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 2013  giugno 05 Mercoledì calendario

GLI ORRORI DI UN PAESE DISTRATTO

Forse non è ancora chiaro a tutti che il processo Eternit non riguarda solo Casale Monferrato. In Italia l’amianto uccide ogni anno oltre duemila persone.
In tutto il mondo, ne ammazza centoventimila: più o meno una ogni quattro minuti. Non è dunque una storia locale, e non è neppure una storia del passato, chiusa dalla sentenza di lunedì. Dal 1992 in Italia sono proibite l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione dell’amianto: ma dove l’amianto c’è, nessuno è obbligato a rimuoverlo. Si calcola che ci siano ancora 32 milioni di tonnellate da smaltire e 35 mila siti da bonificare. Finché le tettoie di Eternit sono integre, non c’è pericolo. Ma quando cominciano a erodersi, o a rompersi (ed è inevitabile che accada perché, nonostante il nome, non sono eterne), le loro fibre vanno in circolo, e noi le possiamo respirare. Non tutti quelli che le respirano si ammalano. Ma chi si ammala se ne accorge dopo dieci, venti, trenta o quarant’anni, quando è troppo tardi: a tutt’oggi, una cura non c’è. Secondo il Registro nazionale dei tumori da esposizione all’amianto quasi la metà dei malati è concentrata in tre regioni: Piemonte (18 per cento), Lombardia (17,7) e Liguria (12).

Cifre del genere dovrebbero provocare una mobilitazione generale.

Si dovrebbe continuare a indagare, a intervenire, ad andare a caccia di nuove storie come quella di Casale. Eppure proprio il magistrato che ha dato il la al processo di Torino, Raffaele Guariniello, ieri in un’intervista a La Stampa ha lanciato l’allarme: ha detto che troppe tragedie sono «dimenticate dalla giustizia», che «non c’è la cultura, non c’è la specializzazione dei magistrati». È di questi giorni la notizia di un’inchiesta ad Avellino per i lavori eseguiti sui treni: ventiquattro avvisi di garanzia per la morte di dieci operai. Ma sono casi rari. Di Guariniello, in Italia, ce ne sono pochi: ieri una donna di Napoli, Luisa Pastore, gli ha portato le foto dei genitori due operai della Eternit di Bagnoli morti di mesotelioma pleurico. «Che Dio la benedica», ha detto la donna a Guariniello.

Felice Casson, magistrato, oggi senatore del Pd, è uno dei più sensibili all’argomento. Ha appena presentato un disegno di legge che si pone tre obiettivi: la tutela delle vittime; un censimento per lo smaltimento dell’amianto ancora in giro; la sorveglianza sanitaria. Dice che Guariniello ha ragione: «I processi sono pochi. C’è stato quello di Torino, e c’è stato quello che ho avviato io a Venezia contro gli amministratori della Fincantieri Breda di Porto Marghera, un processo finito con condanne in Cassazione per la morte di operai e delle loro mogli. Poi, però, poco altro. Anche negli atti parlamentari su questi temi sono spesso costretto a sottolineare le mancanze della magistratura». Spiega così l’inerzia: «Tra i magistrati c’è scarsa sensibilità; c’è una carenza di preparazione professionale; e c’è la tendenza a non seguire le direttive del Parlamento, che impongono di privilegiare i processi per le morti sul lavoro».

A Casale dicono che se la battaglia contro l’amianto è partita da lì è anche a causa di una fortunata combinazione: «L’incontro, ventisette o ventotto anni fa, tra me, Nicola Pondrano operaio della Eternit e Bruno Pesce sindacalista della Cgil», dice Daniela De Giovanni, oncologa: «Eravamo tutti e tre giovani e fortemente motivati». Videro una lettera che il professor Benedetto Terracini, allora direttore del Servizio di epidemiologia dei tumori di Torino, aveva inviato a tutti i medici di Casale: segnalava una «preoccupante epidemia» di mesotelioma pleurico. «Ci chiedemmo come mai proprio da noi si moriva così in tanti di quella malattia, e da lì partì la nostra battaglia», dice la dottoressa De Giovanni. «Avemmo la fortuna», aggiunge, «di trovare, a Torino, l’appoggio del mondo accademico».

Oggi il professor Terracini ha 82 anni ed è in pensione, ma continua a occuparsi di amianto. L’altro ieri era in aula ad ascoltare la sentenza d’appello. «Sì», ricorda, «fu una fortunata combinazione, l’incontro tra me, Pesce, Pondrano, la De Giovanni e poi Guariniello. Eravamo un po’ sessantottardi e intendevamo la scienza e la giustizia al servizio del popolo». Anche secondo lui oggi non c’è sufficiente attenzione; ma non pensa che la colpa sia dei magistrati: «Darei più responsabilità al mondo scientifico. È piuttosto disinteressato alle malattie da lavoroe, più in generale, vive troppo chiuso in se stesso, distante da quel che lo circonda. La magistratura non interviene anche perché non riceve segnalazioni».

C’è infine un’altra motivazione, molto umana. «Basta andare ad Asti o a Milano», dice Daniela De Giovanni, «per sentirsi dire, anche dai colleghi, che facciamo troppo casino sull’amianto. Finché un problema non ti tocca, non te ne occupi».