VARIE 5/6/2013, 5 giugno 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - IL BAMBINO MORTO A PIACENZA PERCHE’ DIMENTICATO IN MACCHINA
REPUBBLICA.IT
"Ciao piccolo angelo... Riposa in pace". E’ il messaggio lasciato oggi davanti all’asilo "Testa tra le nuvole", dove Luca, due anni, ieri non è mai arrivato. E’ rimasto sul seggiolino dell’auto, dove il padre Andrea, 39 anni, che stava andando al lavoro, l’ha dimenticato. Una distrazione tragicamente fatale: Luca è morto dentro l’auto di famiglia parcheggiata sotto il sole in una strada di periferia di Piacenza. Quando lo hanno trovato, nel pomeriggio, Luca era già morto da quattro ore: il suo corpo aveva una temperatura superiore ai 40 gradi, raggiunta a causa del surriscaldamento dell’abitacolo, dove, secondo i primi rilievi degli inquirenti, la temperatura sarebbe salita a 60 gradi.
Il dramma di Piacenza Foto Dove è morto Luca
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Il sostituto procuratore di Piacenza Antonio Colonna, che coordina le indagini dei carabinieri di Piacenza, ha aperto un fascicolo nei confronti del genitore con l’ipotesi di reato di omicidio colposo. Venerdì prossimo
il medico legale Tiziana Folin farà l’autopsia sul corpo del piccolo Luca per stabilire con esattezza quale sia stata la causa della morte.
Il padre, che si trova ricoverato sotto choc in ospedale - come la madre, mentre altri parenti stretti, saputa la tremenda fine del bimbo, hanno avuto malori e sono stati portati via in ambulanza - è accusato di omicidio colposo. Non è ancora stato sottoposto a un interrogatorio perché non è in grado di parlare, in quanto sotto sedativi. L’uomo è incensurato e non ha mai avuto problemi con la legge. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, le maestre dell’asilo non si sarebbero allarmate per l’assenza del piccolo, poiché spesso il bambino veniva affidato dai genitori ai nonni.
È piuttosto certa la ricostruzione dei fatti da parte degli investigatori: l’uomo, come ogni mattina, avrebbe dovuto accompagnare il figlioletto al nido. Si è invece recato direttamente al lavoro. Quando il nonno è andato a prendere il bambino al nido, le maestre gli hanno detto che Luca non era lì. Un giro di telefonate, e la drammatica consapevolezza, nella mente del padre, di una dimenticanza fatale. E’ corso verso l’auto, ma Luca non respirava più. Inutile l’intervento del 118. E lì, su quella strada di periferia, ora restano solo fiori infilati nella rete del cancello, e messaggi per una famiglia straziata dal dolore.
La tecnologia può aiutare. Un apposito avvisatore acustico sulle auto per evitare che si ripetano tragedie come quelle del piccolo Luca. A fare la proposta, separatamente, il sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti Rocco Girlanda e il Codacons. Sia il sottosegretario sia l’associazione consumatori avevano già fatto in passato la proposta.
"Ritengo assolutamente necessario dotare le auto di sistemi di aggancio come gli Isofix per i seggiolini da bambini - dice Girlanda -, in grado di sfruttare tramite i loro ancoraggi alcuni collegamenti diretti tra i seggiolini e il corpo della vettura, e contemporaneamente di esigere che siano abbinati a un sistema di segnalazione acustico e visivo che rilevi la presenza del piccolo sul seggiolino stesso. Non è infatti più possibile sottovalutare a livello europeo un problema che in pochi anni ha prodotto la morte di diversi bambini senza giovarsi dei dispositivi che la tecnologia ci mette a disposizione e che gli stessi tecnici del Ministero dei Trasporti, con cui ho avuto un incontro a riguardo, ritengono fruibili per questa necessità".
Analoga la proposta Codacons: "Oggi, nelle auto moderne, ci sono avvisi acustici per ogni cosa possibile ed immaginabile. Se dimentichi di indossare la cintura, se lasci accese le luci, se dimentichi una portiera aperta, se parti con il freno a mano tirato, se vai in riserva con il carburante, se quando posteggi ti stai avvicinando troppo agli altri veicoli, etc etc. Ebbene, al pari di queste dotazioni oramai di serie sulle vetture, il Codacons chiede un avviso acustico collegato con il seggiolino per i bambini (o meglio con le cinture di sicurezza posteriori), in modo che quando il motore viene spento oppure il guidatore apre la portiera oppure fa per scendere dall’auto (basta un sensore di peso), ma la cintura posteriore è ancora allacciata, scatti immediatamente il suono d’allarme. Si potrebbe così avvisare il genitore distratto della presenza di un bambino nei sedili posteriori ed evitare in futuro tragedie come quella di ieri".
