Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 8/5/2013, 8 maggio 2013
L’EUROPA DEL SUD TORNA A EMIGRARE VERSO LA GERMANIA
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
La Germania, con il suo tasso di disoccupazione che è la metà della media europea del 12%, è la nuova terra promessa per chi emigra in cerca di lavoro, soprattutto dai Paesi del Sud e dell’Est Europa. L’immigrazione, che nel 2012 ha superato il milione di unità, è costituita in misura crescente da manodopera qualificata, a volte attratta da schemi di incentivi delle Camere di commercio o delle imprese tedesche.
La mobilità del lavoro in Europa, che alcuni economisti denunciavano all’avvio dell’Enione monetaria come l’ingrediente mancante per il suo funzionamento, sembra avere ora accelerato sotto la spinta della disperazione causata dalla crisi in Paesi dove le prospettive di occupazione sono sempre più scarse.
Dall’Italia sono arrivate l’anno scorso in Germania 42mila persone, un aumento del 40% sul 2011, secondo le cifre diffuse ieri dall’istituto di statistica Destatis. È il numero più alto dal 1996 e più del doppio di quello registrato nel 2008, l’anno d’inizio della crisi finanziaria. Le percentuali di aumento del numero di immigrati sono ancora più alte dai Paesi colpiti più direttamente dalla crisi, +45% dalla Spagna, dove la dosoccupazione è al livello record del 27%, +43% dal Portogallo e dalla Grecia, addirittura +62% dalla Slovenia.
I contingenti più numerosi in termini assoluti restano queli dalla Polonia, con 176mila arrivi, e da altri Paesi dell’Est europeo, come la Romania (116mila) e Bulgaria (59mila). In tutto, oltre un milione di persone con un aumento del 13% rispetto all’anno prima. Considerando anche uscite per 712mila unità, il saldo migratorio in Germania ha comunque toccato quota 369mila, la più alta dal 1995.
Il fatto che il 75% finisca nei cinque Läender più ricchi (Baviera, Nord-Reno Westfalia, Baden Württemberg, Assia, Bassa Sassonia) è un’indice della capacità di attrazione dell’economia tedesca, che comincia a scarseggiare di manodopera, soprattutto qualificata. Secondo uno studio della Fondazione Robert Bosch, la forza lavoro in Germania è destinata a contrarsi di 6 milioni di unità entro il 2030, a causa del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione. Alle imprese mancano lavoratori, soprattutto nella meccanica e nell’informatica. Un altro settore che soffre di mancanza di manodopera è la sanità.
Ad arrivare sono quindi sempre di più lavoratori con caratteristiche adatte a coprire questi posti. I nuovi immigrati, a differenza della generazioni precedenti, hanno spesso un titolo di studio universitario. Il che significa anche un impoverimento del capitale umano nei Paesi d’origine.
Il ministro del Lavoro, Ursula van der Leyen, considerata un possibile successore, in futuro, del cancelliere Angela Merkel, ha definito i dati sull’immigrazione «una fortuna per la Germania», notando che offrono al Paese una forza lavoro più giovane (i nuovi immigrati hanno 10 anni in meno dell’età media della popolazione tedesca), più creativa e più internazionale.
Il suo ministero, insieme all’agenzia per l’occupazione, ha appena varato uno schema di incentivi finanziato con 139 milioni di euro per convincere i giovani dal resto d’Europa a trasferirsi in Germania per lavorare. Lo schema realizza su più grande scala quanto già attuato a livello locale dalle camere di commercio e da associazioni di imprese, che aiutano gli immigrati soprattutto nella ricerca dell’abitazione e nell’apprendimento del tedesco, i due ostacoli maggiori, insieme alla famigerata burocrazia tedesca.
Il problema dell’integrazione dei nuovi lavoratori resta comunque pressante, per ragioni di lingua e di cultura, soprattutto nei confronti dei nuovi arrivati dai Paesi dell’Est, non sempre dello stesso livello di istruzione. Le difficoltà della comunità turca, che conta circa 3 milioni di persone, molte delle quali presenti in Germania da decenni, sono il caso più palese.