Hérelle, passava le serate al Florian e nel salotto di palazzo Dario. Secondo le testimonianze epistolari, Eleonora Duse e Gabriele si sarebbero incontrati così: dopo aver passato una notte insonne vagando in gondola per i canali, la Duse sarebbe sbarcata presso Rialto. Nello stesso momento, da un’altra gondola sarebbe sceso lo scrittore. I due avrebbero parlato di poesia e arte fino al levar del sole. Lei gli chiese perché non aveva ancora scritto per il teatro. La data "ufficiale" della loro relazione, fissata nei "Taccuini" dannunziani, è 26 settembre 1895. Tra le cose della Duse che D’Annunzio apprezzava, la lunghezza delle gambe, qualità indispensabile visto che lui lamentava come alle donne «spesso mancassero 7 centimetri in quel punto della loro anatomia». La Duse scriveva usando inchiostro viola o una matita. La sua grafia sciolta e ampia a volte più pigiata mostra un temperamento ciclotimico. Era soggetta a sbalzi d’umore e capricci. I genitori, da bambina, le dicevano «Non ci si meraviglia che tu sia agitata, sei del ’59, hai la guerra in corpo». La Duse non provava: «Se i miei compagni non possono veramente fare a meno di me, allora consento a venire sulla scena per dargli le mie indicazioni, ma non ripeto! Come si può ripetere? Lavoro nella mia stanza, costruisco tutto il mio personaggio col pensiero ed è ancora là, nel silenzio e nella solitudine, che lo faccio vivere». Le capitava anche di tagliare selvaggiamente il testo se lo giudicava spiacevole. Al debutto parigino della Duse, nel 1897, la rivale Sarah Bernhardt si presentò coronata di rose rosse e rimase in piedi applaudendo i passi che producevano meno effetto sul pubblico. In questo modo "rese il favore" alla Duse, che poche sere prima aveva assistito, applaudendo in piedi, a un suo spettacolo. D’Annunzio affittò, sempre a Settignano, La Capponcina, da lui ribattezzata Settignano da Desiderio. Puro gioiello dello stile toscano del XV secolo, collegata da un sentiero alla Porziuncola, la villa della Duse, era ammantata di edera e circondata da lauri, cipressi e ulivi. Il proprietario, marchese Giacinto Viviani della Robbia, pretendeva un affitto di mille lire l’anno, cioè un prezzo assai elevato. Il poeta gliene offrì 1500 per averla vuota. Ai mobili e alle "cose superflue" avrebbe provveduto la Duse. Venne arredata con broccati rari, mobili Rinascimento, ferri forgiati, spade, granelli d’incenso, soprammobili preziosi ovunque. Dappertutto iscrizioni in latino. In salotto divani profondi e copie degli schiavi di Michelangelo, nella sala da pranzo un pianoforte e una tavola da refettorio monastico. Non si usava tovaglia, ma dopo il dessert agli ospiti veniva offerto uno sciaquadita in argento con "acqua di Nunzia", essenza ideata dal padrone di casa che cercò anche, invano, di commercializzarla. La camera da letto, detta Camera del Fuoco, era foderata di tappezzerie rosso fiammante. Ai piedi del letto una riproduzione in bronzo dell’Auriga di Delfi. Nello studio angeli di legno dorati, raccolte di canti liturgici e leggii, perché il poeta amava lavorare in piedi. L’abbeveratoio del canile (appassionato di levrieri, quando scoppiò la guerra temeva che potessero non ricevere abbastanza carne) era un’acquasantiera. Foscarina, protagonista de Il Fuoco, non rappresenta altro che l’immagine degradata della Duse, esibita senza scrupoli come una donna appassita, stanca d’aver troppo vissuto, avvelenata dall’arte. Anche la dedica era esplicita: "A Eleonora Duse oggi e sempre..." Pare che lei avesse tentato di impedirgli la pubblicazione dicendosi pronta perfino a vendere i gioielli per pagare la penale. Ma i documenti provano che l’attrice è sempre stata al corrente di quanto il poeta scriveva. Nel luglio del 1900, per l’ennesima volta riconciliati, D’Annunzio e la Duse si rifugiarono a Marina di Pisa. Ogni mattina si vedeva il poeta cavalcare sulla spiaggia, l’attrice aspettava in terrazza il momento di portargli un mantello di porpora col quale si avvolgeva dopo il bagno. Per l’allestimento della Francesca da Rimini (finita di scrivere il 4 settembre 1901) la Duse spese quasi 400mila lire, più o meno 2 miliardi attuali. Nel 1904 D’Annunzio prese come amante Alessandra Carlotti di Rudinì, vedova a 27 anni di Marcello Carlotti del Garda, figlia del presidente del Consiglio Antonio di Rudinì, bionda, molto alta, eccellente amazzone, intelligente e colta. Inoltre fece interpretare Mila, protagonista de La figlia di Iorio, a Irma Gramatica. La Duse decise di