(05 giugno 2013)
CORRIERE.IT
Mentre Piacenza piange la morte del piccolo Luca Albanese, il bimbo di due anni dimenticato in auto dal padre sotto il sole per otto ore, e i genitori del bimbo sono ancora ricoverati sotto choc, emergono nuovi dettagli su quanto accaduto. Secondo i primi accertamenti la temperatura all’interno dell’auto dove il bambino è rimasto chiuso ha raggiunto i 60 gradi. Quando è stato soccorso dal padre e dal 118, verso le 17 di martedì, la temperatura del suo corpo era di circa 40 gradi. La conferma arriverà dall’autopsia che verrà compiuta venerdì dal medico legale, ma per gli esperti è plausibile che il bimbo sia morto per asfissia intorno a mezzogiorno, quando già si trovava da solo sull’auto da quattro ore.
GENITORI SOTTO CHOC - I genitori di Luca sono ricoverati in ospedale da martedì sera. L’uomo, Andrea Albanese di 39 anni, e la moglie, sono sotto choc, tanto che al momento l’interrogatorio nei confronti del padre non è stato ancora fissato. Le ipotesi di reato nei suoi confronti sono di omicidio colposo e abbandono di minori: avrebbe lasciato il figlio in macchina dopo aver dimenticato di portare il piccolo all’asilo, che si trovava vicino al luogo di lavoro. È stato il nonno materno a dare l’allarme quando è andato a riprendere Luca all’asilo e le maestre gli hanno detto che il bambino non era mai arrivato. Da qui la telefonata alla madre del piccolo e poi al padre che, appena intuito l’accaduto, si è precipitato in auto. Per Luca però non c’era più niente da fare.
LE INDAGINI - Nell’attesa di poter interrogare il padre del bambino, continuano le indagini dei carabinieri. Sono stati ascoltati i colleghi di lavoro dell’uomo, e il nonno del bimbo, che hanno confermato la ricostruzione degli inquirenti. I funerali dovrebbero tenersi nella giornata di sabato.
LUTTO - Intanto davanti all’ingresso della ditta Copra, dove Andrea Albanese lavora come dirigente, i colleghi e gli amici hanno posato tanti messaggi di cordoglio e mazzi di fiori nel punto dove il piccolo ha perso la vita. Anche davanti all’asilo che frequentava Luca tanti messaggi e fiori. «Ciao piccolo angelo, riposa in pace», si legge su un cartello. Il sindaco della città, Paolo Dosi, dal suo profilo Facebook ha voluto dedicare una «carezza» al piccolo Luca e «un abbraccio» ai suoi cari. «Quando il dolore è troppo forte - si limita a commentare il sindaco - è il silenzio a parlare».
I PRECEDENTI SECONDO IL CORRIERE DELLA SERA
DAL NOSTRO INVIATO MERATE (Lecco) — «Ho dimenticato la bimba in macchina»: al marito, al parroco, ai carabinieri che l’hanno interrogata per tutta la sera, a chiunque Simona ha gridato con la forza della disperazione la sua versione sulla morte della piccola Maria, la sua figlioletta di due anni, trovata in fin di vita all’interno dell’auto di famiglia.
Simona Verzelletti, 39 anni, insegnante di scienze al liceo scientifico Agnesi di Merate, ha raccontato di essersi scordata la sua terzogenita — che ieri mattina avrebbe dovuto essere affidata alla baby sitter — sul seggiolino della macchina prima di presentarsi in classe. Dopo cinque ore di permanenza nell’abitacolo, quando la fatale dimenticanza è venuta a galla, mamma e bimba si sono precipitate in ospedale, con Maria ormai cianotica. Ogni tentativo di rianimazione è stato vano. Maria è morta, ma le cause del decesso sono ancora misteriose. Hanno tentato di chiarirle i carabinieri, che ieri fin dopo le 23 hanno interrogato Simona nella caserma di Merate, alla presenza di un avvocato. Ma sull’esito del faccia a faccia, nulla per ora è trapelato.
Il primo a rendersi conto di quanto era accaduto è stato il marito della donna, Sergio Campana, ricercatore all’osservatorio astronomico di Brera a Milano. Ieri, poco dopo le 13, è rincasato nella villetta di famiglia in via fratelli Cervi a Robbiate (Lecco) e ha trovato nella segreteria telefonica una serie di messaggi, piuttosto preoccupati, della baby sitter. «Perché non mi avete portato Maria? È successo qualcosa?», chiedeva la donna. Sergio ha contattato la moglie, che stava ancora tenendo lezione a scuola; a quel punto Simona è parsa folgorata.
