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 2013  giugno 05 Mercoledì calendario

ADDIO PAPÀ GATTO (TINTO)


[figlia di Little Tony, Cristiana]

S’è nascosto come un gatto, Little Tony, nei mesi più feroci della malattia. Per non tradire il suo «amore verso la vita e la gioventù», come racconta la figlia Cristiana. Per lasciare intatto il ricordo di quel ciuffo impomatato di nero anche a 72 anni, del sorriso dolce e un po’ bastardo, della camicia con le frange alla Elvis Presley (il suo mito), di tutte le cose cioè che lo hanno accompagnato in 50 anni sul palco, con Cuore matto, Bada bambina, La spada nel cuore. «Papà aveva la fissa della tinta. Non l’ho mai visto con i capelli bianchi “perché fanno vecchio”, ripeteva. Li ha fatti tingere anche all’autista del pulmino che ci portava ai concerti. E ai musicisti, a suo fratello: dovevano essere tutti “ragazzi” sul palco». Cristiana Ciacci ha 39 anni, i capelli biondi («Li coloro anch’io, ma perché li avrei troppo castani»), stesso taglio di bocca di suo padre, uguale energia.

Little Tony, un ragazzo per sempre.
«Era leggero e forse incosciente. Non ha mai avuto la pesantezza della maturità».
E tante donne.
«Sono cresciuta con questo viavai di fidanzate. Fin da piccola mi sembrava una cosa normale. Ma mio padre non mi ha mai dato motivo per essere gelosa, perché mi ha sempre fatto sentire l’unica donna della sua vita».
Le ha conosciute proprio tutte?
«Eccome. E ognuna cercava di entrare nelle grazie di papà “allisciandosi” la figlia, ovviamente. Io le ho massacrate tutte. Era diventato uno sport, oramai».
Da piccola non dev’essere stato facile.
«Sono nata che i miei genitori erano già separati. Non ho mai avuto una visione di famiglia normale. Fino a 13 anni ho vissuto con mamma Giuliana, e il sabato e la domenica li passavo con papà. Ma c’era sempre qualcuna di turno con cui condividere quei momenti. Un po’ mi dispiaceva, ma poi Tony mi portava a fare cose divertenti».
Anche ai concerti?
«Già a 4 o 5 anni. Stavo dietro al palco. Soltanto dopo Cuore matto uscivo e lo aiutavo a distribuire le foto autografate».
Quando lei è nata, però, il successo di Little Tony era già al tramonto.
«Ma lui viveva nella gloria di quei vecchi successi, e non ha mai avuto un calo vero di popolarità. Le piazze e le sale con lui erano sempre piene. Ricordo che a una Festa dell’Unità a Faenza, la presentatrice si ammalò e papà mi chiese di condurre la serata. Avevo 13 anni. Da allora non sono più scesa dal palco. Ho accompagnato mio padre in tutte le tournée, anche negli Stati Uniti. Abbiamo condiviso tanti
momenti, e questo mi rende felicissima. L’ho sposato lavorativamente, ma se non lo avessi seguito, non l’avrei mai visto. Era sempre via da casa».
Com’era la casa di Little Tony?
«Prima aveva un casale sull’Appia Antica, poi l’ha venduto perché tanto era sempre in giro, e così viveva in affitto. “Sono cittadino del mondo”, diceva. Gli piaceva gironzolare dappertutto».
Come un gatto.
«Ecco».
Un’abitazione da dove uscire ce l’aveva, però: com’era arredata?
«Era, è, un museo stravagante: moquette dovunque, il juke box con i suoi 45 giri originali, il letto con gli specchi, foto di Elvis e Marilyn dappertutto».
Avevate ospiti?
«Le porte erano sempre aperte, arrivava gente curiosa: capelli strani, vestiti bizzarri. Potevano essere idraulici, muratori. Fellini avrebbe potuto farci un film. “Buttate la pasta”, diceva papà, e dava da mangiare a questa tribù. Attirava gente semplice e dall’aspetto eccentrico, come lui. Era nato in una famiglia umile, a San Marino, aveva trovato il successo per caso, era andato in Inghilterra senza sapere una parola d’inglese pur di inseguire il suo sogno. Conosceva la fatica, ed era sempre rimasto dalla parte dei lavoratori come lui».
Legami con i colleghi?
«Il giorno del suo compleanno, che è lo stesso del mio, era una festa, uno spettacolo. Arrivavano Bobby Solo, Vianello, Mal o la Pavone. Allestivamo un palco e tutti si esibivano fino al mattino. Papà era davvero forte quando faceva Elvis».
E l’ha mai incontrato, Presley?
«Aveva un appuntamento con lui, ma quella sera, all’ultimo, papà disertò per via di una ragazza che aveva incontrato. Pensava di fissare con Elvis un altro rendez-vous. Non poteva sapere che sarebbe morto di lì a pochissimo. È stato uno dei grandi rimpianti della sua vita».
A volte era un po’ preso in giro per lo stile Presley, mai ab-bandonato.
«Era amato anche per questo».
Lei lo ha seguito nelle tournée e probabilmente adesso amministrerà il suo patrimonio, i suoi ricordi. È come la figlia di Elvis, Lisa Marie.
«Mai pensato a questa cosa. E mai ho conosciuto Lisa Marie».
Suo padre era la sua famiglia.
«Per strada mi scambiavano per la sua ragazza. Fino ai 70 anni, prima della malattia, ne ha avute di giovani, sotto i 40».
Lei ha figli?
«Tre, da due papà diversi, ma non mi sono mai sposata. In questo sono stata sfortunata. Ho sempre inseguito il sogno di una famiglia mia, ma non ci sono riuscita. Ora sono single: spero in un nuovo incontro».
Tony è stato un bravo nonno?
«Era affettuosissimo, ma aveva il terrore che qualcuno potesse chiamarlo nonno e associarlo alla parola vecchio. La fobia gli è passata quando ha visto che nessuno lo trattava da anziano, visto che si tingeva i capelli, si buttava per terra mentre cantava, usciva con le ragazze e guidava le spider».
Adesso che suo papà non c’è più, che cosa farà?
«Ho studiato danza tanti anni, ho una voce piccolissima ma intonata. Si dice showgirl, vero, una con queste doti? Spero di continuare a lavorare sul palco, dove ho sempre vissuto».
Che cosa le manca, adesso, di lui?
«L’ho seguito nei due mesi della malattia, assistito giorno e notte, gli ho tenuto la mano quando è morto, ero ai funerali, dove sono anche svenuta. Eppure non ho ancora capito bene che non c’è più. Mi aspetto che squilli il telefono: “Dov’è la mia piccola Cris?”. Lo ripeteva sempre. Mi manca quella frase, mi manca la sua voce».