Sara Faillaci, Vanity Fair 5/6/2013, 5 giugno 2013
MAMMA HO PRESO L’AEREO
Biagio Antonacci fa le domande che può capitare di fare quando si parlerebbe di qualsiasi cosa pur di non pensare a quella che ci rende nervosi. E, in questo momento, Biagio Antonacci è molto nervoso.
Abbiamo tutti le cinture allacciate, sta per decollare il volo che ci porta a New York, dove nei negozi da un paio di mesi è in vendita il suo ultimo album Sapessi dire no – quello delle 12 settimane al primo posto in classifica italiana, quello della tournée da 46 date tutte esaurite – e dove lo aspetta la sua prima esibizione americana, due date – esaurite anche quelle – alla Highline Ballroom. Per l’occasione, si è mossa al completo la famiglia del quasi cinquantenne cantautore: mamma Ornella, 69 anni, papà Paolo, 78, il «fratellino» Graziano, 39, da dieci suo inseparabile manager, e persino la trentacinquenne compagna Paola che, sebbene stia con Biagio da nove anni, raramente è al suo fianco nelle occasioni pubbliche.
Ma con il suo nervosismo il concerto imminente non c’entra. C’entra piuttosto il Boeing 767 che sta già sfrecciando sulla pista con i motori al massimo, pronto a staccarsi da terra. Lui ha gli occhi incollati al finestrino. Pochi secondi e siamo in aria.
Va meglio?
«Eh, magari. Ora viene il peggio, per me. Lo so, razionalmente, che i momenti critici sono il decollo e l’atterraggio, ma io ho più paura di quello che c’è in mezzo. Soprattutto di quel punto, in mezzo all’oceano, dove se succede un’emergenza non c’è nessuna pista di atterraggio raggiungibile».
Quando è iniziata la paura?
«Ce l’ho da sempre, dal mio primo volo, Milano-Palermo, per andare a registrare un programma televisivo. Avevo 25 anni. Qualche volo breve poi l’ho fatto, ma di quelli transoceanici non ne volevo sapere.
Fino a tre anni fa non ero mai stato a New York. E se ho trovato il coraggio, alla fine, è stato grazie a un amico d’infanzia che giocava in cortile con me a Rozzano: Fabio Magnifico, comandante Alitalia. L’idea che fosse lui a pilotare l’aereo un po’ mi tranquillizzava. Mi ha spiegato tutto – come funziona tecnicamente il volo, come si affrontano le turbolenze – ma non è servito a niente. Per me, se questo aereo arriva dall’altra parte è solo perché la mano di Dio ci accompagna».
Oggi, poi, il suo amico in cabina di pilotaggio non c’è.
«Ieri l’ho chiamato per sapere che cosa mi dovevo aspettare, mi ha mandato una mappa della rotta dove non c’era
neanche una turbolenza. Secondo me le cancella, sa che altrimenti non parto. Guardi per esempio ora: con tutte queste nuvole non siamo messi benissimo».
Tranquillanti?
«Una pastiglia per dormire: la prenderò appena avremo finito di parlare, per accertarmi di non essere cosciente nel momento peggiore, quel punto in mezzo all’oceano. Nessuno mi toglie dalla testa che volare, per l’uomo, sia innaturale. Per millenni siamo stati stanziali – si nasceva, viveva e moriva senza muoversi dallo stesso posto – e andava benissimo: ha idea di quante guerre ci saremmo risparmiati, se avessimo continuato così? Ora invece si vola dall’altra parte del pianeta solo per curiosità: assurdo... Shhhh! Che cosa hanno detto?».
Chi?
«Il pilota, all’altoparlante. Devo sentire tutto, ma se parlano solo inglese è un disastro, non l’ho mai studiato».
Mancanza di curiosità anche quella?
«Mescolata a una brutta pigrizia. La verità è che io sto bene solo a casa mia. Sto già pensando al ritorno, quando potrò andarmene in campagna da me, in Emilia, a rilassarmi».
Quindi New York, quando è venuto tre anni fa, non l’ha conquistata.
«Mi aspettavo, francamente, più fermento, più novità. Però è stato bello ritrovare i vecchi amici, quelli che se ne sono andati da Rozzano quando io non sapevo nemmeno che cosa fossero gli aerei, quelli che hanno avuto il coraggio di partire perché la periferia gli stava stretta. Oggi sono quasi tutti proprietari di ristoranti a Manhattan».
Lei invece è diventato un cantante famoso.
«Che ha 50 anni, sta sul palco da 25, e finora ha fatto solo due concerti all’estero, uno in Spagna e l’altro in Bolivia. Se avessi cantato in spagnolo come Laura (Pausini, ndr), anche io avrei potuto fare carriera in Sudamerica. Ma significava stare un mese all’estero solo per fare promozione e questo per me, all’epoca, era impensabile. Magari adesso invece mi butto:
ho voglia di provare nuove sfide, di vincere le paure».
Non sarà entrato anche lei in crisi di mezza età? In fondo ha una fidanzata giovane.