La giornata di ieri in Brianza era tutt’altro che torrida, ha piovuto quasi tutto il giorno e dunque è difficile ipotizzare una disidratazione della piccola. Nessuno comunque si è accorto di lei, forse perché la macchina non era parcheggiata in un punto particolarmente visibile. Dall’ospedale Simona Verzelletti è stata portata in caserma e da lì ha chiamato don Paolo, il parroco di Robbiate: «Anche a me ha detto piangendo che aveva dimenticato la piccola sulla macchina — racconta il sacerdote —. Lei è insegnante di catechismo qui in parrocchia, tutta la famiglia è molto unita. Starò loro il più vicino possibile». Nella vita di Simona e del marito non ci sono ombre: l’unico motivo di preoccupazione è stato un delicato intervento chirurgico a cui Sergio si era sottoposto di recente ma che si era risolto positivamente. «Forse è stato lo stress per quella malattia », commenta don Paolo. Forse, però non è ancora abbastanza per comprendere quanto accaduto
Claudio Del Frate
PEZZI DEL CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO
PIACENZA — Sparse per terra, le bottigliette d’acqua con le quali il padre e alcuni colleghi di lavoro hanno disperatamente tentato di rianimare il piccolo Luca. Nell’aria le urla del genitore: «No, no, cosa ho fatto! Voglio morire! Dio, Dio...».
Picchia un sole cattivo su questo cortile d’azienda alla periferia est di Piacenza, zona industriale, non lontano dal Po e dall’autostrada.
Alle sette di sera, i carabinieri stanno ancora cercando di capire: anche se forse non c’è più nulla da capire. La Citroen C4 grigia metallizzata è sempre lì: una bara a quattro ruote.
La gente fissa i vetri, sguardi bassi, qualcuno singhiozza. Sette ore, otto ore, troppe comunque: Luca, due anni, è rimasto lì dentro, anziché andare a ridere e a giocare con gli amici dell’asilo aziendale, come sempre, come tutti i giorni. Dimenticato dal padre. Vengono i brividi perfino a scriverlo. Ucciso dal calore, perché il sole era forte ieri a Piacenza e un’automobile chiusa per ore diventa in un attimo un forno microonde.
Quale mano diabolica, quale genio del male, ieri mattina ha cancellato dalla mente di Andrea, 39 anni, dirigente all’azienda di ristorazione «Copra», l’immagine del figlio seduto alle sue spalle, il suo dovere di padre, l’asilo che lo aspettava? Come è stato possibile? E come sarà possibile, ora, continuare a vivere?
C’è una scena dalla quale parte tutto. E tutto finisce. Sono da poco passate le quattro del pomeriggio di ieri. Il nonno di Luca, come ogni giorno, si reca in strada Borgoforte, non lontano da dove lavora il padre del bambino, per prendere il nipote all’asilo aziendale.
Appena entrato, incrocia lo sguardo interrogativo di una delle maestre, che gli dice: «Luca non si è visto oggi, pensavamo fosse malato...». Il nonno telefona allora alla madre del bambino, a casa. Che, a sua volta, chiama il marito, in ufficio. A questo punto, si entra in un girone infernale. L’uomo, fino a quel momento completamente preso dal lavoro, si rende conto in un attimo della tragedia. «Ha cominciato a urlare — raccontano alcuni colleghi —, ha gettato lontano il cellulare e si è messo a correre verso l’uscita: all’inizio non riuscivamo a capire che cosa fosse successo. Gridava: "Mio figlio, mio figlio, è là nell’auto da ore, com’è stato possibile? Perché? Perché?"...». Alcuni dipendenti, intuendo il dramma, si riforniscono di bottigliette d’acqua da un distributore automatico, ma quando arrivano nel cortile, assieme al padre, la situazione appare disperata. Il bimbo è immobile. Legato con la cintura. Il capo chino da un lato. Lo liberano, lo bagnano, cercano di rianimarlo.
Pochi istanti dopo arriva un’ambulanza del 118. «Abbiamo ricevuto — dicono i sanitari — alcune chiamate da persone che, uscendo dall’azienda, hanno notato il piccolo nell’auto».
