Francesca Sforza, La Stampa 8/5/2013, 8 maggio 2013
MARLENE E LENI LE GAMBE PIU’ BELLE DELL’ENIGMA TEDESCO
«Non sono stata per niente erotica, solo sfacciata», disse una volta Marlene Dietrich, nata nel 1901 a Berlino, città odiata e amata, lasciata e ritrovata, dove l’attrice è stata infine sepolta, accanto alla madre, nel 1992. «Hitler? Solo una sera ho avuto l’impressione che mi desiderasse come donna», disse invece Leni Riefenstahl, solo un anno più giovane di Marlene, morta all’età di 101 anni. Divergenti, seduttive e tedeschissime, Marlene e Leni hanno attraversato con orgoglio e testardaggine l’intero Novecento, giorno dopo giorno, attaccate alla vita e all’icona che di se stesse avevano pazientemente costruito con una rabbia e una determinazione che ha pochi eguali nella storia. Gian Enrico Rusconi le racconta in un libro avvincente, che quasi fatica a trattenere tra le pagine due donne così imponenti, come se continuassero a sgomitarsi l’un l’altra, di capitolo in capitolo, nel timore di vedersi rubato il proscenio. «La nazista», così Dietrich chiamò Riefenstahl per tutta la vita. Quest’ultima, del resto, quando si trovò a fare un nome per la parte di Lola nell’ Angelo Azzurro al regista e amico Josef von Sternberg, non esitò a indicare Marlene: «E’ perfetta nella parte della puttana».
Marlene e Leni , questo il titolo del libro di Rusconi pubblicato da Feltrinelli, attraversa la Germania del secolo scorso seguendo l’intreccio tra seduzione, cinema e politica. Interloquisce necessariamente con Theodor W. Adorno e Sigfried Kracauer, ma in definitiva li scavalca, rimproverando loro un certo qual impaccio da filosofi. Come se le «belle gambe» di Marlene, o la plasticità estetizzante di Leni li mettessero in un imbarazzo tipicamente maschile, anziché stimolarli a pensare oltre i corpi di donna: «Non hanno capito i potenziali innovativi nel comportamento sessuale o nei rapporti interpersonali interpretati nella finzione cinematografica dell’intrattenimento di massa – scrive Rusconi – limitandosi a giudicarli con supponenza». Un peccato, perché in queste due donne si condensano invece i grumi della Germania del tempo, quasi un precipitato chimico delle tensioni che porteranno lo spirito della Repubblica di Weimar a disintegrarsi nella barbarica esperienza nazionalsocialista.
Entrambe le giovani aspiranti dive provengono dalla piccola borghesia berlinese – Leni appena un po’ più in alto di Marlene nella scala sociale - una città in cui si respirava ancora un forte odore di muffa guglielmina, ma che presto sarebbe stata attraversata dalle correnti nervose dell’avanguardia e della rivoluzione, prima di finire nella morsa del partito nazionalsocialista e incarnare, dal 1933, il delirio hitleriano di capitale del Terzo Reich. Dietrich a quel punto era già ad Hollywood, da dove avrebbe continuato a guardare la Germania fino alla fine della guerra, con un misto di paura e disincanto. Per Leni cominciava invece la grande avventura a fianco del Führer, a cui prestò la sua intima ossessione per i corpi girando per lui Il trionfo della volontà , una sorta di messa pagana che celebrava la seduzione collettiva di un popolo per il suo dio in terra.
Ma sbaglierebbe – avverte Rusconi – chi volesse distinguere i due profili sulla base della dialettica nazistaantinazista. In realtà Leni Riefenstahl e Marlene Dietrich sono due inguaribili impolitiche, guidate casomai da una disperata voglia di emancipazione, di riscatto personale (in questo molto moderne), a cui hanno piegato le loro idee in forme e tempi successivi. Certo, Marlene fu esplicita nel suo rifiuto del nazismo, ma come disse lei stessa, lo fu «per decenza», quasi si trattasse di un’insofferenza estetica, più che etica. Lo dimostra, ad esempio, l’ingenuità con cui liquidava il clima tedesco dei primi Anni Trenta, dichiarandosi seccata che «stupidi disordini politici» le impedissero di tornare in Germania. Ed estetica fu senza dubbio la scelta di Riefenstahl, fino all’ultimo incapace di cogliere nella schizofrenia di Hitler – che pure aveva individuato, con una finezza psicologica tutta femminile – quel tratto esiziale che li avrebbe rovinati tutti. Quando, nel corso della sua sterminata vecchiaia, disse in un’intervista: «Avrei dovuto ucciderlo come fa una madre col suo figlio prediletto», l’impressione è che si aspettasse, dopo aver pronunciato quelle parole, che il sipario calasse tra gli applausi della folla.
Nel loro essere quasi ossessivamente concentrate su se stesse, le due donne si rivelano in realtà cartine di tornasole dell’enigma tedesco, da sempre caro a Gian Enrico Rusconi: tanto la dinamicità plastica degli atleti di Riefenstahl quanto l’erotismo sadico dell’ Angelo azzurro «diventano rivelatori delle tendenze del tempo, della regressione in atto sintetizzata come “immaturità” tedesca».
Un tratto, in particolare, accomuna le contraddizioni di ognuna rispetto alle prese di posizione che hanno avuto nel corso degli anni, ed è la mania di riscrivere la propria biografia, di rimodellare con una certa leggerezza la memoria degli eventi. Nei ricordi di Marlene il suo incontro con Erich Maria Remarque è tutto uno scambio di svenevolezze poetizzanti, ma sarà la figlia Maria a restituire il racconto che la madre stessa le fece: «Mi disse che era impotente, e io gli risposi che era magnifico, tu sai quanto detesto fare l’amore!». Leni, fotografata una volta in lacrime al fronte (dove si trovava per girare), non corresse la versione di un ignaro autore che nella didascalia scrisse: «Riefenstahl sviene alla vista di ebrei uccisi», ma da successive ricostruzioni si evince che il suo sgomento era dovuto a come i soldati avevano trattato lei, strattonandola forse involontariamente.
Donne, si dirà. Incapaci di cogliere la drammatica portata degli eventi, chiuse nel bozzolo delle loro aspirazioni personali, pronte a gettare un intero Paese alle ortiche per la parte di regina delle amazzoni o per un incarnato da ventenne. Ma allora - suggerisce Rusconi - anche la Germania era donna, e con lei tutti i tedeschi.