Nino Sunseri, Libero 8/5/2013, 8 maggio 2013
ASSOLUZIONE PER COPPOLA MA HA LA VITA ROVINATA
L’immobiliarista Danilo Coppola è stato assolto con formula piena. Gli sono state restituite anche le quote azionarie in suo possesso fra cui il 2% della banca Bim. E ora chi paga per l’errore? Quasi due anni di carcerazione preventiva. Un tentativo di suicidio. Un fuga dall’ospedale dove era piantonato solo per rilasciare un’intervista televisiva nella quale si dichiarava «un perseguitato». Un patrimonio aziendale disperso. Ora, dopo più di cinque anni è stato assolto perché il fatto non sussiste. Condannato a sei anni in primo grado, Danilo Coppola, uno dei protagonisti dell’estate dei furbetti (quella del 2005 segnata dalle scalate alle banche) è stato assolto con formula piena in appello. La sentenza arriva dopo che già la Cassazione aveva riabilitato l’imprenditore romano annullando il fallimento della Micop. Proprio quello che aveva portato all’arresto. E allora ripetiamo la domanda: e adesso chi paga? A vent’anni esatti dal caso Tortora, un altro esempio clamoroso di malagiustizia. Un processo di grande rilevanza sui media che si sgonfia. Un procedimento che aveva tenuto le prime pagine dei giornali che finisce in una bolla di sapone. Un altro cortocircuito mediaticogiudiziario che ha una sola vittima: l’imputato. I carnefici, a cominciare dalla Procura di Roma, che aveva costruito il caso assolutamente indenni. Racconta Coppola al sito dell’Uffington Post: « Mi hanno arrestato facendo fallire una mia società, la Micop senza che io ne fossi a conoscenza. Una società fatta fallire, tra l’altro, per un debito fiscale di 7 milioni di euro in un gruppo che all’epoca fatturava 3,5 miliardi. Per questo sono stato tenuto in custodia cautelare per due anni, battendo ogni record nella storia della Repubblica italiana. Senza quella istanza di fallimento, poi annullata dalla Cassazione, non ci sarebbe stato il caso Coppola. È stato fatto un attentato ad una persona ritenuta in quel momento scomoda. Alcuni pm si sono comportati come camerieri dei poteri forti. Non so per quali ragioni o quanto consapevolmente».
Certo era stata bollente l’estate del 2005. L’attacco al Corriere della Sera, guidata dall’immobiliarista Stefano Ricucci cui si deve l’indimenticabile definizione di «furbetti del quartierino» attribuita alla sua cordata. Poi l’assalto alle banche: Bnl, Antonveneta e non solo. Ricorda Coppola: «Ero un imprenditore di 38 anni che era arrivato ad avere il 5% di Mediobanca, una disponibilità di partecipazioni importante. È chiaro che questo dava fastidio a chi è seduto nel salotto buono. C’è stata una reazione». Accusa la magistratura, ma soprattutto il giustizialismo di certi giornali. Un’operazione costruita a tavolino. «Hanno fatto dei dossier su di me. Dossier prodotti apposta per delegittimarmi e fare il vuoto intorno. Alla prova dei fatti si è dimostrato tutto falso». Quello che mi è successo è veramente una pagina vergognosa della giustizia italiana. «Non si può arrestare una persona, far fallire una società a sua insaputa, metterla in custodia cautelare per un tempo lunghissimo, poi si scopre che nulla era vero».
Nel frattempo il patrimonio aziendale è stato distrutto. «Questa vicenda è costata 1,2 miliardi al mio gruppo. Danni veri. La detenzione ha prodotto un effetto domino che ha portato al sequestro e alla svendita di numerosi asset. Faccio solo l’esempio delle azioni Bim che quando me le hanno sequestrate valevano 22 milioni di euro, oggi che me le restituiscono valgono 10 milioni»