Inutili i tentativi di rianimarlo. L’ambulanza se ne va con un piccolo corpo senza vita. E poco dopo anche il padre e la madre (giunta nel frattempo) vengono accompagnati in ospedale, entrambi colti da malore e in stato confusionale. I carabinieri non li hanno ancora interrogati e non è stato emesso alcun provvedimento. Se sulle cause della morte non sembrano esserci dubbi — colpo di calore e conseguente disidratazione — sarà quasi impossibile giungere razionalmente a una spiegazione di quello che è successo.
Parlare di dimenticanza, di fronte a una tragedia del genere, appare riduttivo. Come si fa a dimenticare un figlio di due anni? Eppure non è la prima volta. E in molti casi si è trattato di genitori totalmente presi dal lavoro o sotto stress.
Non ci sono giustificazioni. Le parole del sindaco di Piacenza, Paolo Dosi, non sono di circostanza: «È una disgrazia enorme e insopportabile: sono vicino ai genitori, e in particolare al padre, nel quale cerco di immedesimarmi: c’è certamente una colpa quando si compie una dimenticanza di questo tipo, ma egli stesso è vittima di un ritmo di vita che non pone attenzione alle cose fondamentali».
Forse, sotto il sole di questo cortile, non è morto soltanto Luca.
Francesco Alberti
PEZZO DI COMMENTO DEL CDS STAMATTINA
I n genere questo tipo di black out si associa agli oggetti: le chiavi di casa, il portafogli, i documenti, un orologio, una carta di credito lasciati chissà dove, perduti chissà per quale strano vuoto. Ma un bambino. È possibile trattare un bambino alla stregua di un oggetto? L’indignazione (degli altri che si ritengono al riparo da simili «dimenticanze») è facile, pur se comprensibile. Può darsi che anche il povero padre di Piacenza si sia indignato, in passato, leggendo di tanti altri padri (quello di Catania, quello di Teramo o quello di Passignano) che avevano abbandonato i figli nell’auto, sotto il sole cocente, scendendo, chiudendo la portiera e andando a lavorare come tutti i giorni, senza ricordarsi più del piccolo addormentato sul sedile posteriore. Indignarsi è facile, e anche comprensibile. «Come si fa a dimenticarsi di un bambino?». Ma si può mai pensare, ragionevolmente, che in quel cortocircuito, in quella distrazione clamorosa, in quel precipizio mentale ci sia davvero qualcosa di consapevole? Si parla di dissociazione, una specie di ipnosi: la tua coscienza se ne va dove vuole, non riesci più a dominarla, saltano le priorità, la cura, la responsabilità paterna. Salta tutto.
Non sarà scientificamente corretto, ma si può immaginare una piccola esplosione dei nessi logici e temporali, un fusibile andato in fumo, una bomba impercettibile che produce un buco nero, un cratere, un vuoto, una voragine, un’assenza, un lapsus fatale. E un vuoto non di un istante, ma di una mattinata, di una giornata intera in cui il ricordo e la «distrazione» non vengono a galla, ci si dimentica persino di essere un marito, un genitore, come se il cervello non riuscisse più a contenere nient’altro che quello che stai facendo in quel preciso momento e nel momento dopo e ancora in quello dopo, un’infinità di momenti accalcati l’uno contro l’altro, per ore. Come se la mente non lasciasse spazio al respiro, al riposo, al relax, alla riflessione, a una pausa, alla memoria, a un’emozione, alla coscienza. Una compressione che non concede spiragli.
Sarà l’abitudine vigliacca che divora l’identità, la consapevolezza, il proprio essere al mondo, le immagini familiari, una qualsiasi parola chiave che potrebbe diventare un gancio di lucidità, un motivo di risveglio da un sonno profondo, chi lo sa. Lo stress, il lavoro, l’ansia, la fretta? Prese una a una, sono tutte banalità. Banalità che però producono conseguenze mostruose, come il famoso battito di farfalla che provoca un uragano a migliaia di chilometri di distanza. Neurologia e psicologia insieme forse saprebbero spiegarlo. Forse no. Il sociologo noterebbe che c’è sempre (spesso) un’automobile che diventa una camera a gas e intorno c’è anche il non-luogo di Marc Augé, il parcheggio, magari immerso in una città assordante, frenetica. Banalità, anche queste. Probabilmente pensiamo di vivere vite ordinarie, senza sapere che ci sono diventate insostenibili. L’ordinario alterato, lentamente distorto, giorno dopo giorno, fino a diventare straordinario, sotto i nostri occhi non consapevoli. In America, dove negli ultimi dodici anni si sono verificati oltre 500 casi analoghi, stanno studiando dei prontuari per genitori «distratti».
