Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 05 Mercoledì calendario

IL “DEFAULT AMBIENTALE” SPAVENTA GLI INDUSTRIALI “FINIAMO COME IN URSS”

Per la prima volta in Italia un’impresa sana, anzi ricca, viene commissariata con un atto del governo: proprietari esclusi dalla gestione e privati della cassa. E’ il rivoluzionario concetto di «default ambientale».

«Situazione eccezionale» e quindi non replicabile, ripete il governo per rassicurare gli industriali, timorosi che il caso Ilva crei un precedente e il default ambientale diventi un’ombra lunga su altre imprese. Nei giorni scorsi, esponenti confindustriali hanno fatto sentire con una certa insistenza a Palazzo Chigi questa preoccupazione. Ma non sono stati ascoltati più di tanto, come confermano le rimostranze del presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, che definisce il decreto «sbagliato e sproporzionato perché rischia di fare un disastro. Da oggi ogni fabbrica potrebbe essere commissariata solo per contestazioni ambientali effettuate da un pm». Questo è il punto. Non la sorte dei Riva, sufficientemente impopolari anche presso i colleghi, ma di altre industrie e di altri industriali.

In genere i commissari per le bonifiche arrivano quando la fabbrica è chiusa e i proprietari evaporati. Negli anni ’80, per imprese ancora in attività, con «dichiarazioni di alto rischio industriale» (Manfredonia, Porto Marghera) lo Stato si era affiancato al privato per bonificare. Qui siamo alla sostituzione. Secondo Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, l’uso dei soldi dei Riva per la bonifica garantisce il rispetto del principio europeo «chi inquina paga», dunque «il commissariamento era l’unica soluzione». «Lo avevo detto subito: separare proprietà e gestione», dice Gianfranco Amendola, celebre pretore d’assalto specializzato in questioni ambientali, ora procuratore a Civitavecchia. Stefano Leoni, fino a pochi mesi fa presidente Wwf dopo aver condotto la bonifica dell’Acna di Cengio (la migliore in Italia), spiega: «Il decreto del 2012 era solo un modo per rimandare il problema a dopo le elezioni: si sapeva che la situazione non sarebbe cambiata e lo Stato avrebbe dovuto sostituirsi ai Riva. Siamo di fronte a un’evoluzione giuridica ed è comprensibile l’incertezza. Ma non vedo altre Ilva in Italia».

Eppure tra i giuristi non mancano le perplessità. Enzo Di Salvatore, docente di diritto costituzionale comparato che sta organizzando all’università di Teramo il principale convegno sull’Ilva, parla di «provvedimento insolito» e individua un’incompatibilità con la direttiva europea sulle prescrizioni ambientali. Fabrizio Fracchia, professore di diritto amministrativo alla Bocconi, solleva due questioni: «Da un lato il governo, ordinando lo sblocco dei soldi, interviene su un sequestro giudiziario in modo persino più invasivo del decreto del 2012; dall’altro svuota un’impresa, entrando nella cabina di comando».

Al di là dei probabili ricorsi (Corte costituzionale, Unione europea), sullo sfondo c’è una questione politica. Vinicio Nardo, segretario dell’Unione Camere Penali, la mette così: «Lo scontro tra governo e giudici è superato, il governo va nella direzione dei giudici. Il potere politico ha fatto un passo indietro, accettando che la magistratura si faccia carico non solo di accertare reati, ma anche di stabilire la politica ambientale». E conclude: «Capisco che l’imprenditoria si senta “aggredita” non solo dal procuratore della Repubblica, ma anche dallo Stato. Che si fa? Sulla spinta dei magistrati si commissaria a destra e a manca? Rischiamo di diventare uno stato sovietico».

Quel che è chiaro a tutti giuristi politici imprenditori e ambientalisti - è che siamo a una svolta. Il diritto cambia perché è cambiato il clima. Ugo Mattei, civilista a Torino e teorico del nuovo diritto pubblico dei beni comuni, legge il decreto Ilva con le sentenze Eternit e Thyssen. «La Costituzione riconosce il valore di proprietà privata e impresa se si fanno carico di generare ricchezza e di sopportare i costi sociali. Sulle ali di una maggiore sensibilità pubblica, c’è un’offensiva significativa sugli imprenditori-speculatori che fanno il contrario: sottraggono ricchezza e scaricano costi sociali. Tutto ciò non è nuovo, ma ora si sopporta meno. In parte a causa della crisi, in parte per l’azione di una certa magistratura. Ma attenzione: non si tratta di magistratura forcaiola. Sono più efficaci i Guariniello che gli Ingroia».