BARBARA GALLAVOTTI, La Stampa 16/2/2011, pagina 31, 16 febbraio 2011
La luce avvitata su se stessa svelerà com’è un buco nero? - Immaginate un buco nero in rotazione lassù, in un qualche angolo del cosmo
La luce avvitata su se stessa svelerà com’è un buco nero? - Immaginate un buco nero in rotazione lassù, in un qualche angolo del cosmo. E immaginate un raggio di luce che gli passa in prossimità: lo vedreste non solo deviare, ma anche torcere come un rivolo d’acqua su una superficie deformata. L’esatta modalità della torsione subita dal raggio di luce è stata descritta in una teoria pubblicata su «Nature Physics» e formulata da Fabrizio Tamburini, dell’Università di Padova, in collaborazione con ricercatori in Spagna, Svezia e Australia. Si tratta di un fenomeno mai studiato prima che da un lato rappresenta un inedito banco di prova per la teoria della relatività di Albert Einstein e dall’altro promette di diventare uno strumento utilissimo per comprendere l’Universo. E potrebbe anche rivoluzionare le nostre telecomunicazioni, risolvendo i problemi di traffico sulle linee. Sono passati 56 anni da quando Einstein si è spento, lasciando a generazioni di altri fisici un’eredità complicata. Le equazioni alla base della sua Relatività generale stabilivano una sorta di regole del gioco in mano a chi volesse studiare l’Universo. La teoria descriveva come la distribuzione di energia e materia deforma la geometria di quello spazio-tempo che da allora siamo abituati a immaginare come un lenzuolo piuttosto teso, sopra cui tutto ciò che è dotato di massa si appoggia, causando avvallamenti. Ma la partita era ancora del tutto aperta. Occorreva cioè applicare le regole a ciascun fenomeno, risolvendo volta per volta le complicatissime equazioni. Einstein stesso l’aveva fatto in alcuni casi, dimostrando ad esempio come la deformazione dello spazio-tempo dovuta alla presenza di un corpo dotato di massa provochi una deviazione dei raggi luminosi. Negli anni si sono pazientemente risolte le equazioni di Einstein in molti casi particolari, scoprendo ad esempio che esse portano a prevedere l’esistenza dei buchi neri o che ammettono l’esistenza di un Universo in espansione, come sembra sia il nostro. Con il procedere degli studi la partita è andata avanti e molte mosse sono state perfezionate. Lo studio ora pubblicato su «Nature Physics» ci presenta quindi qualcosa di ormai raro: la descrizione di un nuovo fenomeno che emerge dalla soluzione delle equazioni di Einstein, appunto la torsione dei raggi di luce che si muovono nei pressi di un buco nero. Una nuova mossa, dunque, nella partita della conoscenza giocata fra uomo e natura. E come ogni nuova mossa può mettere in luce una crepa nelle regole del gioco, quelle regole che oggi appaiono quasi sacre. O può confermarle, rivelandosi in questo caso uno strumento utilissimo per ulteriori ricerche. Tutto dipenderà dalle osservazioni sperimentali che dovranno essere condotte attraverso i telescopi. Immaginiamo che queste ultime non confermino quanto previsto dal gruppo guidato da Tamburini. Vorrà dire che c’è un caso in cui la natura non si comporta secondo le equazioni di Einstein e che, dunque, esse devono essere riviste. Sarebbe una rivoluzione: fino ad oggi la teoria della Relatività generale ha dimostrato di saper descrivere molto bene la natura, a meno di non andare nell’infinitamente piccolo, in quel mondo delle particelle elementari dove regna invece la meccanica quantistica. Comunque la comunità scientifica discute da tempo della possibilità che la teoria di Einstein debba essere modificata, così da rendere conto di fenomeni che oggi restano misteriosi come la presenza di materia oscura nel cosmo: gli scienziati la cercano da tempo, eppure alcuni ritengono che in realtà non esista, ma che sia solo una sorta di fantasma che potrebbe essere fugato spiegando l’Universo in modo un po’ diverso da come suggerisce Einstein. Ma tutto sommato, forse, è più probabile che le osservazioni sperimentali confermeranno le previsioni pubblicate su «Nature Physics». In questo caso si apriranno prospettive altrettanto eccitanti. Perché proprio quei raggi di luce avvitati su loro stessi potrebbero con i loro movimenti dirci qual è la struttura intima dei buchi neri. O aiutarci a capire fenomeni astrofisici ancora poco chiari come il comportamento dei quasar, i corpi celesti dalle misteriose emissioni elettromagnetiche. E qui sulla Terra? Analoghi vortici di onde elettromagnetiche potrebbero essere ricreati artificialmente, così da creare canali indipendenti per le telecomunicazioni. Si risolverebbero i problemi di sovraccarico del traffico che diventano sempre più pressanti, soprattutto a causa dello scambio di grandi moli di dati permesso dagli «smart phones». È qualcosa che il gruppo guidato da Tamburini sta verificando sperimentalmente. In fondo, la teoria di Einstein ha già generato molte applicazioni quotidiane, come il Gps su cui si basano i navigatori satellitari. Se un giorno anche i telefonini funzioneranno grazie allo zio Albert e ai fisici che ne hanno raccolto l’eredità, non ci sarà da stupirsi.