Marzio Bartoloni, Il Sole 24 Ore 5/6/2013, 5 giugno 2013
ILVA, BONDI COMMISSARIO PER UN ANNO
L’Ilva da oggi ha un commissario: è Enrico Bondi, attuale amministratore delegato dimissionario dell’acciaieria tarantina e uomo delle mille emergenze, dal risanamento della Parmalat alla spending review di Monti. Bondi sarà un commissario a tempo: dodici mesi rinnovabili al massimo due volte (3 anni in tutto). A lui il Governo si affida per salvare lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa che dopo il maxisequestro da 8,1 miliardi deciso a fine maggio dalla Procura di Taranto era vicino al default.
Ieri il Governo convocando d’urgenza una riunione del consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto salva-Ilva – firmato in tarda serata del capo dello Stato e da oggi in Gazzetta – che di fatto sospende la gestione della proprietà. E affida a un commissario – la nomina di Bondi è prevista in un apposito Dpcm già pronto per la firma del premier Letta – il compito di garantire la continuità industriale e le operazioni di bonifica previste dall’Autorizzazione integrata ambientale. La decisione di commissariare l’Ilva con un decreto – che attribuisce all’acciaeria la qualifica di «stabilimento di interesse strategico nazionale» – è arrivata dopo un lungo braccio di ferro all’interno del Governo con il Pdl che ha frenato a lungo il varo del salva-Ilva bis e con il premier Letta che è stato cruciale nello sblocco della partita. Capofila della protesta è stato l’ex ministro Raffaele Fitto, il primo a lanciare l’allarme a cui hanno aderito molti big del Pdl, come Maurizio Sacconi, che dopo il via libera di Palazzo Chigi di ieri pomeriggio ha parlato di un «esproprio aziendale» e di «pericoloso precedente per la difesa della libera intrapresa». Il decreto varato per il caso Ilva potrebbe infatti riguardare in futuro qualsiasi impresa medio-grande di interesse nazionale che minacci ambiente e salute, aprendo così le porte a un potere di commissariamento sempre in mano al Governo.
Un’ipotesi che il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato ha subito smentito: «Non si tratta di esproprio e al termine del commissariamento l’azienda tornerà ai proprietari». Una linea questa ribadita anche dal ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, che ha chiarito come il commissariamento sia «fortemente connesso» all’attuazione dell’Aia e dunque alla bonifica e che «l’orizzonte massimo» è proprio quello previsto per attuare l’autorizzazione integrata ambientale. Insomma terminato il risanamento l’azienda tornerebbe nelle mani della proprietà a cui comunque non è sospeso il diritto di vendere. Orlando ha anche ricordato come il commissario sarà affiancato da un subcommissario – nominato dall’Ambiente – con il compito di vigilare sull’Aia.
Resta il fatto che comunque il varo del decreto ha lasciato il segno all’interno della maggioranza che lo ha condotto in porto dopo un’estenuante mediazione di Letta e dei ministri Pdl che hanno convinto i più critici del partito. Tanto che il testo, dopo la riunione a Palazzo Chigi, è cambiato in più punti: innanzitutto sulla durata del commissariamento (in origine di 36 mesi, ridotti a 12), poi sulla nomina di due sub commisari (alla fine ne è rimasto uno) e infine sulla scelta di togliere il nome di Bondi dal decreto (servirà un Dpcm). Oltre a Sacconi ieri anche Renato Brunetta, presidente dei deputati Pdl, e Altero Matteoli sono usciti alla scoperto: «Ci sono criticità evidenti» ha detto il primo, «spero che l’esecutivo ci ripensi», ha aggiunto il secondo. Fitto, invece, dopo aver elencato «dubbi e perplessità» – dall’impunità del commissario di fronte agli azionisti alla mancanza di verifiche per prorogare il commissario fino alla nomima di un subcommissario «a carico dell’azienda» – ha assicurato che in Parlamento lavorerà per «migliorare profondamente» il testo.
Il decreto risponde comunque subito al nodo delle risorse messe sotto sequestro e ora svincolate in favore del commissario che dovrà utilizzarle per garantire attuazione dell’Aia, produzione industriale e pagamento degli stipendi. In questo modo – come ha ricordato Zanonato nella sua informativa al Parlamento ieri mattina – si dovrebbe evitare la chiusura dell’Ilva che «avrebbe un impatto economico negativo per 8 miliardi di euro all’anno». Di questi 6 miliardi solo dalle importazioni in più di acciaio: insomma un bel regalo ai competitor internazionali.