Gabriele Beccaria, La Stampa 8/5/2013, 8 maggio 2013
IL PRIMO VOLO DEI MINIROBOT CHE IMITANO GLI INSETTI
Quasi impalpabili, pesano 80 milligrammi e hanno le dimensioni di una mezza graffetta: al momento volteggiano nello spazio sterilizzato del Wyss Institute, uno dei laboratori di ingegneria di Harvard, ma in un futuro prossimo i minuscoli RoboBees potrebbero conquistare i cieli aperti, partecipando a missioni di soccorso, monitorando la qualità dell’atmosfera, impollinando le colture, spiando gesti e movimenti di cittadini sospetti.
Finora l’immaginario si è lasciato colonizzare dai robot umanoidi, cattivi e corazzati oppure morbidamente scolpiti con forme femminili. Versioni in stile Robocop accanto a cyborg seducenti come geishe. Comunque in scala (più o meno) con le nostre dimensioni. Le fantasie da science-fiction sono state più avare con gli esempi opposti delle minicreature. E anche gli ingegneri - spiega il progettista Kevin Y. Ma - si trovano da sempre in difficoltà con l’ideazione e la costruzione di macchine «intermedie», abbastanza piccole da appoggiarsi su un polpastrello, ma troppo grandi per appartenere al mondo invisibile delle nanotecnologie. Motori e batterie, per esempio, sono un vero incubo. «Per funzionare - dice - non possono accogliere meccanismi elettromagnetici».
La performance dei RoboBees è un evento a suo modo storico, perché dimostra che la fantasia dei tecnici può volare davvero oltre. Ispirati agli insetti - e in particolare all’Eristalis, un dittero che ricorda un’ape - sono il tentativo di simulare con il meglio della tecnologia le invenzioni della biologia. E così l’idea vincente è stata di applicare alle minuscole ali del robottino una serie di strisce di ceramica, provviste di «attuatori» che si contraggono non appena entra in azione un campo elettrico. Un sofisticato sistema di controllo regola il movimento rotatorio, mentre le ali fremono a una velocità di 120 volte al secondo (troppe per essere percepite dall’occhio umano): a scale così piccole - nota il numero uno del progetto, Robert J. Wood - sono sufficienti mutazioni minime dei flussi d’aria per creare turbolenze, trasformandole in potenziali catastrofi. Ecco perché i microsensori devono svolgere un lavoro straordinariamente complesso, mantenendo un equilibrio sempre al limite dell’impossibile.
Gli appassionati di questo tipo di high-tech possono trovare sulla rivista «Science» una sorta di raccontocelebrazione: è stato necessario un decennio di sforzi per approdare alla meraviglia dei RoboBees, assemblati con invenzioni che gli esperti classificano con l’esoterico acronimo di «Scm» («Smart composite microstructures»). Per il corpo si sono scelti «fogli» di materiali compositi, sottilissimi, appoggiati gli uni sugli altri e che si aprono come un libro «pop-up» dei bambini. Le ali, invece, sfruttano le proprietà delle strisce di ceramica, che sono capaci di espandersi e di contrarsi, mentre sottilissime cerniere di plastica, incorporate nel telaio in fibra ultraleggera di carbonio, funzionano da articolazioni.
Purtroppo i 19 milliwatts necessari per l’alimentazione (l’equivalente di ciò che serve a un insetto vero) devono passare per un cordone ombelicale. E così i RoboBees volano legati a un filo elettrico. Se dovessero portare con sé le batterie (che già esistono), le esaurirebbero in breve tempo e si librerebbero appena per qualche minuto. Ma anche con questa limitazione hanno dimostrato di saper replicare i maestri biologici, riproducendo manovre che nessun aereo o drone sa effettuare: dal posarsi delicatamente sui fiori agitati dal vento al cambiare bruscamente direzione, tracciando arabeschi di zig zag.
Ora Wood sogna di spedire le sue creature all’aperto, all’avventura. Ma c’è molto lavoro da fare. Come se la caveranno con il vento e la pioggia e con predatori che non conoscono ancora la differenza tra un pasto a base di carbonio e uno a base di cheratina?