Succede ovunque: Cina, Francia, Germania. Qualcuno prima o poi inventerà qualcosa: una suoneria collegata a seggiolino del piccolo e pronta a dare l’allarme quando si chiude la portiera. Ben venga ogni strumento preventivo. Ma è facile immaginare che stavolta la tecnologia, come l’indignazione, non basterà.
PAOLO DI STEFANO
PEZZO DI CRONACA DI REPUBBLICA
PAOLO BERIZZI
DAL NOSTRO INVIATO
PIACENZA
— La bara di Luca è una monovolume che si chiama come un grande artista spagnolo, ma qui di colori non ce ne sono, e lo spazio dell’immaginazione è lacerante. C’è l’assurdità della morte, un dolore impossibile da sperimentare. E tanta rabbia. Le sei della sera, il sole che si infrange sulla carrozzeria ancora rovente della Citroen grigio metallizzato. Il seggiolino è un piccolo feretro agganciato alle cinture, sul sedile posteriore. Quattro bottigliette d’acqua vuota — l’estremo tentativo di rianimare il bambino, di «raffreddarlo» — una confezione di fazzolletti di carta, una felpa col cappuccio è tutto quello che rimane all’interno. La prima cosa che pensi è che la morte di Luca deve essere durata molto più della sua intera vita. Una morte inconcepibile, doppia.
Luca Albanese è stato ucciso due volte a soli due anni. Prima inghiottito dalla voragine di memoria del padre la cui anima ora cesserà di vivere; poi asfissiato dal caldo infernale dentro una scatola di lamiere parcheggiata lì, sul ciglio della strada, nell’afa di una giornata estiva alla periferia di Piacenza. Dentro, c’era Luca. Ci è rimasto otto ore perché il padre se lo è dimenticato in macchina anziché portarlo all’asilo, cosa che era convinto di avere fatto. Come tutte le mattine. «Sulla pelle del bambino c’erano già dei segni di bruciatura», riferisce un investigatore edulcorando i particolari della scena del ritrovamento del cadavere (a opera dello stesso genitore).
Via Bresciani è uno stradone a una manciata di chilometri dal centro piacentino. Zona industriale, una landa di cemento, capannoni e zero alberi e nemmeno un filo di ombra. Il cimitero là in fondo. Dall’altra parte, a est, l’asilo nido “Testa tra le nuvole”, un nome che adesso suona cinicamente
grottesco. Luca era figlio unico, aveva compiuto due anni domenica scorsa, giornata di festeggiamenti, coi genitori, i nonni, gli zii. Veniva accompagnato all’asilo tutte le mattine dal padre: il nido è frequentato dalla maggior parte dei figli dei dipendenti della Copra, colosso della ristorazione aziendale dove Andrea Albanese, 39 anni, ha un contratto da impiegato addetto all’igiene alimentare.
«Andrea è uno regolare, ogni mattina lo stesso tragitto, la stessa abitudine: asilo e azienda», dice Roberto, collega e coetaneo, uno dei testimoni ascoltati dai carabinieri di Piacenza. E però è tutto drammaticamente chiaro, nessun giallo, nessuna piega nascosta. Le abitudini: anche quelle d’improvviso possono tradirti. Era talmente avvezzo a lasciare il figlio all’asilo prima di andare a lavorare. Una specie di automatismo ormai. Ma tant’è, ieri mattina papà Andrea, dopo avere messo in sicurezza il bambino nel seggiolino, salta un passaggio: si dimentica dell’asilo, e si dirige direttamente al lavoro. Molla la macchina all’esterno del piazzale della Copra. Sul ciglio della strada.
Sono le otto. Inizia l’orario di ufficio e inizia anche a battere il sole. Luca resta lì, immobile al suo posto. Pensare al calvario è una lama nello stomaco. Sarà l’autopsia a stabilire per quanto ha pianto e sofferto prima di arrendersi al forno che lo ha asfissiato, mentre accanto sfrecciavano le auto, in questo pezzo di provincia a metà tra la città e l’autostrada.
Sono le quattro del pomeriggio.