rompere. Sull’orlo del suicidio, aveva perfino comprato una pistola; decise di partire per una tournée all’estero. Passò prima da Settignano, all’inizio di maggio. Fu in occasione di quella visita, secondo alcuni biografi, che tentò di incendiare la Capponcina dopo aver trovato nella propria stanza due piccole spille per capelli. Il 25 gennaio 1909 i medici decretarono la malattia polmonare della Duse. Si ritirò a Firenze, al 54 di via della Robbia. Per un anno condusse esistenza ritirata, uscendo spesso velata di nero. Nell’estate del 1910 entrò nella sua vita Cordula Poletti detta Lina, poetessa di circa 20 anni, con la quale intrecciò una relazione che venne celata con pudore da molti biografi. Durò due anni, poi la Duse la lasciò e progettò il ritorno alle scene. Soprannomi dati da D’Annunzio alla Duse: Lenor, Isa, Ghisola. A 62 anni, dopo 12 anni di assenza, la Duse torna in scena il 5 maggio 1921 al Balbo di Torino. Nonostante l’età appare senza trucco, con i capelli bianchi. In platea c’è Gabriellino D’Annunzio, venuto con un fascio di fiori al posto del padre. La Duse morì il 21 aprile 1924, la notte di Pasqua, a Pittsburg, mentre era in tournée. I funerali nazionali della Duse avvenero a Roma alla presenza di D’Annunzio e del governo. La sua tomba è nel piccolo cimitero di Asolo, su un promontorio che domina il Veneto fino al mare. Sulla lapide un nome, senza data. Avrebbe voluto questa epigrafe, mai incisa: "Fortunata, disperata, fidente". Perdono. «Ditegli che gli perdono. Gli perdono la sua durezza, la sua crudeltà, i suoi modi. Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto perché ho amato» (Eleonora Duse pensando a Gabriele d’Annunzio prima di morire, quattordici anni prima di lui). Piuttosto. «Preferirei morire in un cantone piuttosto che amare un’anima tale... D’Annunzio lo detesto ma lo adoro» (Eleonora Duse). Chiuse. Chiusa della lettera con cui la Duse liquidò Arrigo Boito, per mettersi con D’Annunzio: «All’infuori dei baci, nulla è dicibile tra di noi. Non mi rimane dunque che ripigliare in groppa me stessa» (quella volta usò tre inchiostri di colori diversi, uno per ogni emozione). Meriti. «Le sofferenze che le procuro aumentano la sua bellezza morale» (D’Annunzio, riferendosi alla Duse). Atti. «Quella tua semplicità divina per cui sembra che ogni tuo atto incominci dall’infinito e si compia all’infinito» (dedica di D’Annunzio alla Duse). Rimpianti. «È morta quella che non meritai» (commento di D’Annunzio alla morte della Duse). Odiava essere ritratta e pochi sono i quadri che la raffigurano. Eleonora Duse possedeva un orologio da tasca di Cartier con due "D" intrecciate (forse un suo dono a D’Annunzio) e un portasigarette d’argento su cui il poeta aveva fatto incidere la propria firma. Eleonora Duse spesso usava lo stesso guardaroba nella vita e sulla scena, vesti raffinate firmate Mariano Fortuny o confezionate da sarti di corte come la Maison Worth. Un giorno chiese a un celebre costumista «un mantello bleu... color del lago di Pallanza alle 4 del pomeriggio» e quello manipolò il tessuto, sulle sponde del lago, fino a raggiungere il punto d’azzurro voluto dalla Divina. «Donna sulla scena, attrice nella vita. Ecco il segreto della Duse» (Pierluigi Pizzi, regista e scenografo, spiega così le ragioni del fascino di Eleonora Duse). Nel 1904 Eleonora Duse spese 2 mila lira (circa 13 milioni di oggi) per un mantello di scena. Eleonora Duse usava riempire i suoi copioni teatrali di annotazioni su come leggere le varie battute, tipo "cupa dentro" o "triste in sé". Eleonora Duse riciclava i costumi di scena come vestiti da sera, vestaglie, eccetera (accadde ad esempio con i mantelli viola prugna con maniche a pipistrello e le tuniche in crespo bianco ricamate d’argento disegnati da Mariano Fortuny e Jean Worth). «Abiti non sempre eleganti, che agli esordi sono sciatti se non banali fino alla bruttezza e che con il successo si fanno sempre più volgari, sovrabbondanti di galloni dorati, di perline, di fiocchi, di nastri, di piume e di passamaneria». Tutt’altro che elegante, secondo Ugo Ojetti «durante la giornata vestiva trasandato: cappelli di traverso, mantelli larghi, veli lenti, bluse male abbottonate, gonne male agganciate, un guanto su e uno giù». Tuttavia la Duse spendeva molto per abbigliarsi e a volte s’indebitava (un sarto, una volta, le scrisse «di star tranquilla, che pagherà quando diventerà ricca e qualora non dovesse diventarlo mai, allora aspetterò fino al giorno del giudizio»).