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 2010  luglio 19 Lunedì calendario

L’ULTIMO DELLA P3 CHE AMA I DOSSIER E I MESSAGGI IN CODICE

La farsa della P3, oltre a rici­clare logori arnesi del secolo scorso, ci regala un pittoresco personaggio tutto nuovo: Erne­sto Sica, quello del dossier a ba­se di trans sul Governatore campano, Stefano Caldoro.
Ho fatto diverse asserzioni e prima di passare a Sica voglio giustificarle. Perché la P3 è una farsa? Il pm romano, Giancarlo Capaldo, ha scambiato una combriccola di lobbisti per una setta massonica deviata o nuova Loggia P2. Su questa ba­se ha messo agli arresti tre per­sone e ne ha imputate altre per associazione occulta.
Finora, la loggia è solo una fantasia del procuratore. Non ha portato uno straccio di pro­v­a né sui presunti collegamen­ti massonici della lobby, né su­gli elementi che caratterizzano il consorzio segreto: lo statuto, l’elenco degli iscritti, i fini di­chiarati anche se nascosti. Se non lo farà, si sarà dato la zappa sui piedi e l’inchiesta finirà nel nulla. Bisogna però, fin d’ora, dare atto al magistrato di avere capito tutto del mondo d’oggi. Ossia, che senza una bella in­venzione giornalistica- e la log­gia P3 è degna di un grande pubblicitario- non ti fila nessu­no. Lui invece è riuscito a bec­carsi le prime pagine.
Ho anche detto che sono coinvolti nella faccenda «logo­ri arnesi del secolo scorso». Il numero uno è il settantottenne sardo Flavio Carboni, già cele­berrimo faccendiere negli anni Settanta e Ottanta. In affari per lustri con Carlo Caracciolo, pa­tron del gruppo Espresso, Car­bo­ni è stato al centro del pastic­cio del Banco Ambrosiano. Era sodale del Gran Maestro Ar­mando Corona, tuttofare del presidente del Banco, Roberto Calvi, protettore di Beppe Pisa­nu. Costui da sottosegretario al Tesoro del governo Spadolini (1982) garantì alla Camera che l’Ambrosiano andava a gonfie vele mentre fallì due mesi do­po. Secondo Angelo Rizzoli, che da quel fallimento fu deva­­stato, fu Carboni a spingere Pi­sanu a fare le dichiarazioni fa­sulle in cambio di 800 milioni di lire. Il do ut des non è stato mai provato ma mette in luce l’antica fama di maneggione del faccendiere. Tale era la sua nomea che il povero Flavio fu perfino imputato per l’uccisio­ne di Calvi, trovato impiccato nell’82 al ponte londinese dei Frati Neri.Dall’accusa-impro­babile- è stato assolto di recen­te. Flavio resta comunque un bel tipetto anche se datato. De­gli altri due del secolo scorso, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, si può dire che so­no, in scala ridotta, dei traffichi­ni dello stesso stampo.
Veniamo a Ernesto Sica, l’emergente. un trentottenne balzato di fresco alla ribalta che però ha occupato con autore­volezza. Per i magistrati fa par­te della P3 ma solo per il filone napoletano, non per quello del­l­e pale eoliche sarde che lambi­sce il coordinatore del Pdl, De­nis Verdini. Il giovanotto è auto­re di un dossier contro Caldoro che doveva screditarlo per im­pedirgli di candidarsi alla presi­denza della Campania.
La faccenda è tutta interna al Pdl. Sica prepara il materiale per silurare Caldoro e favorire Nicola Cosentino, il coordina­tore del Pdl napoletano di cui è fedelissimo, che puntava pure lui alla carica di governatore. La calunnia delle inclinazioni trans circola ma resta senza ef­fetto. Cosentino, infatti, accusa­to di associazione camorristi­ca, deve ritirarsi dalla lizza e Caldoro è eletto. Essendo tutti all’oscuro della sua partecipa­zione alla tresca, Sica riesce a farsi nominare assessore nella giunta del neogovernatore. Quando una settimana fa scop­pia lo scandalo del dossier, Er­nesto è costretto a dimettersi e a scusarsi con Caldoro per il kil­leraggio.
