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 2013  giugno 05 Mercoledì calendario

IL GIRO ESTERO DEI FONDI DEI RIVA

MILANO
Il documento custodito negli archivi del Registro pùblico di Panamà porta la data del 18 dicembre 1997 e la firma del notaio Raquel Torrijos de Gomez. È un atto di sette pagine battute a macchina nel quale vengono conferiti pieni poteri a Claudio Ottaviani, fiduciario svizzero di Emilio e Adriano Riva, i proprietari del più grande gruppo siderurgico italiano. I pieni poteri consentono a Ottaviani di gestire la Amirel Holding, una società anonima fondata a Panama nel 1990 e che – secondo la procura di Milano – è coinvolta in un’operazione realizzata in Lussemburgo qualche mese prima del 18 dicembre di quell’anno. L’operazione sotto la lente dei pm riguarda un passaggio di quote azionarie che drena 529,8 milioni di euro dalla Riva Acciaio (oggi Riva Fire) e le avrebbe fatte approdare sulle sponde del canale di Panama, nella disponibilità della holding amministrata da Ottaviani. È andata davvero così?
Nel decreto del 22 maggio scorso con il quale sono stati sequestrati un miliardo e duecento milioni di euro ai fratelli Adriano ed Emilio Riva, il gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo scrive che la Amirel Holding è «una società panamense presumibilmente riconducibile... ad Adriano Riva». E il documento rintracciato dal Sole-24 Ore dimostra che la società panamense era sotto il pieno controllo del fiduciario dei Riva, Claudio Ottaviani.
L’inchiesta della procura di Milano è sfociata nel maxisequestro dei beni custoditi in otto trust schermati da mandati fiduciari presso la Ubs Fiduciaria e la Carini Spa. Ma ha ragione la procura o quei soldi sono stati accumulati lecitamente? Il sequestro è stato chiesto dal sostituto procuratore Stefano Civardi, che ha anche iscritto i due industriali dell’acciaio nel registro degli indagati per truffa ai danni dello Stato e trasferimento fraudolento di valori, mentre due professionisti sono accusati di riciclaggio. Ma le indagini non si fermano qui. Perché gli inquirenti sospettano che al "tesoro" dei Riva manchi una fetta e che altri soldi siano stati occultati in qualche paradiso fiscale. Dove? È possibile che gli investigatori stiano cercando alcune risposte tra Panama e le isole dei Caraibi, perché è da qui
che gli 1,2 miliardi sequestrati sarebbero transitati prima di confluire negli otto trust di Jersey. Il tragitto seguito dai soldi parte dall’Italia e attraverso Olanda e Lussemburgo arriva a Panama, a Curaçao e a Bonaire, isole delle ex Antille Olandesi. Poi il denaro si sposta in quattro società veicolo delle Isole Cayman e approda finalmente nel Bailato di Jersey, muovendosi sempre all’interno di paradisi fiscali.
Al termine di indagini complesse, la Guardia di Finanza ha ricostruito tre operazioni societarie attraverso le quali i fratelli Riva avrebbero costituito la maxi provvista di denaro. In tutte e tre le operazioni ci sono in gioco quote dell’Ilva. E una di queste coinvolge proprio la panamense Amirel. La società di cui Ottaviani nel dicembre 1997 diventa il dominus controlla, in quel periodo, la lussemburghese Steelbridge Finance, di cui Adriano Riva è presidente e lo stesso Ottaviani consigliere. La Steelbridge possiede a sua volta il 99,99% della lussemburghese Stahlbeteiligungen Holding, che detiene il 28,22% della Ilva Laminati Impianti e il 99,99% di Sidersur Sa, iscritti a bilancio al valore di 148,7 milioni di dollari. Nel maggio ’97, Riva Acciaio acquisisce la Stahlbeteiligungen Holding dalla Steelbridge per 529,8 milioni di euro. Le società sono tutte controllate dalla famiglia milanese, eppure – secondo la procura – Riva Acciaio sborsa una cifra di quasi cinque volte superiore al valore della Stahlbeteiligungen. I Riva, insomma, fanno uscire dall’Italia più di 500 milioni di euro sopravvalutando la società lussemburghese.