«Infatti mi riferivo al lavoro. Se però parliamo di ultracinquantenni che lasciano la famiglia per una donna più giovane, e magari fanno altri figli, a costo di essere impopolare dico che lo trovo naturale: nell’uomo c’è l’istinto genetico della conquista, e la fertilità è un modo per sentirsi giovani, virili. Le donne, che sono superiori da tutti i punti di vista, non devono drammatizzare. Consiglio di lasciarli fare e, se poi tornano, riprendeteveli, anche perché questa seconda vita, in novanta casi su cento, è solo un’illusione di amore. Gli uomini che non solo non giustifico ma detesto proprio, invece, sono quelli che non si assumono la responsabilità, morale e materiale, dei figli... Non è possibile».
Che cosa non è possibile? Che un padre si disinteressi dei figli? Purtroppo succede, anche spesso.
«No: non è possibile che siamo ancora in Europa e già c’è una turbolenza così. Qui butta male».
Non ci pensi. Mi dica, piuttosto: è per via della sua visione fatalista sulla durata dei rapporti che non si è mai sposato?
«Chi sta insieme tutta la vita – i miei sono sposati da 50 anni – fa un atto di fede, non di amore. L’amore ha una
partenza e sempre un arrivo, solo la fede è eterna. Giurarla davanti a un prete è una cosa seria, finora non me la sono mai sentita. Ma credo che prima o poi lo farò: sposarsi è un tale gesto di coraggio che, almeno una volta nella vita, bisogna provarci».
il tempo è brutto, si balla davvero. Antonacci si fa versare dalla hostess un bicchiere
di vino bianco, poi si gira a guardare i genitori seduti nella fila dietro. La madre, cuffie alle orecchie, urla: «Sto ascoltando Bocelli, è meraviglioso». Lui per un attimo si distende, sorride. «La mamma è entusiasta, da un po’ diceva che voleva vedere New York, ho pensato: se non ce li porto adesso, quando ce li porto? Papà era più restio, abbiamo dovuto convincerlo».
La prima volta che l’ho intervistata, sette anni fa, mi ha detto di avere con sua madre un rapporto morboso, un cordone ombelicale mai reciso.
«Oggi va meglio, ma resta un riferimento importante nella mia vita, la persona che chiamo subito dopo un’esibizione per sapere se mi ha visto e che cosa ne pensa. Con me è sincera, anche critica».
Come le è venuta in mente quella domanda sul figlio preferito?
«Graziano vive con i nostri genitori, si dedica a loro, li riempie di attenzioni. Io invece sto a Bologna. Può capitare che, a volte, ti venga il dubbio».
Non sarà gelosia la sua?
«Escludo. Se Graziano è qui lo deve a me: per non stare da solo ho chiesto un fratellino o un cane, ed è arrivato lui. A scuola chi me lo toccava era morto. E lui, il principino, è cresciuto protetto, all’ombra rassicurante del fratello grande».
Meglio essere secondogeniti?
«Molto meglio. Noi primogeniti riceviamo tante attenzioni, ma siamo anche schiacciati dalle aspettative. Lo vedo con i miei figli: a tavola si parla sempre del grande, il piccolo per attirare l’attenzione è costretto a fare di tutto (Biagio ha due figli - Paolo, 17 anni, e Giovanni, 11 - nati dall’unione con Marianna Morandi; anche la sua attuale compagna, Paola, ha una figlia adolescente da un precedente rapporto, ndr)».
Eppure con Graziano andate d’accordo: l’ha preso a lavorare con lei, gli ha affidato la gestione di tutte le sue cose.
«Visto quello che è successo a tanti colleghi, mi sono detto: se qualcuno deve scappare a Cuba con i miei soldi, tanto vale che sia mio fratello».
A novembre compie 50 anni ma non li dimostra. Nel 2010 ha posato nudo sulla copertina di Vanity Fair: lo rifarebbe?
«No e sì. No perché l’ho già fatto, sì perché ho ancora il fisico».
Non si sente invecchiato?
«Solo in certe piccole cose: comincio a guardare se in casa c’è la polvere, sono sempre più maniaco dell’ordine e della pulizia. Di positivo c’è che mi sento più libero. Dieci anni fa non avrei parlato d’amore con la leggerezza di una canzone come Non vivo più senza te, avrei temuto le critiche, l’etichetta: Biagio, il cantante delle donne. Oggi sono fiero di avere un pubblico femminile: è il più fedele».
adesso lo lascio dormire: gliel’ho promesso. Al suo risveglio, prima di atterrare a Newark, balliamo ancora per una mezz’ora buona, ma lui è sollevato, non siamo più in mezzo all’oceano.
Due giorni più tardi, al primo concerto, la Highline Ballroom è piena: italiani soprattutto, di ogni età. I vecchi amici di Rozzano danno l’assalto ai parenti: «Signora, si ricorda di me? Abitavo proprio di fronte a voi». Ornella annuisce ma non ascolta, ha orecchie solo per Biagio. Per due ore muove le braccia a tempo di musica, canta i testi a memoria. Quando poi arriva il momento della canzone che il figlio le ha dedicato, Le cose che hai amato di più, va in estasi.
No, non rimpiangere mai,
non illuderti mai,
certe cose non tornano più.
E non pensarci di più,
tu non pensarci anche se
son le cose che hai amato di più.
Si spengono le luci e lei sta ancora ballando.