Il bello è che, mentre tutti si dicono estranei alla vigliaccata (Cosentino in testa), l’Ernesto poco ci manca che se ne vanti, anche se bontà sua la definisce una «C...ata». Rilascia intervi­ste in cui riconosce le proprie colpe ma le banalizza come se dare dell’amante di femminiel­li a un collega di partito fosse del tutto naturale.
Per lui l’espressione «dos­sier » è «esagerata». Si trattava, spiega alla Stampa , di una «re­lazione politica sul dottor Cal­doro. Forse, non correttissi­ma ».Ma-obietta l’intervistato­re­gli date del «culattone» (ter­mine intercettato). «Nel siste­ma maggioritario- risponde Si­ca col tono leggero della capa­fresca - la competizione c’è. Non facciamo gli ipocriti». Poi­tanto per dire che è l’uso - so­stiene di essere stato pure lui oggetto di diverse «relazioni» analoghe.
Quello che impressiona nel giovanottello è la spavalderia con cui accetta il ruolo di sica­rio. convinto di essere nelle grazie del Cavaliere e perciò in una botte di ferro. Anzi, a tratti, lascia scivolare paroline che sanno di ricatto. « stato Berlu­sconi a farla assessore (nella Giunta di Caldoro, ndr )? ». «Di­ciamo che mi si doveva un rico­noscimento », risponde. « in­tervenuto Berlusconi?», incal­za il giornalista. «Lui personal­mente, mi onoro della sua ami­cizia », replica l’Ernesto.
Dal contesto si capisce che Si­ca si ritiene sottovalutato. Tre anni fa è passato dalla Marghe­rita - il partito del centrosini­stra in cui militava - al Pdl por­tando trentamila voti. Li ha rac­colti n­el Salernitano di cui è ori­ginario da una ricca famiglia di imprenditori. stato fino a qualche mese fa sindaco di Pontecagnano Faiano, carica da cui gli deriva l’influenza elet­torale. Nel Pdl, però, arranca­va. Frustrato, ha cominciato a sgomitare. Di qui, la pugnalata a Caldoro e, quando Cosenti­no si è ritirato, l’incontro a brut­to muso con Verdini dal quale pretendeva di essere lui il can­didato alla presidenza della Re­gione. Nell’intercettazione che lo incastra, Sica ha detto: «Rac­conto tutto dall’estate del 2007 in poi. Ditelo al presidente (il Cav, ndr ). Non sono come la puttana di Bari». Ossia, non mi si liquida alla stregua di una D’Addario che,dopo una notte a Palazzo Grazioli, esigeva una concessione edilizia mai otte­nuta.
Il giornalista della Stampa gli ha chiesto il perché del parago­ne con «la puttana di Bari». «Questo intendevo - ha rispo­sto - . Silvio è buono, non mi può fare buscare tutta la vita». E quale il significato di «adesso racconto quel che mi è succes­so dal 2007? ».«Nel senso-repli­ca l’impunito- : mi sono stanca­to. Me ne vado. Non tanti han­no il mio coraggio».
Insomma un tipo senza ver­gogna. Il problema ora è que­sto: come fa il Cav a circondarsi di simili ceffi? Anche lui - come quel Gianpi Tarantini tenuta­rio delle escort - è stato cono­sciuto dal Berlusca in Sarde­gna. Sica era ospite di un im­prenditore campano che ave­va affittato la magione di Paolo Berlusconi, confinante o giù di lì con Villa Certosa. Si sono in­contrati e hanno parlato di poli­tica. L’Ernesto,craxiano in gio­ventù, poi demitiano e marghe­­ritino, si è invaghito del Cav e ha fatto il salto della quaglia. Il premier gli ha dato il dito, Sica si è preso la mano e ora minac­cia. Verrà mai il giorno in cui Berlusconi, soppesata certa gente, la prenderà a calci nel se­dere e chi s’è visto s’è visto?