E dove vanno i soldi? Il denaro finisce nelle casse della Steelbridge, che però viene sciolta nell’aprile 1998, circa un anno dopo aver incassato gli oltre 500 milioni. La Steelbridge è interamente controllata dalla Amirel Holding che, come abbiamo visto è gestita da Ottaviani, uomo di fiducia di Adriano ed Emilio Riva. Dunque i soldi sarebbero finiti nella controllante panamense, la Amirel appunto, che però viene a sua volta sciolta il 2 giugno 1999. Nel frattempo i 500 milioni – sempre secondo l’ipotesi della procura – sarebbero confluiti in una delle quattro società delle Cayman fondate da Adriano Riva, e cioè la Jamuri, la Nebo, la Millicent e la Finia Limited e poi, infine, nei trust di Jersey.
Nelle ex Antille Olandesi potrebbe essere arrivato un fiume di denaro. Sulle spiagge bianche di Curaçao e di Bonaire sarebbero confluiti, infatti, anche i soldi che i Riva incamerano da altre due operazioni societarie scoperte dai magistrati di Milano. La prima è del dicembre 1995 e, secondo l’accusa, ha consentito ai due fratelli di far arrivare circa 288,6 milioni di euro ai trust di famiglia. Il passaggio di quote azionarie infragruppo si svolge in Olanda. La Erisider Holland (partecipata dalla Fire Finanziaria) acquista il 99% della Oak International Finance dalla Adimar Nv, una società con sede a Bonaire, e versa i 288,6 milioni di euro. I soldi, dunque, vengono parcheggiati nelle ex Antille Olandesi. Gli inquirenti non sono riusciti a individuare in che modo dalla Adimar i soldi siano poi finiti nei trust ma ritengono plausibile che le quattro società delle Cayman dei Riva «avessero tra i loro assets le azioni della società Adimar Nv intestate ad Adriano Riva e quest’ultima, una volta spogliata delle disponibilità finanziarie, sia stata sciolta». In effetti la Adimar non risulta più iscritta al registro della società di Bonaire.
La terza operazione si dipana tra il 2003 e il 2006. In questo caso 580 milioni di euro escono dalla Riva Acciaio (oggi Riva Fire), che acquista l’11,75% dell’Ilva dalla olandese Stahlbeteiligungen Bv (Stahl Bv), presieduta da Adriano Riva e con l’onnipresente fiduciario Claudio Ottaviani nel board. La Stahl Bv viene sciolta il 9 luglio 2007 e «tra il 2007 e il 2008 – scrive il gip – le disponibilità finanziarie detenute dalla stessa società confluivano, direttamente o per il tramite di qualche schermo societario, in uno, o in tutti, dei quattro trust di cui Adriano Riva figura quale settlor giuridico».
Dai documenti rintracciati dal Sole-24 Ore, la Stahl Bv era controllata al 100% dalla Yelverton Corporation Nv, una società di Curaçao il cui presidente era Adriano Riva, affiancato dal fiduciario svizzero Ottaviani in qualità di manager director. La Yelverton è stata messa in liquidazione il 13 agosto 2007. È possibile che proprio attraverso la Yelverton i 580 milioni di euro siano poi confluiti nei trust di Adriano ed Emilio Riva? Saranno le indagini ad accertarlo. Per l’avvocato Marco De Luca, legale dei Riva, «la responsabilità non sussite. Dettaglieremo un’istanza di revoca del sequestro. Abbiamo fatto ricorso al Tribunale del Riesame ma per elaborare una strategia difensiva occorre tempo, vista l’enorme quantità di documenti da esaminare». Il "tesoretto" doveva essere in parte reinvestito nell’Ilva di Taranto dopo essere stato rimpatriato giuridicamente con lo scudo fiscale del 2009? Difficile dirlo, ma i fatti dicono che gli unici soldi investiti nel gruppo Riva con il miliardo e 200 milioni di euro sono 60 milioni utilizzati per sottoscrivere un prestito obbligazionario di Riva Fire nel dicembre 2011. Dai trust, in verità, sono usciti nell’aprile 2013 altri 16 milioni per sottoscrivere obbligazioni. Dell’Ilva? No, di Alitalia.