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 2013  maggio 08 Mercoledì calendario

LA SUGGESTIONE (SEMPRE A RISCHIO) DI ANDARE IN RITIRO

Che trambusto, quella notte al convento di Santa Dorotea sul colle del Gianicolo. Senza preavviso, le suore sentirono bussare al portone, lo aprirono e rimasero turbate davanti allo sciamare di quegli uomini, tutti politici, tutti democristiani, tutti molto influenti: c’erano anche ministri. Quei signori ad un certo punto pretesero anche l’aula del convento, sino all’alba. Una irruzione talmente imprevista e rumorosa che la superiora, madre Bartolomea, protestò in Vaticano, il Papa Giovanni XXIII non restò indifferente e fece diramare una disposizione da lui stesso firmata: «I conventi devono rimanere luoghi di preghiera». Madre Bartolomea non poteva saperlo: la notte del 13 febbraio 1959 si era formata la corrente dei Dorotei e su quell’abbrivio sarebbe nata una delle stagioni più innovative della politica italiana, quella del centro-sinistra.

Ma non era la prima volta e non sarà neppure l’ultima che, in un convento si sovrapporranno sacro e profano. Un impasto che piaceva tanto ai democristiani, eppure quel rinchiudersi in isolamento ha trovato proseliti anche nella Seconda Repubblica. Tra il 1995 e il 2007 nella stagione dell’Ulivo e dell’Unione, ben sei volte i capi della coalizione si sono rinchiusi le porte alla spalle: a Pontignano, Gargonza, due volte a San Martino in Campo, a Villa Pamphili a Roma e infine Caserta e non sempre il clima confidenziale ha portato bene al centrosinistra. Ora ci riprova Letta, con un programma meno ambizioso: fare spogliatoio.

La suggestione del convento nasce un po’ per necessità, un po’ per scelta. Nell’estate del 1943, nei giorni della caduta del fascismo, un gruppo di giovani cattolici di belle speranze - Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giorgio La Pira, ma anche prelati come Montini e Siri - si ritrovano nel monastero di Camaldoli e stendono l’omonimo Codice, la base ideale della Dc. La suggestione diventa abitudine: i costituenti democristiani si incontrano nel monastero passionista dei santi Giovanni e Paolo al Celio; a Vallombrosa si ritrovavano i dc avellinesi; i fanfaniani sempre a Camaldoli; nel convento dei francescani di Cetona i fedelissimi di Giovanni Goria (tra i quali Bruno Tabacci), scrivono il programma del governo.

La Dc si scioglie e a quel punto l’abitudine dell’isolamento prende quelli del centrosinistra. Il primo a pensarci è Massimo D’Alema che nel dicembre del 1995 convoca i capi della coalizione dell’Ulivo nella certosa (sconsacrata) di Pontignano. Una prima volta che aguzza: 14 mesi dopo è Omar Calabrese, intellettuale disorganico con simpatie prodiane, a convocare politici e intellettuali nel castello di Gargonza in Toscana, non un convento ma un luogo onusto di storia, dove Dante Alighieri e i Guelfi bianchi si incontrarono con i Ghibellini per allearsi contro i Guelfi neri. E’ qui che D’Alema pronuncia il più organico discorso in difesa della democrazia dei partiti e contro la democrazia dei cittadini teorizzata da Arturo Parisi. Otto anni più tardi, alla vigilia di una nuova vittoria elettorale, il 6 dicembre 2005, Romano Prodi convoca i capi della coalizione a Villa Donini, un hotel esclusivo di San Martino in Campo vicino a Perugia e lì si stende il monumentale programma dell’Unione, successivamente destinato a diventare un tormentone. Sette mesi più tardi, davanti ai primi segni di schizofrenia politica, Prodi riconvoca tutti a San Martino in Campo e dice: «Le responsabilità di governo devono venire prima di quelle di partito». Appello che resta senza ascolto: il 28 ottobre nuovo vertice a porte chiuse a Villa Pamphili e l’11 gennaio 2007 tutti in trasferta: nella Reggia di Caserta che, per tutti i frondisti si trasforma in una vetrina per alzare la propria bandiera e i propri dissensi. Una sequenza di “conclavi laici” mal riusciti che sembravano non dovessero avere più repliche. E invece il cattolico Letta, memore delle felici esperienze dei suoi “nonni” democristiani e di quelle meno gratificanti dei suoi “padri” ulivisti, ci riprova, scegliendo una via di mezzo: una abbazia trasformata in centro congressi, come quella di Spineto. Ieri sera un ministro spiritoso, dietro anonimato, ha commentato: «Mica faremo la fine di Todo modo...». Uccisi come i ministri del romanzo di Sciascia? Non c’è pericolo, ma il misterioso luogo scelto da quei politici immaginari per i loro ritiri spirituali si chiamava l’eremo di Zafer. Il protagonista chiede al portiere-prete: «Mi scusi, è un eremo o un albergo?» e l’altro: «E’ un eremo ed un albergo».