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 2011  febbraio 17 Giovedì calendario

NON SOLO AUTOMOBILI

Quindici anni fa, il 60-70 per cento del fatturato della ditta dipendeva dal gruppo Fiat. Oggi siamo al 20 per cento... Parla Fabrizio Cellino, titolare dell’omonima azienda specializzata nelle lavorazioni in lamiera che, a Grugliasco, produce componenti per i camion Renault e Volvo, le macchine movimento terra Atlas e Caterpillar, oltre che per le marche "di casa", Cnh e Iveco. Cellino è anche il presidente torinese di Confapi, l’associazione delle piccole imprese e sottolinea come il processo di diversificazione della componentistica auto, la spina dorsale dell’industria piemontese, sia un dato comune. Aggiunge Giuseppe Russo, economista del centro studi Step, che chi ha potuto e voluto si è diversificato per cliente, per paese, per prodotto. E che chi ha sofferto di più nella recente crisi sono state, nella cosiddetta "filiera automotive", le imprese della subfornitura che realizzano lavorazioni semplici. E Aldo Enrietti, che a Torino insegna Economia industriale, ritiene la nuova Mirafiori un rischio ("Sono raggiungibili gli obiettivi dichiarati da Sergio Marchionne?") ma pure una grande opportunità per l’indotto piemontese: "Chi è già pronto a operare sulle piattaforme che saranno al centro anche di molti modelli da produrre in Nord America potrebbe trovarsi in un interessante vantaggio competitivo rispetto ai fornitori tradizionali degli impianti Usa della Chrysler".
Chiedere agli economisti che aria tira in Piemonte porta inevitabilmente il discorso intorno al ruolo della Fiat. E il fronte è particolarmente caldo dopo le recenti esternazioni americane di Sergio Marchionne, che non esclude, dopo un’eventuale fusione tra Fiat e Chrysler, lo spostamento della sede centrale del nuovo gruppo a Detroit, nel Michigan. Umberto Bocchino, professore di Economia aziendale, figlio di operai, invita istituzioni e imprese a far di tutto per mantenere qui il massimo possibile di produzioni automotive: "Un gruppo globale e multinazionale non ha interesse a spostare le competenze. E nell’automotive, a Torino, le competenze ci sono eccome".
Il settore conta, del resto, ben oltre centomila addetti: 84 mila quelli ufficiali, dipendenti delle 880 società di capitali censite dalla Camera di Commercio (erano 1.471, cinque anni fa, con 95 mila addetti). È importantissimo ma non è "tutto" il Piemonte, che di occupati ne ha 1,8 milioni, di aziende ne schiera 470 mila e sprigiona l’8 per cento del Pil nazionale, pari a oltre 120 miliardi di euro. Il gruppo Fiat, con le sue fabbriche e i suoi centri stile, le attività nei camion e nei trattori, ha fatto sì che intorno a sé si creasse un tessuto di componentisti e fornitori, di designer e prototipisti, che forse non ha eguali nel mondo. Tuttavia, i suoi dipendenti in Piemonte sono oggi 35mila. Dunque, Livio Antonio Costamagna, presidente della Confapi regionale, invita a non dimenticare il tessile e la chimica, l’agroalimentare e la ceramica, e le altre tante aree di business. Soprattutto ora che hanno metabolizzato la necessità di considerare irrinunciabile l’export e utile l’apertura ai capitali e ai manager esterni alla famiglia. "Tra le opportunità offerte dalla crisi c’è anche quella di poter ingaggiare, a costi accessibili anche per le Pmi, dirigenti in uscita dalle multinazionali e che un tempo erano economicamente inarrivabili", dice ancora Costamagna.
Ci sono naturalmente anche molte aziende, in Piemonte, che intorno alla propria vocazione internazionale hanno costruito leadership assai interessanti. Come quelle della Mondo di Gallo d’Alba, che realizza tra l’altro le piste d’atletica per le Olimpiadi , e della Avio, la multinazionale con base a Rivalta di Torino (dove lavorano duemila dei 4.500 dipendenti italiani), che produce componenti e sistemi per motori aeronautici e sistemi di propulsione spaziale. Poi non si può dimenticare il settore Ict, Information communication technology, con ottomila imprese che vanno dalla storica Brondi, che dal 1935 appartiene alla famiglia fondatrice e realizza cellulari e cordless, alla Seat Pagine Gialle, che ai classici elenchi cartacei ha affiancato i servizi voce (con i numeri 1240 e 892424) e l’attività di Web agency. Mentre lontano dal telefono si battono sorprendenti realtà come la Monge Pet Food di Monasterolo di Savigliano, Cuneo, big del made in Italy degli alimenti per animali domestici, o medie imprese delle maniglie come la blasonata Olivari, che esporta il 30 per cento e si è avvalsa di grandi firme alla Mendini.
Certo, il bicchiere è sempre mezzo pieno e l’impegno della Regione Piemonte, pur apprezzato, non è sufficiente: "Il presidente Cota ha messo tutto quel che aveva a sostegno del lavoro e della competitività, ma la situazione merita ben altro, e anche la riapertura dei rubinetti del credito dovrà essere nettamente più decisa", ricorda il presidente della Confapi regionale. Le rilevazioni più recenti su ordini e investimenti programmati dalle aziende confermano che in Piemonte è in corso una ripresa col freno a mano tirato. All’insegna del peggio è passato ma con un po’ di delusione, perché il sistema delle imprese piemontesi sperava davvero di trovarsi, oggi, più avanti nel percorso di risalita. Una cosa è certa: la velocità della ripartenza è decisamente più elevata per le aziende che puntano alle esportazioni. Il tasso di utilizzo degli impianti è risalito di 10 punti percentuali rispetto ai minimi del 2009, ma secondo Confindustria Piemonte resta su livelli sensibilmente inferiori rispetto ai tassi considerati "normali". Per gli industriali, quel 70,8 per cento medio di sfruttamento della potenzialità delle fabbriche resta al di sotto dei valori delle fasi di ripresa. Il reddito delle famiglie è calato del 2,7 per cento a livello nazionale nel 2009 - secondo i dati Istat - e al Piemonte è andata ancora peggio (-5,5 per cento). La regione è anche quella che ha sofferto di più la crisi nel settore industriale, con un calo del valore aggiunto dei prezzi base del 16 per cento, contro il 13,2 nazionale. Numeri crudi. Il 19 marzo, però, sarà festa: a Torino riapre il Museo dell’auto. Il migliore al mondo, giura il direttore Rodolgo Gaffini Rossi. Ha richiesto 33 milioni di investimenti e vuol catturare 350 mila visitatori l’anno, trainati dal fascino immortale delle quattro ruote.