Il nonno paterno di Luca si presenta all’asilo: è lui che va a prenderlo di solito. «Non c’è», dicono le maestre. Il nonno chiama la nuora che chiama il marito. Ad Albanese torna la memoria, si precipita fuori dall’ufficio, apre la macchina e si imbatte nel macabro ritrovamento. Sono passate otto ore da quando ha lasciato il figlio in auto. All’interno dell’abitacolo la temperatura è tra i 30 e i
40 gradi (fuori ce ne sono 27). Il padre grida, è sotto choc. Si fermano dei passanti, arrivano i colleghi di lavoro. Albanese prova a gettare dell’acqua sul viso e sul corpo del piccolo, per rianimarlo. Svuota quattro bottoglie. Non c’è più niente da fare. L’uomo accusa un malore e viene accompagnato in ospedale, dove è ancora ricoverato. I carabinieri, coordinati dal capitano Rocco Papaleo, non sono ancora riusciti a interrogarlo. Hanno solo raccolto quello che l’uomo ha riferito ai primi testimoni giunti sul luogo
della tragedia: «Ero convinto di averlo accompagnato all’asilo».
La scoperta del corpicino dimenticato nell’auto provoca un effetto a catena. In via Bresciani arrivano subito la mamma del bambino e altri familiari. Luca è il primo a essere portato via in ambulanza. I carabinieri devono chiamarne altre quattro perchè, a turno, prima la mamma e poi altri parenti, il nonno e due zie, accusano un malore e devono essere trasportati al pronto soccorso dell’ospedale Guglielmo da Saliceto.
Il quadro per gli investigatori è drammaticamente nitido: si è trattato di una disgrazia. Da parte di Andrea Albanese «c’è colpa ma non dolo». Né lo stile di vita del genitore presenta aspetti tali per cui si possa collegare il passaggio a vuoto ad abusi (alcol o droga o farmaci). Si attende ora che venga eseguita l’autopsia, disposta dal pm Antonio Colonna. L’esame permetterà di ricostruire con certezza il filo delle ultime ore di vita di Luca. Poi, la tragedia di Piacenza finirà nella rubrica delle morti in auto dovute alla devastante distrazione dei genitori.
PEZZO DI REPUBBLICA: CATERINA PASOLINI E LO PASICHIATRA VITTORIO LINGIARDI
CATERINA PASOLINI
ROMA
— «È come se un buco inghiottisse una funzione mentale, la sicurezza della memoria affettiva. È un corto circuito del cervello che cancella per ore la cosa più importante della nostra vita». Vittorio Lingiardi, psichiatra, (autore
di La personalità e i suoi disturbi,
Il Saggiatore), e docente alla Sapienza pesa le parole.
Dimenticarsi un figlio, come è possibile?
«Accade più spesso di quanto si pensi: in America sono decine i casi ogni anno, c’è persino un’associazione di genitori che hanno visto il figlio morire così».
Perché succede?
«È come se si verificasse una dissociazione tra due modi di funzionare della memoria. Quella affettiva si congela, quella
procedurale prosegue e svolge i suoi compiti. Ci si ricorda di pagare il parcheggio e ci si dimentica il bambino nell’auto».
Cosa provoca la dissociazione?
«La memoria è una struttura complessa, a breve e a lungo termine, dichiarativa e procedurale, che è l’area di archiviazione dei ricordi in un certo senso automatici, come andare in bicicletta. Queste memorie agiscono tra loro e con la nostra vita emotiva. Difficile dire quale errore cognitivo o orrore emotivo mandi in tilt questa rete complessa».
Cosa scatena il corto circuito?
«Sicuramente non aiuta vivere in una società che ci costringe a essere multitasking, a funzionare come un computer aperto su dieci finestre contemporaneamente, ciascuna rivolta a un compito».
MICHELA MARZANO SU REPUBBLICA
È un dramma molto contemporaneo che non ha niente a che vedere né con la presunta irresponsabilità di alcuni padri di oggi, né con il disinteresse nei confronti dei bambini. È semmai il tragico sintomo di una società sempre più frenetica e sempre meno umana, in cui siamo tutti prigionieri di un fare irrequieto e convulso.
LA STAMPA
FABIO POLETTI
Venti metri e trenta secondi a volte fanno la differenza. Certi giorni bastano pure per una tragedia, inspiegabile nella sua banalità. Andrea A., 38 anni, dirigente d’azienda, viso pacioso sotto la barba curata, quei venti metri e trenta secondi li ricorderà tutta la vita, perché alla fine sono la sua “sliding door” verso una vita che non sarà più uguale.
Venti metri prima del cancello del suo ufficio dove adesso ci sono le ambulanze del 118 e i carabinieri pure quelli della scientifica con le tute bianche c’è l’asilo d’infanzia «Con la testa tra le nuvole...», un nome che pare beffardo in una giornata come questa. Luca A., due anni appena, non c’è mai arrivato in quell’asilo, suo padre se lo è dimenticato in auto dove è morto soffocato per il sole a picco, 27 gradi anche alle sette di sera di questa primavera che non voleva arrivare mai e che a Piacenza è arrivata nel momento peggiore.
