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 2013  maggio 08 Mercoledì calendario

Almeno ha finito di soffrire. È morto ieri, a Roma, dopo una lunga malattia, Ferruccio Mazzola. Aveva compiuto 68 anni il 1° febbraio

Almeno ha finito di soffrire. È morto ieri, a Roma, dopo una lunga malattia, Ferruccio Mazzola. Aveva compiuto 68 anni il 1° febbraio. Era figlio di Valentino, il capitano del Grande Torino, caduto a Superga il 4 maggio 1949. Non sarà forse stato «un campione degno di tuo padre», secondo quanto aveva detto il grande Puskas a Sandro Mazzola, il fratello, più vecchio di lui di tre anni, ma è stato sicuramente un gran bel giocatore. Il nome era stato scelto in onore di Ferruccio Novo, il presidente di quel Torino. Un talento incompiuto, come incompiuta è stata un po’ tutta la vita di un personaggio che ha sempre scelto le strade in salita, per un senso di coerenza con se stesso, che non sempre lo ha aiutato. Ma un talento. A segnare il destino dei due fratelli, dopo Superga, è una festa in onore di Benito Lorenzi, organizzata a Cassano d’Adda, dove i Mazzola vivono con la mamma. «Veleno», che voleva già portare Valentino all’Inter, conosce Sandrino e Ferruccio; a uno regala un paio di scarpe da calcio; all’altro un pallone di cuoio. Lorenzi convince il presidente Masseroni a trasformare i due Mazzola nelle mascotte nerazzurre; è lì che conoscono il fascino di San Siro ed è lì che inizia la loro storia di calciatori nella «scuola» Inter. Quando Meazza, che cura i ragazzi, scopre Ferruccio, è convinto che diventerà più bravo del fratello, che comincia a frequentare la prima squadra con Herrera: ha grande tecnica e due ottimi piedi. È stato lui a convincere Sandro a continuare con il calcio, quando, oppresso dalle critiche e dai paragoni, vorrebbe lasciare l’Inter e dedicarsi al basket nell’Olimpia: «Noi siamo fatti per giocare a calcio; è la storia della nostra famiglia». E ha ragione. La carriera di Ferruccio, che è una mezz’ala, inizia a Venezia, nella squadra dove era cominciata anche la vita calcistica di Valentino: promozione in A (nel ’66), retrocessione in B (nel ’67) e ritorno all’Inter nella stagione dopo Mantova. Gioca una sola partita in nerazzurro, contro il Vicenza (8 ottobre 1967, 1-0), poi va al Lecco, prima di essere trasferito nella squadra che segnerà la sua carriera, la Lazio. La porta in serie A, segnando due gol proprio al Lecco nella partita promozione e viene portato in trionfo dai compagni. Resta fino al 1971; in un Lazio-Inter all’Olimpico, Sandro dribbla tre laziali, ma finisce a terra. Fallo da dietro: «Mi giro, era Ferruccio». Gioca un anno a Firenze e torna alla Lazio per un biennio; fa la riserva, «però in serie A», come avrebbe cantato Gaber e nella squadra di Maestrelli, che sfiora lo scudetto nel ’73 e lo vince nel ’74. La carriera da calciatore si chiude fra il Sant’Angelo Lodigiano e il Canada, poi comincia quella di allenatore. Ha idee, talento, entusiasmo. Ma il suo carattere non lo aiuta a sfondare. Conquista due promozioni dalla C2 con Siena e Venezia, accetta di restare lontano dal grande palcoscenico per esplorare altre strade: giornalista, imprenditore, osservatore. Nel 2005, pubblica «il Terzo incomodo», un libro sul doping nel calcio, nel quale accusa anche le sue ex squadre (Inter, Fiorentina, Lazio più la Roma), insistendo sulla correlazione fra l’uso di sostanze illecite e la morte di molti giocatori. La vicenda finisce in tribunale, dove le tesi sostenute nel libro vengono definite «non diffamatorie». È il 2012: Ferruccio Mazzola è già seriamente malato, anche se cerca di reagire e di non farsi vincere dallo sconforto con le battute che non gli sono mai mancate. Tre giorni fa l’ultimo incontro con suo fratello, a Roma. Oggi alle 11 i funerali. In tanti hanno voluto ricordare Ferruccio Mazzola: la Federcalcio, la Lazio, l’Inter, il Torino, il Siena. Un omaggio a un personaggio divisivo, secondo un neologismo, che ha sempre pagato in prima persona le proprie prese di posizione. Fabio Monti