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 2013  maggio 08 Mercoledì calendario

SONO TROPPI I PREFETTINI NEL PD


[Stefano Boeri]

«Non mollo, certo, perché dovrei mollare? Stasera sono a Milano, poi a Roma, poi a Cagliari». Stefano Boeri, milanese, classe 1956, architetto celebrato nel mondo, risponde al telefono dal suo studio milanese: sullo sfondo, prima che si sposti, voci di collaboratori che dettagliano progetti. Boeri, nel novembre del 2010, era il candidato ufficiale del Pd alle comunali di Milano, amato dalla città dei quartieri alti, se mai ce ne fossero, perché bravo, noto, moderno. Dai gazebo di primarie velenose era invece spuntato Giuliano Pisapia, molto simile a lui, per certi versi, e che si scoprì più amato dalla gauche caviar meneghina. I due non si apprezzeranno mai, finché un mese fa, il sindaco ha messo lui, assessore, alla porta di Palazzo Marino. E anche nel Pd, Boeri ha rotto dal primo minuto gli schemi e non solo quelli agli uomini dell’establishment, per i quali era ormai solo il volto di una sconfitta. Ma, appunto, non molla..
Domanda. Architetto, nell’ottobre del 2011, le chiese un congresso cittadino del Pd e venne giù il mondo. Le vicende successive le hanno dato ragione.
Risposta. Non ne sono contento ma è così.
D. Che cosa vedeva, nel suo partito, che non andava?
R. Lo scrissi ai militanti ma soprattutto agli elettori, pubblicamente. Vedevo la necessità di una fase di rigenerazione, di una grande convenzione, di una discussione collettiva che rinnovasse idee e gruppo dirigente.
D. Era un Pd che pochi mesi prima aveva vinto le elezioni, con lei che aveva registrato un grosso successo personale in termini di preferenze. Insomma tutto sembrava andare bene...
R. Sembrava, appunto. Ma era evidente l’assenza di una discussione che coinvolgesse, prima di tutto, gli elettori. Un’assenza ingiustificabile, soprattutto dopo una campagna elettorale straordinaria e vincente, nel corso della quale c’era stato uno straordinario scambio di idee tra il Pd e la società milanese; uno scambio che aveva prodotto un patrimonio di proposte idealmente consegnate al governo della città.
D. E invece?
R. E invece di colpo tutto era cambiato, era tornata a governare la logica delle correnti interne, degli apparati. Nei circoli si discuteva dei temi trattati dalla giunta qualche mese prima, e opportunamente predigeriti secondo la logica delle componenti.
D. Margherita e Ds?
R. Magari: franceschiniani, bersaniani, bindiani, mariniani, ecc_ in un gioco di tatticismi tra “prefettini” che rispondevano ad altri prefettini regionali che, a loro volta, rispondevano a prefetti nazionali, secondo equilibri di corrente decisi quattro anni fa, quando il mondo era diverso. La morte della democrazia.
D. Lei poi, a un certo momento, era sembrato voler partecipare alle primarie di coalizione..,
R. Mi sarebbe piaciuto dare una mano ma una volta capite le modalità di candidatura, e in particolare l’incompatibilità totale col ruolo di assessore, ho deciso di restare in giunta.
D. E decise di sostenere Matteo Renzi, che cosa la convinceva del sindaco di Firenze?
R. Renzi è uno dei pochi politici italiani in grado di sparigliare i raggruppamenti codificati, non solo nel Pd; e avere un consenso importante anche al di fuori dell’elettorato tradizionale del centro-sinistra. Ho trovato suicida la sua demonizzazione durante le primarie.
D. Ora ci sarà il congresso. Ci sono quello che invocano il blocco della candidatura automatica, proprio per evitare che Renzi se ne avvantaggi...
R. Mi ha sempre inquietato questa tendenza a rifiutare e addirittura epurare dal partito, le biografie degli “irregolari”. Penso a persone come Sergio Chiamparino o Renato Soru. Un partito che considera eretiche le posizioni di chi in fondo porta l’ossigeno delle sue idee e delle sue esperienze, è un partito senza futuro.
D. Peraltro al sindaco di Firenze non piace troppo il ruolo di segretario...
R. Capisco. Ma dobbiamo tutti, anche Renzi, misurarci con la crisi del Pd; magari non facendo il segretario, perchè guidare un partito e guidare un governo sono compiti diversi che richiedono attitudini diverse. Ma sarebbe un grande errore lasciare il congresso nelle mani di chi ha gestito fino ad oggi l’apparato.
D. E che congresso s’aspetta?
R. È un’ultima spiaggia. Spero che sabato, all’assemblea nazionale a Roma, si capisca che dobbiamo subito dare vita ad un congresso di grande apertura: agli elettori e agli Italiani che si riconoscono nel progetto originario del Pd; perché se diventa, ancora una volta, la conta delle correnti, senza una discussione di fondo, è davvero finita..
D. Un contributo al congresso l’ha già dato in qualche modo Fabrizio Barca, col suo documento. Che idea se ne è fatto?
R. L’ho letto con attenzione: è un contributo interessante e costruttivo.
D. Non le pare un modello di partito un po’ pesante per l’idea di apertura che lei sostiene?
R. Aprire il partito non significa «liquidificarlo». Al contrario. Io condivido l’idea di «democrazia continua» proposta anni fa da Stefano Rodotà, vale a dire della simultaneità delle riflessioni e delle decisioni tra centro e periferia: che si tratti di Europa o di cuneo fiscale, dobbiamo far partecipare i cittadini e gli elettori alla costruzione delle decisioni. Partecipazione non è cercare il consenso su scelte già prese, ma migliorare le scelte costruendole insieme . E poi vorrei dirigenti da confermare ogni due e anni e un’adesione al Pd che non sia solo quella del tesseramento.
D. Cos’è che non va nella tessera?
R. È una scelta nobile e importante ma non deve essere esclusiva: perché non pensare, per esempio, a un’adesione su singole campagne? Ci possono essere, per fare due esempi, giovani che si avvicinano temporaneamente al Pd su progetti come la promozione di una legge sulla musica dal vivo, o cittadini che aderiscono al partito solo per sostenere battaglie come quella servizio civile europeo. Ne parlerò sabato a Roma, se mi faranno parlare.
D. Come se la fanno parlare? Ma non è stato fra i fondatori del Pd?
R. Certo. Ma non faccio parte né della direzione, né dell’assemblea_ Non le pare singolare?
D. Abbastanza. E le hanno risposto?
R. Non ancora. In ogni caso sabato ci sarò.