«Cosa ho fatto... Cosa ho fatto...», si dispera Andrea A. mentre i colleghi provano a rianimare il bambino con le bottigliette d’acqua minerale e i sanitari del 118 tentano un impossibile massaggio cardiaco. Alla fine sarà il padre a finire in ospedale, al Civile di Piacenza. E poi sua moglie Paola. E anche il nonno, il primo a dare l’allarme in questo stradone - Strada Borgoforte, Piacenza Est - dove passa un sacco di gente ma chi va a guardare dentro la Citroen Picasso parcheggiata sul ciglio della strada. «Sono passato stamattina e non ho visto niente. Alle due del pomeriggio è passata mia moglie con il nostro nipotino e non si è accorta di niente... Quel bambino se lo sono dimenticato e non si è accorto nessuno...», fa una faccia così il vicino della cascina di fronte, l’unico casolare nel raggio di un chilometro.
Eppure in questo stradone dove le auto filano veloci di gente ce n’è tanta come sempre. Andrea A. dopo la laurea in Bocconi si era impiegato alla Copra, 20 mila dipendenti in tutta Italia, settore pulizie ma pure ristorazione. La mensa dell’Orsina dove Andrea A. lavorava come dirigente e che serve pure i dipendenti dell’ospedale vicino allora di pranzo era affollata come ogni santo giorno, anche ieri giorno maledetto.
Sul cancello della Copra un cartello avvisa che i colloqui di lavoro si fanno al martedì pomeriggio. «E’ terribile pensarlo, ma non si è accorte di niente nessuno... Andrea era disperato... Lo abbiamo dovuto sorreggere... Stava male dopo aver scoperto di avere ucciso il suo unico figlio, un bambino al quale era legatissimo...», ripetono i colleghi come un mantra. Una donna fuma nervosa mentre si aggira attorno all’auto. Per terra ci sono le inutili bottigliette d’acqua. I carabinieri lavorano in silenzio. Andrea A. sono riusciti appena a sentirlo, prima di farlo accompagnare in ospedale.
Per lui ci sarà un’incriminazione per omicidio colposo ma si capisce che la sua condanna è mica quella. In ospedale viene raggiunto dalla moglie che si è sentita male pure lei e dal nonno che non si dà pace per essere passato all’asilo solo alle 4 del pomeriggio. Quando ha scoperto che Luca non era lì, suo figlio era in ufficio come sempre e il bambino non poteva che essere in auto come un fagotto dimenticato.
Ci sarà l’autopsia adesso. Ma cosa sia successo in quell’auto dove alle due del pomeriggio ci saranno stati tra i cinquanta e i sessanta gradi non è difficile immaginarlo. Senza acqua, senza cibo, senza aria, Luca A. potrebbe essere morto nel primo pomeriggio.
Magari non se ne sarà accorto che stava per morire. Il seggiolino blu sul sedile dietro proprio alle spalle del padre e non in mezzo dove stanno i passeggeri, lo rende invisibile anche dallo specchietto retrovisore. Sul sedile dietro si vede un sandalo da bambino color argento. Deve essergli caduto quando sono arrivati i soccorritori. Sul sedile davanti a fianco del guidatore la «Gazzetta dello sport» è piegata con cura. Andrea A. non ha avuto tempo nemmeno di sfogliarla ieri mattina. Non ha avuto tempo per niente, preso da chissà quali pensieri, magari di lavoro, neanche di ricordarsi che suo figlio doveva andare come ogni giorno in asilo.
L’asilo «Con la testa tra le nuvole...» dove nemmeno le maestre si sono ricordate di Luca che aveva due anni e che adesso sorride per sempre solo sulla pagina Facebook di suo padre.
LA STAMPA
INTERVISTA CON LO PSICHIATRA DI MARCO ACCOSSATO
«S arebbe troppo facile sostenere che la tragedia di Piacenza è dovuta allo stress, ai ritmi insopportabili di vita a cui è sottoposto quel padre». Il dottor Vincenzo Villari, direttore della Psichiatria ospedaliera presso la Città della Salute e della Scienza di Torino sgombra immediatamente il campo da una semplificazione: «Lo stress è un argomento che può giustificare qualsiasi cosa, sarebbe riduttivo e banale limitarsi a questa analisi».
Allora che cosa può far dimenticare per ore un figlio in auto?
