Andrea Colombo, Libero 8/5/2013, 8 maggio 2013
L’UOMO CHE INVENTÒ IL BIGNAMI DEGLI ARTISTI
Cesare Zavattini sarà ricordato come l’inventore del neorealismo cinematografico, ma fu anche un pittore. Nella sua autobiografia descriveva così la sua passione per l’arte: «Nel 1938 cominciai a dipingere, a sporcarmi di tempere, inchiostri, oli, vernici, a usare le dita come pennelli per guadagnare un po’ del tempo perduto». Un gioco quindi, nella consapevolezza di essere un maestro soprattutto di scrittura: «Mi amareggiavo di non essere nato pittore». Un divertimento che si trasforma in collezione, una raccolta originalissima, come originale era la sua scrittura e la sua visione cinematografica di sceneggiatore. Infatti, a partire dal 1941, a tutti i maestri che conosceva chiedeva un autoritratto, e così la sua casa romana di via Sant’Angela Merici diventò un’insolita galleria d’arte, con tanti, piccoli, quadri, formato 8 x 10 centimetri, con i volti degli amici pittori. Una collezione unica, di 1500 minuscoli capolavori. Purtroppo nel 1979 Zavattini è costretto, per ragioni economiche, a vendere questa singolare enciclopedia della pittura del Novecento, che verrà smembrata e quindi dispersa.
Ora però una mostra allestita nella Sala XV della Pinacoteca di Brera di Milano (fino all’8 settembre) recupera 152 di quei quadri in miniatura. L’esposizione «A tutti i pittori ho chiesto l’autoritratto». Zavattini e i Maestri del ’900, a cura di Marina Gargiulo (catalogo Skira), presenta i mini autoritratti di maestri come Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Ottone Rosai, Mario Sironi, Ardengo Soffici, Fortunato Depero, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Alberto Burri, Mimmo Rotella, Emilio Vedova, Michelangelo Pistoletto, Achille Funi, Mino Maccari, Enrico Prampolini, ma anche di scrittori come Dino Buzzati e Mario Soldati. Futuristi, figurativi, esponenti dell’astrattismo e dell’arte povera. Tutti accomunati dalle dimensioni ridotte dell’opera.
Zavattini giustificava così l’insolita collezione: «I quadri grandi costano troppo». Molti vengono regalati allo scrittore, altri li pagherà cifre modeste (mai più del corrispettivo odierno di 10 mila euro). Ma la scelta «economica» non va ovviamente a scapito della qualità di questi quadri che stanno in una mano e nasconde in realtà una precisa visione estetica: contro il monumentale, il grande cartellone pubblicitario, l’affresco murale, Zavattini opta per il formato minimo. Piccolo è bello.
I tanti volti che tappezzano i muri della casa romana, fungono inoltre da libro illustrato delle memorie. «A ciascuna di queste facce scriveva ancora Zavattini è legato un ricordo preciso. Questo migliaio di ricordi si mescola con la vita dei miei figli. I miei figli hanno imparato i nomi dei pittori a poco a poco».
Ogni piccola opera in mostra racconta una storia e soprattutto un’interpretazione di come ogni artista vede se stesso. Il carteggio dei pittori con Zavattini diventa una miniera di informazioni curiose. Il futurista Gerardo Dottori ad esempio ci tiene a far sapere «che non si è abbellito» e nel primissimo piano emergono le pesanti rughe della sua faccia arcigna. Bruno Munari, fedele alla sua idea di arte come gioco, dice che manderà un quadretto a olio che avevo fatto quando aveva dodici anni e si dipinge con fisionomie da bambino. L’artista d’avanguardia Michelangelo Pistoletto spedisce a Zavattini una fototessera in bianco e nero in una comune custodia di plastica. Fabrizio Plessi, attivo principalmente nell’ambito delle videoinstallazioni, manda un curioso ritocco fotografico: al suo
volto aggiunge un naso-rubinetto accompagnato dalla nota «Scherzo per un poeta!».
Tutti gli artisti che aderiscono all’iniziativa di Zavattini infondono nelle opere il loro stile inconfondibile: Lucio Fontana che nel 1959 è già una celebrità a livello internazionale per i suoi notissimi tagli, si raffigura pro prio nella lacerazione di una minuscola tela, mentre Filippo De Pisis utilizza le sue caratteristiche pennellate a macchia e Aligi Sassu le tinte infuocate che lo hanno reso famoso. E così il legame fra Zavattini e i pittori del suo tempo si trasforma in un «compendio», seppure di miniature, dell’arte italiana del Novecento.