
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La Direzione del Pd di ieri, la prima del neo segretario Epifani, è servita a distribuire un po’ di cariche e a dare inizio al percorso congressuale. Non sarebbe così interessante se non covasse sotto la cenere del dibattito, svoltosi a porte chiuse, la questione del presidenzialismo o del semipresidenzialismo, formula a cui ha dato un’improvvisa disponibilità il presidente Enrico Letta, l’altro giorno, dicendo che il prossimo capo dello Stato non sarà certamente eletto con le vecchie regole. Testualmente: «Assegnare questa elezione a mille persone non è più possibile». Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha subito colto la palla al balzo: «Penso che potremo arrivare all’elezione diretta del presidente della Repubblica perché anche da parte del Pd si stanno aprendo significativi spiragli». Letta ha poi smorzato il senso di quella sua prima presa di posizione, ma, insomma, l’argomento è sul tavolo e, come di prammatica, il Pd si è spaccato.
• “Presidenzialismo” significa che il presidente della Repubblica viene eletto direttamente dal popolo, come negli Stati Uniti?
Sì. Nel caso americano, il presidente della Repubblica è anche capo dell’esecutivo, cioè riassume in sé i poteri che da noi oggi sono di Enrico Letta e di Giorgio Napolitano. Oddìo, non è neanche vero questo, perché poi il nostro presidente del Consiglio di poteri ne ha davvero pochi e non può muoversi senza l’approvazione del Parlamento (oggi siamo una repubblica parlamentare). In America, è possibile varare una nuova legge in poche settimane e qualche volta in pochi giorni senza ricorrere alla procedura eccezionale che da noi va sotto il nome di decretazione d’urgenza. In Italia, come lei sa, anche la legge apparentemente più innocua, come potrebbero essere le nuove norme sul condominio, ci mettono anni per arrivare al traguardo (nel caso del condominio: undici anni). È per questo che il presidenzialismo appare come una tentazione.
• Solo per questo?
Il centro-destra vede nel presidenzialismo la via ideale per portare Berlusconi al Quirinale. Stiamo naturalmente prescindendo dall’esito dei processi e dall’eventuale condanna all’ineleggibilità (peraltro da confermare in Parlamento). Proprio per questo, il Pd ha letto le aperture di Letta e il rimpallo sorridente di Alfano con notevole angoscia. Senonché un pezzo di Pd vede il presidenzialismo come una tentazione forte. Sono, forse è addirittura inutile dirglielo, i prodiani. Prodi vede in un’eventuale faccia a faccia con Berlusconi (e magari con Grillo) l’occasione di una rivincita multipla sui suoi e sugli avversari del centro-destra. L’uomo è un poco vendicativo e non ha dimenticato lo schiaffo dei 101 franchi tiratori e le giornate di passione fatte passare al suo governo nel biennio 2006-2008. In ogni caso, anche nella direzione di ieri, Fioroni e Damiano hanno proposto che, prima di parlare di riforme, si svolga un’ampia consultazione con la base.
• Ma poi come funzionerebbe il sistema?
Il Pd non darà mai il presidenzialismo senza un sistema elettorale maggioritario, cioè con i candidati che si sfidano nei collegi. Dovrebbe trattarsi del metodo classico, simile a quello che si adoperava subito dopo l’unità: sfida nei collegi tra tutti e spareggio due settimane dopo tra i primi due. Idem per il presidente. Lo stesso metodo che si adopera per i sindaci. Senonché, non credo che, se mai questa riforma si farà, sbarcheremo sul presidenzialismo puro. Si tratterà piuttosto di un sistema semi-presidenziale, alla francese. Un sistema molto lodato da Giovanni Sartori.
• Di che si tratta?
Il popolo elegge il presidente della Repubblica e il Parlamento. Il presidente della Repubblica nomina poi il presidente del Consiglio. I due sono costretti a governare, in qualche modo, insieme, e il presidente della Repubblica diventa essenziale quando la maggioranza in Parlamento non appartiene al suo stesso partito. Sartori, nel suo vecchio Ingegneria costituzionale comparata
(1994), ha proposto un’integrazione che trovo geniale: se il parlamento fa cadere il governo, il presidente assume fino alla fine della legislatura i pieni poteri e deputati e senatori sono degradati alla semplice funzione di controllo. Ma ho visto che Sartori, dopo aver lanciato questa sua bella idea quasi vent’anni fa, non l’ha più ripresa. Forse non ci crede troppo neanche lui.
• Ma questi qui saranno capaci di fare una rivoluzione simile? Ma lei ci crede?
Chi sa. Napolitano gli ha dato diciotto mesi di tempo, chiaramente allungabili. Il consiglio dei ministri varerà dopodomani la legge che istituisce la Convenzione per le riforme, venti deputati e venti senatori scelti nelle rispettive commissioni costituzionali e poi integrati da un pool di 25 esperti-consulenti. Questi vareranno un testo, che il Parlamento dovrà poi sancire e che sarà in ogni caso sottoposto a referendum. Ma ne parleremo meglio quando verrà il momento.
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