Michele Serra, Vanity Fair 8/5/2013, 8 maggio 2013
PERCHÈ NAPOLITANO SI E RODOTÀ NO? IO L’HO SCRITTO. 21 ANNI FA
PANTA REI OS POTAMÒS, tutto scorre come un fiume. E non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua. Ma anche la celebre massima eraclitea, come ogni regola, ha la sua eccezione. Noi italiani siamo dentro quell’eccezione.
Un amico mi telefona una piovosa mattina di aprile (2013) per dirmi che condivide quello che ho scritto su Stefano Rodotà, sacrificato per poter eleggere Giorgio Napolitano, Ah sì rispondo hai letto il mio articolo su Repubblica di ieri... No no fa lui sto parlando del tuo articolo dell’otto giugno 1992 su Cuore...
Non ho molta memoria, ho scritto molto anzi ho scritto decisamente troppo, fortunatamente dimentico molte cose e le lascio affondare (panta rei...), non riesco a ricordare niente di simile. Rodotà versus Napolitano? Ventuno anni fa? E un mio articolo sul tema? Vado a frugare nella mia collezione di Cuore, settimanale di satira e di politica del secolo scorso. Aerosol di polvere e acari sfogliando il vecchio scartafaccio, vecchie vignette, firme di vecchi amici e vecchi compagni di avventura. Sono il peggior archivista di me stesso, non avrei neanche una copia del «mio» giornale se Fabio Fazio non mi avesse regalato, un paio d’anni fa, la sua collezione completa, compresi gli introvabili gadget (la cassetta Diventa leghista con l’ipnosi con la voce di Bossi, il falso Modello 740, le biglie dei politici, e tutta l’allegra parodia della poco allegra Italia da bere, quella di Craxi e di Tangentopoli).
Trovo quello che cercavo. Fa veramente impressione. Stessi identici protagonisti. Stesso identico conflitto politico. Stessa identica soluzione. Ventuno anni fa.
«Perché il nuovo presidente della Camera è Giorgio Napolitano? Perché in politica vale ancora la regola che una vittoria ambigua è preferibile a una sconfitta limpida...
Regola sgradevole e incomprensibile quando viene applicata da un partito come il Pds, la cui unica ragione di vita è dimostrare al Paese che non solo non ha alcuna necessità di sopravvivere dentro il sistema di spartizione consociativa, ma che può sopravvivere solo se ragiona e sceglie fuori da quel sistema... Possibile che sia proprio Achille Occhetto, il coraggioso casinista della “svolta” (la Bolognina nel 1989, ndr), a eleggere un presidente della Camera patteggiando con l’emblema vivente del vecchio regime agonizzante, Bettino Craxi?». Con Berlusconi nella parte di Craxi e Bersani nella parte di Occhetto, l’articolo pare scritto ieri mattina. Pari pari.
I fatti, in pillole, erano questi: un anno e mezzo prima (febbraio 1991) dalle ceneri del Partito comunista e dalla svolta della Bolognina era nato il Partito democratico della sinistra (Pds), segretario Achille Occhetto. Stagione di grande travaglio e di grandi speranze. Caduto il Muro di Berlino, sconsacrato il Partito-Chiesa, si credeva e si sperava che anche quel clero sconfitto cedesse quote del suo potere, aprisse alla società che scalpitava per voltare pagina: eravamo in piena Tangentopoli, la Prima Repubblica stava collassando. La candidatura del laico Rodotà (matrice radical-socialista) alla presidenza della Camera era uno di quei segni di cambiamento. Ma i dirigenti del Pds preferirono raccordo con Bettino Craxi politicamente moribondo, misero da parte Rodotà, elessero l’allora capo dei «miglioristi» l’ala destra del partito Giorgio Napolitano.