«Se escludiamo una causa patologica come una malattia al cervello, le ipotesi sono due. Capita che il nostro cervello abbia improvvisi buchi della memoria a breve termine. Una falsa coscienza che ci porta a comportarci in modo assolutamente, e a volte drammaticamente, incongruo. Non c’è un perché: accade e basta, anche se generalmente le conseguenze non sono così tremende come quanto è accaduto a Piacenza. Non a caso la coscienza torna, mai spontaneamente, soltanto quando qualcuno ci riporta alla realtà: la moglie o la baby sitter che telefonano per sapere se il bimbo è arrivato bene all’asilo o se il papà è già andato a riprenderlo al pomeriggio».
La seconda ipotesi?
«È quella che gli psicodinamisti chiamano “atto mancato”, appellandosi all’inconscio».
Diversi suoi colleghi sostengono questa ipotesi freudiana: dimenticare il figlio in auto, fino a farlo morire, sarebbe la traduzione di un conflitto irrisolto con il coniuge, un meccanismo inconscio...
«L’inconscio non può essere analizzato con generalizzazioni. Bisogna conoscere le persone coinvolte, la loro storia. Se parliamo di inconscio l’origine potrebbe essere anche una rivalsa nei confronti dei propri genitori. O un conflitto non risolto con il proprio esser stati bambini. Ma, ripeto, non si può generalizzare».
Un fatto è certo: a qualunque genitore sembra un fatto inaccettabile. E quindi imperdonabile.
«Questo è l’altro aspetto della vicenda, aspetto che rappresenta il “dopo” la morte del bimbo. Un evento del genere è devastante, porta alla necessità di elaborare un lutto che è impossibile da elaborare, perché pieno di sensi di colpa, innanzitutto nei confronti del bimbo morto, ma anche dell’altro genitore. La cronaca ci ha raccontato altre vicende identiche. Parliamo di persone ad altissimo rischio di depressione, fino al gesto più estremo che è quello del suicidio».
I PRECEDENTI (LA STAMPA)
3/07/1998 A Catania
nSalvatore Deodato, 27 anni, dimentica il figlio di 18 mesi, Andrea, sul seggiolino e va a lavorare: sei ore dopo, quando torna a prendere l’auto, il bimbo è morto per la disidratazione e le ustioni. Quel giorno a Catania era stata registrata una delle temperature più alte nella storia della città: 40 gradi.
21/05/2011 A Teramo
nElena Petrizzi, 22 mesi, viene dichiarata giuridicamente morta; il giorno prima era stato dichiarato il decesso cerebrale. Il 19 maggio il padre, Lucio Petrizzi, docente universitario, l’aveva lasciata in auto, per 5 ore, sotto il sole. Nonostante la tragedia, la madre difende il marito: «E’ un buon padre, non è colpevole di nulla».
27/05/2011 A Perugia
In provincia di Perugia, viene dimenticato in auto un bimbo di 11 mesi. Jacopo Riganelli muore: è rimasto per più di tre ore nell’abitacolo della Opel Corsa del padre, parcheggiata sotto il sole cocente a pochi metri dalla riva del lago Trasimeno. Sergio Riganelli, 41 anni, custode è il factotum dello Yacht Club Velico Trasimeno.
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A salvare i bambini potrebbe essere stato l’intervento dei carabinieri. Nel pomeriggio di ieri i militari sono stati allertati dai passanti di piazza Mazzini sulla presenza di due minori abbandonati in un’auto sotto al sole. I due genitori, un 42enne e una 40enne, avevano infatti chiuso i propri figli, una bimba di 6 anni e un bimbo di appena un anno, all’interno della loro auto lasciata parcheggiata sotto al sole e si erani allontanati per giocare a bingo.
La bambina dall’interno dell’auto dava segnali di non riuscire a respirare. I passanti, allarmati, hanno deciso di avvertire i carabinieri, mentre le commesse di un vicino negozio cercavano di tranquillizzare la piccola. Grazie ad alcune testimonianze è stato rintracciato il padre che era stato visto mentre si dirigeva verso la vicina sala Bingo dove infatti i genitori sono stati trovati intenti a giocare. Il magistrato di turno dei Tribunale dei minorenni ha subito disposto accertamenti di carattere sociale per capire se le condizioni di vita dei bambini all’interno del nucleo familiare possano essere ritenute disagiate. I carabinieri hanno condotto tutta la famiglia al reparto di pediatria dell’ospedale Vito Fazzi: la visita medica ha escluso la presenza di traumi. Entrambi i genitori sono stati deferiti all’autorità giudiziaria per abbandono di minori in concorso, aggravato dall’esercizio della patria potestà.