Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 16/02/2011, 16 febbraio 2011
IL CASO KHODORKOVSKIJ SCUOTE BERLINO — «È
la prima volta che difendiamo un capitalista» , spiega un membro della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo alla telecamera di Cyril Tuschi, ma per una volta l’eccezione sembra «totalmente giustificata dai fatti» . Il capitalista in questione è l’ex oligarca russo Mikhail Khodorkovskij, detenuto nella prigione siberiana di Krasnokamensk per scontare una condanna a 14 anni, e in questi giorni anche agli onori della Berlinale, nella cui sezione Panorama è stato presentato il documentario che Tuschi gli ha dedicato. Un appuntamento che si è trasformato in un evento maggiore, visto il vero e proprio assalto del pubblico, spinto a vedere il film anche dal «misterioso» furto nell’ufficio del regista di pochi giorni fa, quando i ladri avevano rubato una copia dell’opera. Per fortuna la Berlinale aveva già ricevuto il documentario e ha dovuto aggiungere proiezioni supplementari per soddisfare le molte richieste di visione. L’argomento, indubbiamente, è d’attualità, vista anche la notizia di due giorni fa secondo cui il giudice Danilkin, che a dicembre aveva prolungato la condanna di Khodorkovskij e del suo ex socio Lebedev da nove a quattordici anni, si sarebbe limitato a leggere una sentenza redatta dai suoi superiori e «voluta» da Putin, nemico giurato dell’ex oligarca. Con un lavoro durato alcuni anni, Tuschi (regista tedesco semiesordiente di quarantun anni) ha cercato di ricostruire non solo le vicende che hanno portato in prigione l’ex proprietario della società petrolifera Yukos, ma anche gli anni della sua scalata al successo, quando verso il 1985, da dirigente del Komsomol (la lega dei giovani comunisti) dell’università moscovita Mendeleev, trovò gli appoggi (e i soldi) per una serie di iniziative «private» che gli avrebbero fatto conquistare addirittura una banca d’affari, la Menatep. Intervistando molti testimoni e senza nasconderne gli eventuali legami d’amicizia o d’affari con Khodorkovskij, Tuschi racconta il lassismo legislativo e politico che circondò le «privatizzazioni» volute da Eltsin (le dichiarazioni di un paio di suoi collaboratori sono piuttosto rivelatrici sui margini di profitto di cui tutti — futuri oligarchi e politici in carica — usufruirono), ma traccia anche un quadro delle molte dinamiche presenti allora nella Russia, che trovarono proprio nel neo-capitalista un inaspettato alfiere. Perché il quarantenne più ricco del mondo, secondo le classifiche di Forbes degli anni Novanta, fondò e sostenne una scuola per i meno fortunati (la Open Russia)? Perché si impegnò attivamente nel diffondere e mettere a disposizione dei giovani le nuove tecnologie? E soprattutto: perché, contravvenendo a un patto non scritto tra tutti gli oligarchi e Putin, scelse di misurarsi con la politica, sostenendo partiti non graditi all’allora capo del governo? Il film pone queste domande a molte persone: ex soci dell’oligarca ora in esilio in Israele o in Gran Bretagna, giornalisti e attivisti politici, ex ministri e statisti europei (c’è anche Joschka Fischer ma non Gerhard Schröder, che si è rifiutato di rispondere), amici e familiari (compresi il primogenito Pavel e la madre Marina). Difficile trovare una risposta certa per ogni domanda, ma le immagini in cui davanti alle telecamere della tv di Stato, all’inizio del 2003, Khodorkovskij denuncia la corruzione della giustizia e il suo asservimento al potere politico mentre Putin digrigna i denti e freme di rabbia sono di quelle che non si dimenticano facilmente. E che spiegano da sole perché, pochi mesi dopo, il padrone della Yukos fu arrestato con una irruzione tanto spettacolare quanto gratuita nel suo aereo appena arrivato a Novosibirsk. E alla fine, dopo 115 minuti di un’inchiesta incalzante e coinvolgente, lo spettatore non ha potuto trovare una risposta ai tanti dubbi sulle origini di molte ricchezze negli anni della perestrojka, ma ha sicuramente capito che a quasi cent’anni dalla Rivoluzione d’ottobre uno zar è ancora seduto sul trono di Mosca.
Paolo Mereghetti