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 2013  giugno 05 Mercoledì calendario

CERCASI FUTURO PER IL BIMBO CHE NON DOVEVA NASCERE

D’accordo, non ha un braccio e non ha le gambe, ma è una crea­tura con piena dignità, destinata da Dio o dalla casualità naturale, secon­do quello che vogliamo credere, a trovare comunque un posto nei destini insonda­bili dell’esistenza. É un bambino dolce e adorabile, come tutti gli esseri umani a due mesi di vita, ma nessuno può fingere che sia un bambino facile: negare la com­plessi­tà della storia sarebbe ipocrita e stol­tamente politically correct, insomma una di quelle operazioni false e corrotte che pa­pa Francesco ha appena massacrato con parole scarne, essenziali, forti, secondo il grande richiamo evangelico «il tuo dire sia sì sì,no no». E allora evitiamoci tante fa­vole belle, che magari ci fanno sentire mi­gliori, ma che farebbero soltanto male al piccolo soggetto di una vita già così diffici­le.
Due mesi fa, all’ospedale di Arezzo, il lieto evento. Tanto lieto non deve poi es­sere se subito dopo, apprese le particolari condizioni del neonato, i suoi stessi geni­tori si tirano indietro. Non se la sentono. Troppo gravoso l’impegno, troppo pe­sante la paura. É figlio loro, ma solo per po­che ore: non lo sarà mai più. Entrambi stranieri - secondo quanto lascia trapela­re l’ospedale alla Nazione -, madre e pa­dre decidono di non riconoscerlo e di la­sciarlo lì. Orrore e crudeltà? Mai giudica­re, in prove come questa: può esserci cer­to l’egois­mo cinico e incosciente di due perfet­ti nichilisti, ma può es­serci anche uno spaven­to talmente grande da gettare nel panico asso­luto.
Per fortuna il piccolo non resta solo. Il perso­nale del reparto mater­nità lo adotta subito con quel sovraccari­co d’amore che inevitabilmente si meri­ta. Lo chiamano Francesco, come il papa, come un santo intelligente e coraggioso. Le infermiere tengono a precisare che è un bambino bellissimo e normalissimo. Non c’è minimamente da dubitarne: la bellezza, i sentimenti, la sensibilità non dipendono da un braccio e da due gam­be. Però il problema esiste, inutile sorvo­lare. É un fatto che la tecnica medica con­senta già da tempo di ovviare a questi defi­cit fisici: certamente qualcosa troverà an­che per il futuro di Francesco. Ma è persino troppo evidente: questo nostro adora­to Francesco, prima di un braccio e di due gambe, ha bisogno di una famiglia. Una mamma, un papà, magari qualche fratel­lo. Da due mesi ormai aspetta: prima ha aspettato all’ospedale, ultimamente aspetta in un istituto attrezza­to. A tutti quanti noi sembra già di amarlo tantissimo, con sboc­chi di tenerezza e di commozione. Lo culle­remmo giorno e notte, lo strapazzeremmo di carezze, ma dal di fuori, come tifosi acca­lorati, partecipando emotivamente alla sua grande sfida. Il problema è che da que­sta passione collettiva bisogna distillare la scelta individuale, per lui vitale e decisi­va: dalla tenerezza generale bisogna arri­va­re al coraggio e alla generosità di una fa­miglia sola. L’unica che davvero serva a Francesco. L’unica che davvero possa cambiargli la vita, regalandogliene una seconda, completamente nuova, tutta da inventare. No, non è un’adozione facile. Non è un’adozione qualunque. Francesco avrà bisogno di un affetto particolare, fatto certo di cure mediche e di sostegni fisici, ma soprattutto di condivisione sincera. Niente pietismo, niente benefi­cienza: niente del ciarpame peloso che serve soltanto a smuovere qualche lacri­ma momentanea e qualche slancio calo­roso, salvo denunciare poi il fiato corto di una scelta puramente emotiva. A Francesco serve certo tanto cuore, ma anche tanto cervello. Gli serve un amore di lunghissimo periodo, smisurato e infi­nito, che non si incrini e non si smarrisca di fronte alle inevitabili difficoltà del do­mani, siano esse la freddezza di una so­cietà distratta, la lontananza di una burocrazia insensibile, le sicure umiliazio­ni dipinte nei sorrisi idioti di tanti umani senz’anima.
Francesco ha bisogno di una famiglia forte, degna, coraggiosa. Dopo tutto, di una famiglia vera, capace di prenderselo in braccio e di portarselo a casa, dove insegnar­gli giorno per giorno il modo miglio­re per affrontare il mondo, là fuori. Fami­glie così ne esistono ancora, ne esistono ovunque. Francesco aspetta solo quella che riuscirà a guardargli nella profondità degli occhi, dove balena lo spirito, senza notare nient’altro.