
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il 6 aprile Berlusconi è convocato in un’aula del tribunale di Milano per difendersi dall’accusa di aver sedotto la minorenne Ruby, di averla indotta a prostituirsi e di aver concusso la questura di Milano con la famosa telefonata in cui ha sostenuto che la giovane marocchina era nipote di Mubarak e andava quindi lasciata libera, come poi è effettivamente avvenuto. Il giudice per l’indagine preliminare, Cristina Di Censo, ha infatti ritenuto fondate le accuse mosse al premier da Ilda Boccassini, Antonio Sangermano e Pietro Forno, e ha concesso quindi la procedura del rito immediato.
• È come se Berlusconi fosse già stato condannato?
No. Il riconoscimento che l’accusa è fondata non coincide con un giudizio di colpevolezza, che deve emergere nel processo e può essere considerato definitivo solo al termine dei tre gradi previsti. Fino alla Cassazione, Berlusconi non solo è innocente, ma non è tenuto a provare la sua innocenza. È la Procura invece a dover provare la sua colpevolezza. Il gip ha ritenuto fondata l’accusa perché, in base alle carte esibite, Ruby ha effettivamente frequentato la casa di Berlusconi tra febbraio e maggio dell’anno scorso, quando era cioè minorenne, mentre resta da provare che il premier l’abbia sedotta e che fosse consapevole della sua minore età. Anche per la concussione, cioè il reato più grave, la telefonata è avvenuta davvero. Il processo dovrà accertarne la natura eventualmente ricattatoria (diciamo così) e appurare se il premier parlava nella qualità di presidente del consiglio oppure no. Il gip ha ritenuto fondato il dubbio che Berlusconi abbia adoperato la sua carica solo per far pressioni sulla Questura (considerata parte lesa, come Ruby), ma non propriamente nell’esercizio delle sue funzioni di premier. In questo secondo caso, infatti, la questione andrebbe senz’altro portata davanti al tribunale dei ministri.
• Già, c’è la questione della competenza. Perché il gip non ha tenuto conto del voto della Camera, secondo cui il tribunale competente era quello dei ministri? E come mai il processo è rimasto a Milano nonostante il reato di seduzione (eventuale) sia stato consumato ad Arcore e il funzionario che ha risposto al telefono la notte della telefonata fosse a Sesto?
Il ministro Alfano ha sostenuto che il gip, non tenendo conto del voto della Camera, ha esautorato il Parlamento. Ma in verità non spetta ai deputati stabilire la competenza di un tribunale. Quanto a Milano, il reato maggiore (concussione) assorbe il minore. La liberazione di Ruby è avvenuta a Milano, quindi, secondo il gip, la competenza è di Milano.
• Chi giudicherà il premier?
Un collegio di tre magistrati-donna, circostanza che ha innescato polemiche e battute (Longo, uno dei difensori del Cav: «Le donne magistrato sono gradite, e qualche volta gradevoli»). In realtà la formazione del collegio è stabilita attraverso una procedura automatica, cioè una specie di estrazione a sorte che avviene al settimo piano attraverso un software chiamato Giada. Il sistema sceglie prima la sezione (in questo caso la IV), poi il collegio, pescando tra i magistrati liberi. I tre magistrati sono Carmen D’Elia, Orsola De Cristofaro e Giulia Turri. La D’Elia s’è occupata in passato del processo Sme e ha condannato Previti a cinque anni. La De Cristofaro è famosa per il processo alla clinica Santa Rita di Milano. La Turri ha avuto per le mani Corona.
• Linea difensiva?
Il 6 aprile i due avvocati di Berlusconi – Niccolò Ghedini e Pietro Longo – contesteranno la competenza del tribunale di Milano. Berlusconi probabilmente non ci sarà.
• Può reggere il Cavaliere anche a questo attacco?
Certo l’offensiva è forte. Il 28 febbraio riprende il processo sui diritti tv, il 5 marzo quello Mediatrade, l’11 il processo Mills. Il 6 aprile sarà la volta di Ruby. Tutti casi che saranno discussi a Milano. L’opposizione ieri ha chiesto che Berlusconi si dimetta e che vada a difendersi in aula. Gli esponenti della maggioranza hanno tuonato contro gli obiettivi politici della magistratura. Berlusconi stava in Sicilia per la faccenda degli immigrati. Non ha detto niente e non si è presentato alla conferenza stampa in programma a Catania. Tutto abbastanza scontato, in fondo. La vera incognita è la Lega. Maroni, a chi lo interrogava, ha risposto: «Non ho nulla da dire». Alla fine, siccome questo silenzio cominciava ad assumere un senso politico non da poco, il Carroccio s’è affidato a una dichiarazione del capogruppo al Senato, Federico Bricolo: «Se con l’accanimento giudiziario contro Berlusconi, qualche magistrato pensa anche di indebolire il Governo si sbaglia di grosso […] La maggioranza è unita e fermamente convinta ad andare avanti per realizzare le riforme e cambiare il Paese». In questa tempesta, forse è poco. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 16/2/2011]
(leggi)