Ant. Ramp., La Stampa 8/5/2013, 8 maggio 2013
DA MONTALE A BOBBIO LA SOCIETA’ CIVILE IN AULA TRA MERITI E POLEMICHE
Se fosse possibile stilare una cronistoria del laticlavio, bisognerebbe cominciare a dire che i senatori a vita sono il lusso della democrazia italiana. Solo da noi i portoni del Palazzo si aprono a personalità che hanno dato smalto al Paese, dato che la carica si conquista per titoli morali, per meriti professionali o culturali, in una parola: perché la propria vita ha un alto significato per tutta la Repubblica. Per fare qualche nome, Eduardo De Filippo, Eugenio Montale, Rita Levi Montalcini, Giovanni Agnelli... Non è poco, in un Paese in cui «dottore» o «onorevole» sono parole che raramente corrispondono alle cose. E anche se i Costituenti magari non a questo pensavano, avevano ben chiaro che almeno nel Senato - la Camera Alta, l’assemblea più simbolica e meno determinante dal punto di vista politico dovessero essere presenti personalità della società civile, integrando come già nello Statuto Albertino cariche elettive e cariche non elettive. Scelte, queste ultime, dal garante morale dell’equilibrio repubblicano, il Presidente della Repubblica che poi, finito il settennato, ha il laticlavio di diritto.
E con questo, non che non vi siano state controversie. Arturo Toscanini rifiutò, un caso unico il suo assieme a quello di Montanelli, al quale Cossiga propose la carica in maniera non formale, tanto che non furono formalmente accettate poi le dimissioni, come invece accadde per Toscanini il 7 dicembre del 1949. A Cossiga, che nominò senatore a vita Andreotti centrando anche l’obiettivo di mandare allo sbando la potente macchina di voti andreottiana, e al quale erano andati di traverso alcuni semestri del settennato segnato dalla richiesta di impeachment sul caso Gladio da parte della sinistra, si irritava all’idea di esser diventato «semplice» senatore a vita, e s’inventò la carica di «presidente emerito», un mezzo capriccio subito soddisfatto con apposito decreto (e relative scorte ed autoblù). Scalfaro decise di non nominarne neanche uno, interpretando in maniera restrittiva una norma - ogni Capo dello Stato può scegliere fino a 5 senatori a vita - che invece Pertini e Cossiga interpretarono in maniera estensiva, tanto che ci furono anni in cui a Palazzo Madama se ne contavano fino a 11. E dunque, Parri e Ruini, Sturzo e Castelnuovo, Camilla Ravera e Norberto Bobbio, Agnelli e Pininfarina... E anche un certo professore bocconiano già commissario europeo che, sconosciuto alla politica e alle istituzioni, venne investito da Napolitano di tutta la propria autorevolezza, prima di dargli l’incarico di formare il governo del Presidente che doveva salvare l’Italia dal baratro della crisi dell’euro: Mario Monti. Un’idea, quella di Napolitano del novembre 2011, che gli venne forse ricordando che, poche settimane prima di assurgere al Colle, era stato egli stesso investito del laticlavio da Carlo Azeglio Ciampi. Un richiamo, come un arco armonico da una carica all’altra, che aveva fatto circolare tra i costituzionalisti l’ipotesi che Napolitano potesse nominare senatore a vita - indicandolo così come proprio successore al Colle - Giuliano Amato. Così non è stato, e chissà se per via delle reciproche recriminazioni che sarebbero scattate tra Pd e Pdl. Di certo, da anni, i berlusconiani che oggi vorrebbero Berlusconi senatore a vita, a suo tempo puntavano su Mike Bongiorno (era americano, oltretutto) o Gianni Letta. E non poche polemiche il centrodestra sollevò alla nomina di quel poeta altissimo e gentile che era Mario Luzi. Per non dire - ma questa è storia notissima - dei furibondi insulti di cui furono oggetto Carlo Azeglio Ciampi, Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo e perfino Giulio Andreotti - cui pure il centrodestra aveva «offerto» di presiedere il Senato - per aver votato la fiducia al governo Prodi. «Necrofori», «venduti», «corrotti», «immorali», «parassiti» erano le urla che piovevano loro addosso, e a Ciampi un giorno addirittura un opuscolo d’aula. Un comportamento ignominioso, con i senatori a vita costretti a sfilare, mentre votavano, nelle forche caudine dell’insulto e dei proclami. «Mai più senatori a vita» era la parola d’ordine di Lega e Pdl, compreso quel Calderoli «saggio di Lorenzago» che poi però si guardò bene dal cancellare il laticlavio nella incongrua riforma costituzionale del 2005, che 16 milioni di italiani poi bocciarono per referendum.