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 2013  giugno 05 Mercoledì calendario

BRAY È UNO CHE DICE SEMPRE NO

I Nimby sono a Palazzo. E che Palazzo! È l’ex Collegio Romano, già scuola gesuitica voluta da Sant’Ignazio, dove ha sede il ministero dei Beni culturali. Il popolo dei Not in my back yard, «non nel mio cortile» dicono gli inglesi per intendere quelli che si oppongono alle opere pubbliche troppo vicine a casa loro e che, per estensione, sono i paladini della conservazione paesaggistica e architettonica senza se e senza ma, il popolo dei Nimby, dicevamo, ha preso il dicastero tenuto da Massimo Bray, il dalemiano ex-direttore editoriale della Treccani.

Lunedì scorso dal mitico Mibac, ancora un po’ abituato al tran tran dell’inquilino precedente, l’ex-rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi, sono partiti alla volta delle agenzie di stampa ben due comunicati: il primo per bacchettare la giunta arancione di Giuliano Pisapia a Milano, il secondo per dire, dinnanzi, allo sconcerto, se non al panico di Palazzo Marino, che una soluzione si sarebbe trovata.

E che cosa ha cortocircuitato le relazioni fra il più bravo dei sindaci di centrosinistra e il più low profile fra i ministri piddini di Enrico Letta?

Di nuovo il trasferimento della Pietà Rondanini che a S.Vittore, goccia che aveva fatto traboccare il vaso dei rapporti fra il sindaco e il precedente titolare della cultura, Stefano Boeri? No, pietra dello scandalo e scintilla comunicativa è stato il vecchio Velodromo Vigorelli, l’impianto che ospitava le gare ciclistiche su pista. La giunta arancione aveva pensato di demolire la vecchia pista in legno, abbandonata da molti anni dalla Federciclismo (essendo la bici indoor uno sport ormai estinto), anche perché il conto dell’eventuale restauro sarebbe costato un bel milioncino di euro e già nel 1998, data dell’ultimo recupero, se ne erano spesi 500 milioni di lire. La giunta aveva pensato di dotare l’impianto, da recuperare complessivamente, di una nuova pista smontabile, in modo anche da non avere impegnata tanta superficie anche quando non si corresse in bici. In una nota puntuta il Mibac precisava che la demolizione non s’aveva da vare perché la pista è «elemento essenziale ’per la permanenza dei valori storico-documentali’ rappresentati dall’edificio». D’altra parte, spiegava la nota, il «Velodromo è oggi tutelato ope legis, (e del 1935, ndr) in quanto bene immobile di proprietà pubblica la cui esecuzione risale a oltre settant’anni, non ancora sottoposto al procedimento di ’verifica dell’interesse culturale’».

Insomma, caro Pisapia, di qui non si passa. Singolare che il comunicato fosse stato diramato proprio prima di un incontro col vicesindaco Ada De Cesaris sull’argomento, come lo stesso comunicato annunciava. Un intervento che, poche ore dopo, ha richiesto una correzione di tiro inusuale: «Il Mibac», ha spiegato l’ufficio stampa ministeriale, «precisa che nel precedente comunicato stampa in merito alla ristrutturazione del Velodromo Vigorelli non c’è alcun accenno a una bocciatura del progetto, bensì si fa riferimento alla necessità di verificare alcuni punti del piano di riqualificazione come da procedura ordinaria in caso di concorsi. La Soprintendenza e l’Amministrazione comunale», concludeva la nota, «lavoreranno insieme per completare le verifiche sul sito». Della serie “parliamone”ma quanto basta per ridare speranza al comitato dei ciclofili “Rivogliamo il Vigorelli” e a Antonio Colombo, patron del marchio storico della bicicletta, Cinelli, di dire alla cronaca milanese del Corsera che «il Vigorelli è un patrimonio inestimabile, un simbolo di Milano nel mondo». In effetti oltre alle grandi gare del bel tempo andato, Fausto Coppi ci stabilì nel 1942 il record dell’ora, si ricorda per uno storico concerto dei Beatles nel 1965, le partite di football americano dei Rhinos e, nel 2008, un utilizzo estemporaneo come sede della cerimonia finale del Ramadan. Ma ora, più che mai, «nessuno tocchi il Vigorelli», nuovo emblema dell’Italia in salamoia, intoccabile. E non già quella dei monumenti dei paesaggi, non quella delle skyline veneziane minacciate dalle turrite ambizioni di anziani maestri coutourier come Pierre Cardin. Il ministro Bray, noto suo malgrado per la piccata polemica, nei suoi confronti, da parte di Ernesto Galli Della Loggia, che lo considerava poco noto, e per sfoggiare un apprezzabile understatement che l’ha portato a visitare Pompei in circumvesuviana e la Reggia di Caserta in bici a nolo, ha fatto capire da che parte vuol stare nel mainstream politico-culturale del Bel Paese: dalla parte di coloro che dicono sempre di no.