M. Gu., Corriere della Sera 05/06/2013, 5 giugno 2013
LASCIA IL PARTITO PER LA FONDAZIONE DI CAPALDO. LA SCELTA DI FOLLINI —
La sedia di Marco Follini, ieri in direzione, è rimasta vuota. L’ex senatore centrista lascia il Pd, senza rimpianti e senza strappi. Un’uscita dolce e in punta di piedi, che priva il partito di una figura che ha rappresentato, per anni, una delle punte più avanzate dell’area moderata. Da «democristiano che non vuole rifare la Dc ma non rinuncia a essere democristiano» Follini ha scelto di aderire alla fondazione di Pellegrino Capaldo, Nuovo millennio per una nuova Italia, nella quale vede «l’embrione di un futuro progetto politico». Già segretario dell’Udc e poi tra i fondatori del Pd (era nel Comitato dei 40 che scrissero i princìpi), Marco Follini si è convinto che la pacificazione imposta dalle larghe intese abbia innescato un inevitabile mutamento dell’offerta politica. Con i democratici «destinati a scivolare a sinistra» l’addio è un passaggio obbligato per uno che è stato, tra l’altro, vicepremier di Silvio Berlusconi. «Io credo al centrosinistra con il trattino, un trattino lungo fino a Milano come dice Gerardo Bianco — ha spiegato a qualche buon amico che vanta nel Pd — Se tu costringi tutti dentro lo stesso partito, ci si paralizza a vicenda... Se tu invece lasci che le due culture politiche, sinistra e anima cattolica, si esprimano fino in fondo, dopo realizzi anche le condizioni dell’alleanza». Due forze, separate e alleate. Un Pd di sinistra e un grande centro ricostituito. Sono ragionamenti che Follini ha illustrato a suo tempo anche a Pier Luigi Bersani. Tra i due c’era una discreta intesa, finché l’ex segretario, inseguendo le sirene della rottamazione renziana, non si è messo in testa di indire le primarie per i parlamentari, costringendo uno con la storia di Follini a sfilarsi. Per orgoglio, certo, ma anche per marcare una distanza sul piano delle idee. Per anni è toccato a lui fare il controcanto riformista al segretario di turno. Alle primarie nel 2007 si schierò con Veltroni e nel 2009, a sorpresa, scelse Bersani invece di Franceschini. Le larghe intese dovrebbero essere nelle sue corde, invece lo sguardo di Follini sul governo sembra è a dir poco disincantato: «Letta? Lo misuro sul campo». Abituato com’è a fare passi indietro, Follini non sbatte la porta e non rinnega nulla dei sei anni passati a diluire gli eccessi di colore rosso del suo ormai ex partito: «Nel Pd c’è tanta gente che al Paese può dare molto, tante personalità con le quali chiunque abbia amore per la politica e spirito democratico deve dialogare...». Con «una vita politica movimentata alle spalle», Follini non pare avere urgenza di ricollocarsi. Non ha cercato una candidatura alle Politiche, né una poltrona al governo e dopo il pamphlet «Io voto Shakespeare» si è rimesso a scrivere: «Un saggio sul potere. Essendone digiuno, posso parlarne con maggiore libertà».
M.Gu.