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 2011  febbraio 16 Mercoledì calendario

FIAT IN ITALIA, A CERTE CONDIZIONI

Con un insolito look, in giacca e cravatta anziché con il consueto pullover, l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ribadisce alla Camera l’intenzione di restare in Italia, ma non senza alcune impegnative condizioni. Il messaggio già emerso dall’incontro di sabato scorso a Palazzo Chigi fa da cornice all’audizione svolta ieri davanti alle commissioni riunite Attività produttive, commercio, turismo e Trasporti, poste e telecomunicazioni: «Nessuno oggi – esordisce Marchionne – con buona fede può guardare la Fiat negli occhi e accusarla di comportamenti scorretti, di vivere alle spalle dello stato o di voler abbandonare il paese». La volontà di restare e investire in Italia comporta però dei costi significativi. Impone delle scelte da parte del sistema paese. L’a.d. entra subito nel dettaglio, oltre «le polemiche» esplose sulla possibile fusione tra Fiat spa e Chrysler e sull’eventuale spostamento della sede negli Stati Uniti. Quando Chrysler sarà quotata, si porrà un problema di governance ma per ora «la scelta sulla sede legale non è ancora stata presa». E «sarà condizionata da alcuni elementi di fondo», cioè il grado di accesso ai mercati finanziari e un ambiente favorevole allo sviluppo del progetto Fabbrica Italia. Solo «se si realizzeranno le condizioni che sono alla base del nostro piano – chiarisce – allora il nostro paese sarà nella posizione di mantenere la sede legale».

Discorso diverso per le sedi operative, perché «già ora è indispensabile avere presenze specifiche nei mercati in cui stiamo operando». Quindi, «se il cuore della Fiat è e resterà in Italia, la nostra testa deve essere in più posti»: Torino, Detroit, Brasile e in futuro, Asia. Il discorso scivola rapidamente sul legame tra Fabbrica Italia e il paese. Per Marchionne l’Italia sconta da anni un forte deficit di competitività. Fabbrica Italia però, sottolinea, può essere un’alternativa, un modello di nuove relazioni industriali che capovolge la prospettiva, che consente alla «politica» di «usare la Fiat come testa di ponte per tracciare un cammino di ripresa che non può che iniziare con una ripresa della produttività e della competitività». La Fiat – è il messaggio – «fa parte di questo paese, è un pezzo importante della sua storia e vogliamo che resti un pezzo importante del suo futuro». Marchionne ripercorre il clima degli ultimi mesi, lamenta toni spesso offensivi, in alcuni casi «denigratori», ma tiene a precisare che «non abbiamo mai chiesto sovvenzioni né aiuti di stato per portarlo avanti». Il punto, ribadisce, è invece un altro: la governabilità degli stabilimenti e il rispetto degli accordi.

Davanti a deputati e senatori, Marchionne difende gli accordi per Pomigliano e Mirafiori. «Non abbiamo mai chiesto condizioni di lavoro cinesi o giapponesi, abbiamo semplicemente chiesto di poter contare su condizioni minime di competitività. Non c’è nessuna clausola che penalizzi i lavoratori». Il messaggio è chiaro e non fornisce certezze assolute sullo scenario italiano: «Se ora mi chiedete "se" e "come" il nostro progetto potrà continuare, vi rispondo che la volontà della Fiat c’è, ma non possiamo mettere a rischio i nostri investimenti». Andranno mantenuti gli impegni per Pomigliano e Mirafiori, e non solo. L’a.d. cita anche lo stabilimento della Sevel in Abruzzo, dove solo un sindacato ha detto sì a un accordo che nel 1985 era stato firmato da tutte le organizzazioni, «Fiom compresa, per 7 sabati di straordinario». Ma, ad audizione conclusa, a chi gli chiede se è Fiom il problema in Italia, Marchionne risponde evitando di accendere i toni: «Non mi metta parole in bocca». Poi un passaggio breve ma incisivo su Termini Imerese, a dimostrazione che non tutto è in discesa nonostante l’annuncio per oggi della firma ufficiale sull’accordo di programma: Fiat collaborerà solo se esiste la garanzia che tutti i lavoratori siciliani ricevano una lettera di assunzione dai futuri proprietari del sito.

L’audizione di Marchionne, ideale prosecuzione dell’incontro di sabato scorso con il governo, è una conferma per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Che commenta: «Marchionne ha definitivamente e pubblicamente spazzato via ogni lettura strumentale circa le volontà e i programmi del gruppo industriale in Italia. Fiat non chiede risorse pubbliche ma governabilità della fabbrica». Perplesso il leader del Pd Pier Luigi Bersani: nelle parole di Marchionne «c’è ancora molta nebbia».