
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il Medio Oriente non trova pace, ieri folle hanno invaso le strade di Bengasi, Teheran, Sanaa, Aden, Manama e focolai di protesta si segnalano in tutta la Libia, dove oggi è in programma una «giornata della collera» che preoccupa molto Gheddafi. Ci sono stati una decina di morti in tutta l’area.
• Di che paesi stiamo parlando?
La Libia, l’Iran, lo Yemen, il Bahrein. Mentre non si placa la tensione in Tunisia e i manifestanti egiziani sono rientrati nelle loro case, ma l’impressione generale è che l’abbattimento di Mubarak abbia solo reso possibile un’altra dittatura, quella dei militari. Parecchi analisti pronosticano che non ci saranno elezioni a settembre e che i generali si terranno stretto il bandolo della matassa per almeno due anni. Guardi che sotto certi aspetti è uno sviluppo persino augurabile, perché il pericolo è una svolta fondamentalista, nonostante i Fratelli Musulmani non rappresentino più del 20% della popolazione e siano parecchio divisi. C’è però il pericolo che gli sciiti – cioè quel pezzo di Islam che ha come punto di riferimento Teheran – riescano a innescare una rivolta complessiva nei paesi dell’area, tale da mettere in pericolo la sopravvivenza di Israele. Non è un caso che gli unici preoccupati per la caduta di Mubarak stiano a Tel Aviv. Ieri il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha denunciato che due navi militari iraniane starebbero forzando Suez per raggiungere la Siria. «L’autostima degli ayatollah sta crescendo, un episodio come questo non accadeva da molti anni, la comunità internazionale deve capire che Israele non può tollerare provocazioni simili per sempre».
• In base a questo ragionamento, le manifestazioni più interessanti – per dir così – dovrebbero essere quelle iraniane?
A Teheran ci sono state proteste lunedì e la repressione dei basij e delle forze di polizia ha provocato due morti. Ieri si svolgevano i funerali di una delle due vittime, uno studente dell’Accademia di Belle Arti che si chiamava Sanèe Zhaleh, e ci sono stati altri scontri tra giovani del movimento filomarxista Monafeghin e sostenitori del regime, probabilmente basij o agenti travestiti da civili. Comunicati del governo sostengono – smentiti da tutta l’opposizione – che Zhaleh fosse uno dei loro, ucciso quindi dai manifestanti. Gli ayatollah hanno annunciato che i due leader dell’opposizione, Mir Hossein Moussawi e Mehdi Karrubi, saranno messi sotto processo. Un altro oppositore, Mehdi Karrubi, ha lanciato un appello ai governanti: «Finché siete in tempo, aprite le orecchie e ascoltate la voce del popolo».
• E Gheddafi?
È in rivolta Bengasi, la città in cui si concentra l’opposizione al rais. Ci sarebbero però focolai di contestazione anche nelle altre città È certo che la polizia ha sparato proiettili veri, ferendo 38 persone e forse uccidendone due (così sostengono, almeno, i siti internet Libya al Youm e, da Londra, Al Manara da Londra. Naturalmente è proibito andare sul web e ricorrere a Twitter. Gli scontri più gravi sarebbero avvenuti nella via Jamal Abdel Naser di Bengasi. Due giornalisti libici, che tentavano di mandar notizie attraverso le tv satellitari, sono stati arrestati. Qui la rivolta è scoppiata quando Gheddafi ha fatto arrestare l’avvocato Fethi Tarbel, che rappresenta le vittime della repressione del 1996: mille e duecento persone ammazzate dalle guardie libiche nel carcere di Abu Salim. Le autorità, evidentemente spaventate dalla protesta, hanno poi rilasciato questo avvocato e con lui altri 110 prigionieri, attivisti islamici. Gesti forse inutili. Per oggi è indetta una «giornata della collera», cioè cortei e sit-in ovunque. Riferiscono che il leader libico sia molto preoccupato. Del resto, le analisi dei giorni scorsi davano la Libia come uno dei paesi maggiormente a rischio.
• In che modo le altre proteste si inseriscono in questo quadro?
Lo Yemen è in rivolta da tre settimane. Ieri ci sono stati due morti ad Aden e scontri nell’università della capitale, Sanaa. I giudici stanno facendo un sit-in davanti al ministero della Giustizia. Qui la fonte della ribellione è sciita, e tra gli obiettivi c’è quello di spaccare il Paese in due.
• Il Bahrein non è troppo piccolo per fare notizia?
Sì, sono poco meno di 700 mila abitanti. Siamo tuttavia tra Arabia e Persia. Domina una minoranza sunnita su una maggioranza sciita. Il re, dopo tre giorni di proteste (con morti), è andato in tv a chiedere scusa e promettere riforme. Anche nelle inquietudini di questo arcipelago dovrebbe esserci la mano di Teheran. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/2/2011]
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