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 2011  febbraio 16 Mercoledì calendario

LE PENSIONI D’ORO LE HA INVENTATE GARIBALDI

È giusto celebrare il 150° dell’unità perché allora sono nati taluni vezzi italiani, come le assunzioni per meriti politici, le pensioni intese come assistenza e come regalia per gli amici. Il primo vero frequentatore del genere è stato Giuseppe Garibaldi, che a Napoli mette le mani sulle ricche casse del Regno e comincia a distribuire con patriottica generosità stipendi e prebende. Con un decreto dittatoriale del 7 settembre, il giorno stesso della sua entrata in città, si attribuisce mano libera sui depositi pubblici del Banco delle Due Sicilie: più di 33 milioni di ducati che trovano rapida collocazione. Compare un esercito di postulanti: tutti hanno richieste più o meno legittime, tutti amministrazioni comunali e privati cittadini hanno un risarcimento da pretendere, una pensione, uno stipendio, un favore, un appalto, una concessione da ricevere, un danno da farsi risarcire, “spese insurrezionali” da coprire. Per far fronte alle richieste si intaccano il Tesoro, i depositi pubblici, le proprietà della Corona e quelle private del re, fino ai beni ecclesiastici.
Esordio col botto
Si esordisce il 25 settembre concedendo una pensione vitalizia di 60 ducati (13.000 Euro) alla figlia di Carlo Pisacane. Il 29 settembre tocca alle sorelle di Agesilao Milano, che era stato giustiziato per avere attentato nel 1856 alla vita di Ferdinando II, cui viene concessa una elargizione di 2.000 ducati (450.000 Euro). Il vero capolavoro viene però concepito il 23 ottobre con un decreto che toglie dai beni della Casa Reale 6 milioni di ducati da distribuire a tutti coloro che avevano subito ingiustizie e persecuzioni da parte dei Borbone, «come sollievo delle passate sofferenze». Si scatena una corsa furibonda a presentarsi come vittime, come parenti ed eredi di vittime o più semplicemente a inventarsi vessazioni o eroismi e a costruirsi la benemerenza di “ante marcia”. Saltano fuori migliaia di liberali e di patrioti che sarebbero stati esiliati, carcerati, torturati e anche fucilati dai crudelissimi e a giudicare dalla folla delle vittime efficientissimi Borbone. A Raffaele Conforti, che era stato ministro “costituzionale” per soli 40 giorni nel 1848, sono assegnati 60.000 ducati, somma equivalente allo stipendio che avrebbe percepito se fosse rimasto in carica per 12 anni fino al 1860. Antonio Scialoja assegna a sé stesso e a suo padre 200 mila franchi, firmandosi da solo l’ordine di prelevamento.
Vengono pagate somme ingenti per stipendi ai nuovi funzionari, pensioni accordate con larghezza a quanti avevano perduto il posto con l’esilio. Filippo Agresta, ex sottotenente di fanteria, divenuto direttore delle dogane con Garibaldi, lascia il suo nuovo impiego con una rendita di 12 mila franchi, equivalente a quanto avrebbe maturato dopo una carriera di una intera vita. Pier Silvestro Leopardi, che per due soli mesi nel 1848 aveva ricoperto la carica di inviato di Ferdinando II presso Carlo Alberto, «ottenne un ritiro di 18.000 franchi» e poco dopo «un altro impiego copiosamente ricompensato», che naturalmente va a cumularsi al precedente. Aurelio Saliceti, si fa assegnare, con soli dieci anni di servizio nella magistratura, la pensione di 2.250 ducati, spettante a un consigliere di Cassazione con 40 anni di servizio.
