
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ora che Andreotti è morto e sepolto, ci si chiede se esista oggi un Andreotti oppure, che è più giornalistico, chi possa essere l’Andreotti del nostro tempo...
• Gianni Letta?
Io comincerei da due definizioni, perché è difficile trovare l’Andreotti di oggi se non capiamo che cos’è stato l’andreottismo. La prima definizione è di Eugenio Scalfari e risale a una trentina d’anni fa. Ragionando intorno all’invincibile collegio elettorale che lo mandava tutte le volte in Parlamento con una valanga di voti - era la Ciociaria, Andreotti restò alla Camera dal 1946 al 1992, quando divenne senatore a vita e traslocò a Palazzo Madama -, l’allora direttore di Repubblica si soffermò sulle caratteristiche della sua corrente, rilevando che era legata al leader «da vincoli personali, una sorta di caravella senza legami e ancoraggi ideologici, capace di spostarsi dall’uno all’altro capo dello schieramento politico in meno di ventiquattr’ore seguendo le istruzioni del suo capitano». Si trattava di una falange di proporzioni ridotte, e infatti il nostro uomo - piuttosto detestato dagli altri democristiani - non fece carriera nel partito, di cui non fu mai segretario, ma piuttosto nel governo, dal quale risultò assai difficile schiodarlo.
• L’altra definizione?
È di Margaret Thatcher, e risale anch’essa - naturalmente - agli anni Ottanta. «Sembrava avesse una reale avversione per i princìpi, anzi la profonda convinzione che un uomo di princìpi fosse condannato a essere ridicolo. Vedeva la politica come un generale del XVIII secolo vedeva la guerra: un vasto e complesso scenario di manovre di parata per eserciti che non si sarebbero mai veramente impegnati in combattimento, ma avrebbero invece dichiarato vittoria, capitolazione o compromesso a seconda di ciò che dettava loro la forza apparente. Per poi collaborare nel vero e proprio affare di dividersi le spoglie».
• Berlusconi?
Ma no, Berlusconi fa troppo chiasso, è sempre all’attacco, grida di essere anticomunista e, soprattutto, scappa dai giudici e non va ai processi. Andreotti non mancava un’udienza e passava il tempo a prendere appunti. Anche Gianni Letta, uno che non si presenta mai alle elezioni e vive soprattutto la condizione di consigliere del principe più che quella dell’uomo politico propriamente detto, c’entra alla fine poco col nostro uomo. Certo la pazienza è la stessa, la capacità di mediare pure, e Andreotti era giornalista come Gianni Letta... Però non basta questo, perché alla base del carattere di Andreotti c’era prima di tutto lo scetticismo nei confronti delle grandi idee, dei proclami, delle indignazioni a poco prezzo, uno scetticismo voglio dire che in definitiva riguardava il genere umano in quanto tale, ben conosciuto nelle sue miserie. Fece il primo governo del compromesso storico, quello della "non sfiducia" (il Pci non votava né a favore né contro) con una lista di ministri ridicola e che infatti i comunisti, pur non rompendo, condannarono apertamente. Quando il compromesso fece un ulteriore passo avanti e i comunisti entrarono nella maggioranza, tenne nascosta la lista fino all’ultimo momento e poi presentò un governo al 99% uguale a quello precedente. Come si chiama questo? Forse "humour", semplicemente, anche se allora quell’atteggiamento destò grande scandalo. Ci vedo la miscredenza bigotta della plebe di Belli, da cui discendeva anche quell’impagabile senso dell’umorismo, che oggi mi pare del tutto scomparso.
• Enrico Letta?
Forse. Anche se si tratterebbe, nel caso, di un Andreotti un poco esangue. E però è presto per trinciare giudizi sul presidente del Consiglio, giunto alla ribalta dopo anni di nascondimento, e in questo sì, piuttosto andreottiano: dopo la fine del compromesso storico, Andreotti si seppellì alla presidenza della commissione Esteri e aspettò senza scalciare di essere richiamato. La pazienza forse è la stessa.
• Forse i tempi non sono favorevoli alla nascita di un nuovo Andreotti.
Sono d’accordo. Andreotti è figlio legittimo del sistema proporzionale, dove si giocava di alleanze, di compromessi, di distribuzione dei poteri e di accordi forti anche con l’opposizione, o magari con la malavita, grazie ai quali tutto si teneva. Non lo vedo troppo nelle contrapposizioni frontali che sono andate di moda negli ultimi vent’anni, le parolacce, le aggressioni verbali, i cappi in aula, e il resto. Salì sul palco del Bagaglino per scherzare con quelli che lo sfottevano, ma non penso che sarebbe andato volentieri a un talk-show.
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