Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 05/06/2013, 5 giugno 2013
LE RISERVE DI PALAZZO KOCH IL CASO IN CUI FURONO USATE
Sul Corriere del 20 settembre 2011 lei mi diceva che non possiamo vendere una parte delle riserve auree che abbiamo in grandi quantità, per motivi vari, ne andrebbe del nostro prestigio. Però il ministro Padoa-Schioppa, nel governo Prodi, aveva prospettato questa possibilità. Anche se ne vendessimo il 5% sarebbe una grossa boccata di ossigeno per il nostro bilancio, e potremmo far fronte a una serie di spese urgenti che non hanno copertura, lei è sempre dello stesso parere?
Lionello Leoni
lionello.leoni@alice.it
Caro Leoni, il riassunto della mia precedente risposta è un po’ troppo schematico. Le ho scritto che le Banche centrali nazionali, dopo la nascita della Banca centrale europea, hanno perduto una buona parte della loro autonomia. Ho aggiunto che la cessione delle riserve coincide abitualmente con momenti drammatici, come accadde quando Gheddafi, nel 2011, vendette 29 tonnellate d’oro in monete e lingotti. E ho ricordato infine che Tommaso Padoa-Schioppa, quando era ministro dell’Economia nel secondo governo Prodi, fra il 2006 e il 2008, fece approvare dal Parlamento una risoluzione sulla possibilità di usare le riserve della Banca d’Italia a riduzione del debito pubblico in forme concordate con le autorità europee. La proposta suscitò parecchie perplessità e rimase lettera morta.
Non credo che la situazione, da allora, sia cambiata. La vendita delle riserve sarebbe percepita come l’indice di una situazione di estremo pericolo ed è addirittura possibile che l’operazione avrebbe l’effetto di provocare l’aumento dello spread (il divario fra gli interessi pagati dai bond tedeschi e quelli pagati dalle obbligazioni italiane). Il miglior modo per ricorrere alle riserve in caso di necessità è probabilmente quello di usarle come garanzia per la concessione di un prestito. È accaduto nel 1974 quando l’Italia attraversava momenti difficili. In un libro pubblicato recentemente dal Mulino (Grandi illusioni. Ragionando sull’Italia) Giuliano Amato e Andrea Graziosi ricordano che «nel 1972-1973 la lira si era svalutata più del 20%, dando il via a un’inflazione che, anche a causa del brusco aumento dei prezzi del petrolio, con cui il Terzo Mondo faceva sentire la sua voce, superò nel 1974-1975 il 25% all’anno». Mentre la Germania praticava una politica monetaria restrittiva e controllava i salari reali, Gianni Agnelli, presidente della Confindustria, firmò con i tre maggiori sindacati un accordo in cui, come ricordano Amato e Graziosi, «il nuovo scatto di contingenza (...) era calcolato in modo tale da permettere ai salari, e quindi alle pensioni e alle liquidazioni che vi erano agganciate, di crescere come e più dell’inflazione». Il risultato fu una crisi di liquidità che il governo italiano dovette risolvere ricorrendo alle riserve. Con l’aiuto del governatore della Banca d’Italia (era Guido Carli) e grazie alla lungimiranza del cancelliere tedesco (Helmut Schmidt), l’Italia ottenne dalla Bundesbank un credito pari a due miliardi di dollari garantito da circa 500 tonnellate d’oro. Pochi mesi fa, in una conversazione con Paolo Valentino (la Lettura del 17 febbraio), Schmidt disse: «Era di fatto una violazione delle leggi fiscali tedesche. Ma se l’avessimo fatto come governo avremmo dovuto chiedere l’approvazione del Parlamento. In quel momento era necessario agire così: l’Italia era in difficoltà finanziarie, noi tedeschi dovevamo aiutarla. L’Italia fu salvata, il prestito ripagato e l’oro non venne mai toccato».
Sergio Romano