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 2011  febbraio 16 Mercoledì calendario

IL CASO BRUNELLO

Come si produce il vino di qualità?
E’ il complesso delle nome che regolano la produzione di un certo vino. Vi sono indicati il nome ufficiale da mettere in etichetta, le varietà dei vitigni ammessi e la loro eventuale percentuale massima, la zona di produzione delimitata Comune per Comune, il tempo minimo di invecchiamento nelle varie fasi, dalla botte alla bottiglia, le forme di allevamento della vite, l’esposizione dei vigneti, la resa per ettaro, a volte anche la zona di imbottigliamento obbligatoria, oltre naturalmente alla gradazione alcolica e le altre indicazioni organolettiche.

Doc è la più diffusa e sta per Denominazione di origine controllata. Le prime Doc risalgano alla metà degli Anni Sessanta. Il senatore piemontese Paolo Desana ne fu il «padre» legislativo. Oggi sono oltre 400 in tutt’Italia con un migliaio di ulteriori menzioni e sottozone geografiche. A queste si sono aggiunte, dall’inizio degli Anni Ottanta le Docg: Denominazioni di origine controllata e garantita, con un livello di controllo superiore, compresa la fascetta della Zecca di Stato con numero di serie alfanumerico bottiglia per bottiglia. In alcune regioni sono state adottate anche le Igt (Indicazioni geografiche tipiche) per i vini di territori più vasti. Il tutto è controllato da un Comitato nazionale istituito in seno al ministero dell’Agricoltura presieduto dal novarese Giuseppe Martelli, di Assoenologi.

Dal 2009 c’è stata un’evoluzione verso la nuova sigla Dop destinata a soppiantare le altre. Significa «Denominazione di origine protetta», mette al centro il territorio di nascita del vino ed è estesa con gli stessi criteri di qualità e tutela delle tipicità anche ad altri prodotti come formaggi, salumi, oli, frutta, verdure. Proprio ieri con il riconoscimento del formaggio siciliano «Piacentinu Ennese» si è arrivati ai primi mille Dop con la nuova tutela europea. L’Italia ne può vantare 211.

In molti disciplinari di produzione si prevede che un vino sia ottenuto dalle uve di un solo vitigno o da specifiche varietà di uno stesso vitigno. Gli esempi più famosi e storici sono il Barolo e il Barbaresco in Piemonte «figli» delle uve nebbiolo della sottovarietà Michet, Lampia e Rosè. Il Brunello di Montalcino deve invece essere ottenuto solo con uve sangiovese.

Sì, ma in territori o con modalità diverse. Il vitigno nebbiolo nel Nord Piemonte fa nascere anche altri vini famosi come Gattinara, Carema, Bramaterra, Ghemme, Boca e nella lombarda Valtellina è alla base di quella viticoltura di montagna. Tra i più importanti figli del sangiovese c’è anche il Chianti che però può essere ottenuto nelle varie zone anche con aggiunta in percentuali minori di uve canaiolo nero, trebbiano toscano o malvasia bianca. A Montalcino proprio in questi giorni si doveva decidere se dare al fratello minore del Brunello, il Rosso di Montalcino la possibilità di darsi un taglio più «internazionale».

La vitivinicoltura mondiale è dominata dal poker d’assi della scuola francese: cabernet, merlot, chardonnay e pinot. Però l’eccessiva omologazione di questi vitigni ha visto negli ultimi anni la forte riscossa dei cosiddetti autoctoni, varietà che non hanno diffusioni mondiali e rappresentano meglio la storia dei territori d’origine. Gli esempi non mancano: dalla barbera piemontese al tempranillo della spagnola Rioja.

L’intera produzione mondiale è in crescita e ha superato i 300 milioni di ettolitri. E’ stato calcolato che l’anno scorso si siano stappate 32 miliardi di bottiglie di vino, spumanti compresi, ovvero poco più di 5 bottiglie a testa per ogni essere umano.

Contende il primato alla Francia con una produzione media attorno ai 45 milioni di ettolitri. Il duo di testa è seguito dalla Spagna e stanno crescendo anche gli Stati Uniti, che sono anche diventati il primo Paese importatore e l’Italia ha il primato dell’export.

Sì e con la forza dei grandi numeri. In Russia il vino è diventato status symbol rispetto a vodka e altri superalcolici, consumati dalle classi più popolari. La Cina sta aumentano le importazioni e soprattutto accoglie investimenti stranieri (anche italiani) per la messa a dimora di nuove vigne.