Naturalmente Garibaldi non dimentica in questa occasione gli amici più cari. Alexandre Dumas, nominato responsabile di Pompei ed Ercolano, viene strapagato per soprintendere a un progetto di scavi decretato con straordinaria tempestività il 12 settembre. Assegna alla Camorra un contributo
di 75.000 ducati (circa 17 milioni di Euro) da distribuire ai bisognosi. Con un decreto del 26 ottobre, Garibaldi attribuisce una pensione vitalizia di 12 ducati mensili (circa 2.700 Euro) a Marianna de Crescenzo (sorella del capo della Camorra), Antonietta Pace, Carmela Faucitano, Costanza Leipnecher e a Pasquarella Proto, e cioè all’intero vertice femminile della Camorra.
Prelievi frequenti
Il dittatore e i suoi collaboratori prelevano in continuazione, con un semplice biglietto scritto e senza fornire alcuna giustificazione. Nel giro di due mesi, le casse vengono completamente svuotate, ma non cessano le richieste. Soddisfatti tutti i rimborsi alle sedicenti vittime dei Borbone, arrivano tutti quelli che chiedono posti, stipendi e prebende in nome di benemerenze acquisite nella “lotta” di liberazione nazionale. L’onesto Giuseppe Massari (che ha rifiutato il “rimborso spese” per i fatti del 1848) scrive scandalizzato a Cavour che «le Intendenze del Regno sono 15: e già ci sono per esse 750 domande».
Il governo italiano farà non poca fatica a mettere un po’ d’ordine. Al Generale la “pensione” arriva invece solo molto più tardi, nel 1881, quando l’ascesa al potere del garibaldino Agostino Depretis gli consente di accettare senza perdere la faccia il «Dono di gratitudine nazionale» che in precedenza aveva rifiutato. Dice pudicamente di accettare il denaro per «concorrere in pro di Roma alla difesa dei lavori del Tevere», in realtà ripartisce le prime 50.000 lire fra i suoi familiari: 20.000 a Menotti che è pieno di debiti, 5.000 a Ricciotti, 4.000 a Teresita, 2.000 a Francesca, 2.000 alla piccola Clelia, 2.000 a Manlio e 10.000 per una assicurazione a favore dei due figli più piccoli che al ventunesimo anno avrebbero riscosso 100.000 lire. Per sé tiene 5.000 lire. Gli avversari criticano questo suo cedimento, i clericali lo sbeffeggiano. Il «Dono di gratitudine nazionale» di 50.000 lire annuali corrisponde alla rendita di 2.000.000 di lire-oro: per questo l’implacabile Civiltà Cattolica lo ribattezza «Eroe dei Due Milioni».
Sorte peggiore
Ai suoi va peggio: devono aspettare di essere anziani come lui ma prendono molto meno. Lo Stato si ricorda dei volontari garibaldini solo nel 1907, in occasione del centenario della nascita del biondo eroe, quando decide di «assegnare un milione di lire a favore dei superstiti garibaldini in ristrette condizioni di fortuna». Viene istituita una Commissione presieduta dal senatore Giovanni Cadolini che deve vagliare una valanga di 27.504 domande. Dal resoconto riportato da Roberto Gremmo sulla rivista “Storia Ribelle” esce un quadro di straordinaria longevità: si fanno infatti avanti 368 combattenti della Repubblica romana (età media 81 anni), 1.087 cacciatori delle Alpi (70 anni), 7.426 della spedizione dei Mille, 8.362 del 1866 (63 anni), 3.235 del 1867.
Sono esclusi quelli che avevano partecipato a spedizioni all’estero, sono acchiappati 326 furbastri che hanno presentato due o più domande, esclusi altri 176 che nel frattempo sono diventati delinquenti comuni. Sono cancellati anche “alcuni funzionari che godevano stipendi financo di lire 6.000”: serve ricordare che la più parte dei volontari proveniva da famiglie benestanti, e che molti di loro si sono “sistemati”, in politica e nell’esercito . Alla fine gli ammessi al sussidio sono 20.033 che si prendono la miseria di 50 lire a testa, circa 200 Euro. Chi tardi arriva...