Camillo Langone, Libero 5/6/2013, 5 giugno 2013
IL PAPA NON È POLITICAMENTE CORRETTO
Le omelie di Papa Francesco sono come le ciliegie (è pure stagione): una tira l’altra. Non c’è giorno che da Santa Marta, la piccola, modesta chiesa scelta dal Santo Padre per le sue celebrazioni quotidiane in evidente contrapposizione con l’immensa, trionfale basilica di San Pietro, non arrivino parole capaci di indirizzare la vita di chiunque abbia davvero voglia di capirle e farle proprie. Quella di ieri potremmo definirla l’omelia contro il politicamente corretto anche se qualcuno ha preferito sottolinearne la critica all’ipocrisia: concetti che pur somigliandosi non sempre coincidono. A scagliarsi contro l’ipocrisia sono capaci tutti: sono capaci tutti fin troppo, vorrei dire. È almeno dalla glasnost, la trasparenza gorbacioviana di fine anni Ottanta, che il mondo tributa onori esagerati alla franchezza, imponendo a ogni uomo di mettere in piazza ogni aspetto della propria vita. Fino all’odierna ossessione grillesca e internettiana per i redditi e finanche gli scontrini dei politici. Fino alla presente mania del cosiddetto «outing» che per un omofobo come me significa «orrendo sputtanamento» mentre per gli omofili è l’indispensabile esibizione della tendenza ad avere rapporti carnali con individui del proprio sesso.
A dirsi contro il politicamente corretto siamo molto meno. E quando poi questa espressione piuttosto vaga la si precisa un poco, ecco che i suoi detrattori si rarefanno ulteriormente. Perché propugnare certe idee non è pericoloso solo politicamente, è pericoloso anche socialmente (rischio di emarginazione) e pure giuridicamente (rischio di querele). In Inghilterra i professori che osano definire peccato l’omosessualità vengono licenziati, in Francia chi indossa felpe favorevoli alla famiglia composta da padre, madre e figli viene portato al commissariato...
E in Italia? In Italia per chi compie simili gesti di indipendenza intellettuale per ora c’è solo la riprovazione mediatica ma è in arrivo la mordacchia legale, i nostri parlamentari ci stanno lavorando alacremente perché di migliorare la situazione economica non sono capaci mentre quando si tratta di peggiorare la situazione morale risultano assolutamente idonei.
E quindi il Papa è stato molto, forse troppo esigente, dal pulpito della cappella vaticana: «I cristiani non devono usare un linguaggio socialmente educato ma devono farsi portavoce della verità del Vangelo». Vi rendete conto? Ci ha spronati alla maleducazione sociale. Com’era bello il tempo in cui la pratica cattolica garantiva approvazione e quieto vivere. Com’era bella e com’è lontana quella stagione: oggi chi vuole seguire le esortazioni papali dev’essere pronto a vivere pericolosamente. Basti pensare ad Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, presidentessa e direttore generale della Rai, ieri a messa proprio a Santa Marta, guarda che caso. Dopo una notte di angosciosa conversione, tipo la manzoniana notte dell’Innominato, fossero appena coerenti con le loro genuflessioni si dovrebbero dimettere o dovrebbero chiudere tutti i telegiornali, che del politicamente corretto sono instancabili megafoni, e tutte le fiction, che del politicamente corretto sono perfette rappresentazioni.
Vogliamo scommettere che invece non succederà un bel niente? Passata la festa gabbato lo santo, si diceva una volta. Oggi si può dire: passata la messa, gabbato Bergoglio. «Quando Gesù parla ai suoi discepoli» ha ricordato durante l’omelia, «dice: Il vostro parlare sia sì, sì; no, no». E qui dovrebbero dimettersi in massa i politici, a cominciare da Enrico Letta che ha inaugurato la sua presidenza con un discorso alle Camere tanto lungo quanto incomprensibile. Il suo è il parlare del boh: ottimo per durare a Palazzo Chigi, pessimo per superare un esame di coscienza.
Un altro che dovrebbe riflettere, fosse capace di farlo, è Matteo Renzi, che in materia di ipocrisia ha superato da tempo i suoi modelli democristiani. «Con tutti i problemi che ha il Paese», ha detto ieri a margine di una riunione piddina, «una mia candidatura alla segretaria non mi sembra sia una questione prioritaria». Ogni volta che il sindaco di Firenze apre bocca offre un notevole esempio di sì che è no e di no che è sì: la sua fortuna è che il Papa non fa mai nomi.