Dovrei essere contento, narcisisticamente parlando: ventuno anni fa pensavo le stesse cose, scrivevo le stesse cose che penso e scrivo oggi. Invece, mi prende una specie di malessere spazio-temporale. Ma il tempo, non è passato? E perché non è passato? Non è insano, non è patologico questo ripetersi delle cose, questo ripetere noi stessi? Gli stessi torti, le stesse ragioni, gli stessi errori, lo stesso terrore di cambiare? Continuo a sfogliare la collezione di Cuore. Nel numero precedente (1° giugno 1992) trovo un breve editoriale di Stefano Rodotà, proprio lui. Non ricordavo che avesse scritto per noi... Parla di Tangentopoli, che ha appena investito in pieno anche l’ex Pci. Dirigenti inquisiti, dirigenti arrestati, militanti in lacrime nelle sezioni. «Siamo da mesi in attesa del nuovo partito. Arriva, non arriva? Dopo lunghi mesi di silenzio, dopo che il partito era rimasto rinserrato nei suoi palazzi e nei timori dei suoi gruppi dirigenti, la campagna elettorale (primavera ’92, ndr) ha imposto un ritorno tra la gente... Non accettiamo la logica di chi vuoi chiudere tutto nelle trattative tra stati maggiori dei partiti. Portare tutto in pubblico non è slealtà o scandalo. È il solo modo per salvarsi».
Si capisce perché Rodotà (ieri e oggi) non è stato eletto. Portare tutto in pubblico... Il solo modo per salvarsi... Tema modernissimo: Possessione grillina per la trasparenza, lo streaming con i suoi aspetti grotteschi e perfino inquisitori, non sono forse conseguenza del fatto che per vent’anni, contro ogni evidenza, la politica non ha accettato di fare i conti con una fortissima richiesta di cittadinanza, di partecipazione, di nuove forme di rappresentanza? E ha chiuso porte e finestre, la politica, e l’aerosol di polvere e acari che respiro sfogliando la collezione di un vecchio giornale sembra l’effetto di questa lunga asfissia?
Due sere dopo, a Bologna, vado a cena con il mio vecchio amico Stefano Bonaga. Non faccio in tempo a dirgli del mio smarrimento temporale (che anno è?) che lui tira fuori dalla tasca la fotocopia di un suo scritto. È datato: 24 giugno 1994, È firmato: Stefano Bonaga, assessore all’Innovazione amministrativa e ai rapporti con i cittadini del Comune di Bologna. Competenza un po’ verbosa, ma rende abbastanza l’idea. Titolo: Dalle mura al mondo: reti telematiche per parlarsi. Presenta un progetto di connessione gratuita al Web per tutti i cittadini. Vorrei poterlo trascrivere per intero, ma è troppo lungo. Pochi stralci: «II civic networking è il naturale sviluppo della democrazia nell’epoca dell’interattivita... è il luogo dove far passare consultazioni, sondaggi democratici, referendum, suggerimenti e sollecitazioni su iniziativa autonoma dei cittadini... Si profila un superamento parziale ma rilevantissimo della democrazia rappresentativa attraverso forme concrete di democrazia diretta... si rende possibile una comunicazione nei due sensi così rapida e complessa da trasformare la rappresentatività da pura delega a perfezionamento della volontà generale... e tutto questo per l’amministrazione pubblica non è un lusso, ma la condizione stessa della sua sopravvivenza». Vent’anni prima di Grillo e Casaleggio.
Stefano fuma e mi racconta che portò quel progetto anche a Roma. Ne parlò con Massimo D’Alema. D’Alema gli disse che l’innovazione è un argomento interessante, ma la manutenzione conta di più e dunque avrebbe fatto meglio, il Comune di Bologna, ad aggiustare le buche per la strada. Gli chiedo se è proprio sicuro che fosse D’Alema. Dice di sì, ma abbiamo bevuto qualche bicchiere di troppo. Gli dico che se non è vero che fosse proprio D’Alema, è verosimile. Ridiamo come due scemi. Brindiamo al futuro.