TIMOTHY GARTON ASH, la Repubblica 17/2/2011, 17 febbraio 2011
LA NUOVA SPERANZA NELL´EUROPA ARABA
Pensavo che fosse opportuno verificare di persona l´impatto di queste rivoluzioni sulla strada araba. La strada araba in Europa, intendo. Così sono tornato nella Calle del Tribulete a Madrid. Lungo questa via angusta, su cui si aprono bar scalcinati e locutorios, centri telefonici ed Internet dove gli immigrati vanno a parlare con le loro patrie in fermento, si incontrano marocchini, tunisini, algerini – e in un negozietto polveroso chiamato la Casa del Faraone, un giovane egiziano di nome Safy. È arrivato tre anni fa dal porto mediterraneo di Rashid, o Rosetta, dove le truppe napoleoniche rinvennero la famosa stele.
Quello che mi dice Safy, assieme a Mokhtar, e Muhammad (vari Muhammad) è che infine in patria si apre qualche speranza. E se quelle speranze si realizzeranno, se anche quello che un immigrato algerino definisce il suo "governo mafioso" cadrà, se si apriranno reali prospettive di impiego, di alloggio e, ebbene sì, di maggiore libertà, loro torneranno a casa. Sono qui in Spagna per garantire una vita migliore a se stessi e ai loro figli.
Stanno bene qui anche se dicono che i pregiudizi anti musulmani si sono esacerbati dopo gli attentati di Madrid nel 2004. Ma, in caso, tornerebbero in patria. Per ora c´è «come dire… espoir».
Questa non è una strada araba europea come le altre – anche se ce ne sono di simili in ogni grande città dell´Europa occidentale. No, questa è la strada da cui provenivano alcuni degli attentatori di Madrid. Si incontravano a La Alhambra, un tranquillo bar- ristorante. Un certo Jamal Zougam lavorava in uno dei tanti locutorios dove si va per telefonare a casa. Fu lui a preparare i cellulari che fecero da detonatore alle bombe che uccisero tanti pendolari spagnoli innocenti sui treni nella vicina stazione Atocha l´11 marzo 2004. Quando sono stato qui sei anni fa c´erano ragazzi che avevano la foto di Osama Bin Laden sul cellulare. Mi parlavano della loro paura, della loro rabbia per la guerra in Iraq, della loro disperazione.
Oggi i locutorios e i cellulari sono animati da notizie migliori. Nella Casa del Faraone, Safy e Ibrahim esultano per la caduta di Mubarak. E dietro al bancone del bar La Alhambra c´è un marocchino premuroso che ha studiato storia medioevale e parla con cautela di un possibile cambiamento in meglio nel suo regno natio. In caso di libere elezioni, dice, gli islamisti marocchini potrebbero avere successo, ma sarebbero islamisti pacifici, ligi alle leggi, rispettosi della democrazia come quelli in Turchia, «solo ancor più moderati».
Bene, come dice Erodoto, il mio compito è raccogliere le testimonianze – ma non sono affatto tenuto a credervi. Sono l´ultimo a sovrastimare la valenza della vox populi ascoltata un pomeriggio in una strada araba. Solo un pazzo non riconoscerebbe che viviamo un momento di pericolo oltre che di opportunità. Il cammino da percorrere per la Tunisia e l´Egitto è molto meno chiaro di quanto lo fosse a suo tempo per i paesi est europei e in fondo alla strada non c´è la casa sicura, calda e invitante dell´ingresso nella Ue.
Nel lungo periodo i discorsi che ho ascoltato nella Calle del Tribulete potrebbero significare che un certo numero di immigrati ritornerà nei paesi d´origine. Per ora ci sono più di 5000 immigrati clandestini arabi nell´isola di Lampedusa, in gran parte provenienti dalla Tunisia. «La rivoluzione non ha cambiato nulla», dichiarano intervistati da Le Monde – e vogliono che l´Europa dia loro lavoro.
Nella confusione di una nuova semi-libertà , alcuni vecchi tarli verranno fuori. Ne ho avuto un piccolo assaggio da un giovane marocchino seduto alla fermata dell´autobus. Senza un motivo particolare ha iniziato a dirmi che «tutti i problemi del mondo sono colpa degli ebrei». Il profeta Maometto ebbe delle difficoltà con gli ebrei, mi spiegava, e da allora gli ebrei hanno creato problemi ai musulmani. Questo ragazzo frequenta una moschea il cui imam è originario – indovinate un po? – dell´Arabia Saudita.
Ma cercare di tenere a bada lo scontento palese dei giovani arabi sostenendo autocrazie arabe corrotte – inclusa quella saudita che finanzia gli imam wahabiti - come l´America e l´Europa hanno fatto per troppo tempo, equivale semplicemente a passare in futuro dalla padella alla brace. Dobbiamo cogliere oggi l´occasione, rischiare, e concentrarci al massimo per capire come – con i limitati mezzi di cui disponiamo – poter aiutare gli arabi affamati di libertà a raggiungere la miglior destinazione possibile.
Ma in che modo? Speravo di trovare in Spagna qualche risposta a questo interrogativo. Perché non c´è paese europeo più prossimo al mondo arabo: solo tredici chilometri di Mediterraneo fino alla punta più vicina del Marocco. È questo il luogo in cui Europa e Medio Oriente vengono a contatto.
Ciò che ho sentito finora dai protagonisti della politica e dagli analisti spagnoli è deludente. È vero, questo paese conosce bene il Maghreb, e soprattutto il Marocco, ma la sua politica è frenata dal timore di ondate di immigrazione (che le autorità marocchine ora collaborano a limitare) nonché del terrorismo islamico, della droga e della criminalità; esistono problemi di sicurezza riguardo alle enclave spagnole in Nord Africa, Ceuta e Mellila; e preoccupano gli stretti legami con la monarchia marocchina. Se la manifestazione organizzata per domenica in Marocco dovesse dare avvio a qualcosa di grosso, davvero gli spagnoli non saprebbero cosa fare.
Se la Spagna non ha una strategia la Francia, ancora peggio, ne ha avuta una sbagliata. Nel perseguire con miopia il cosiddetto "realismo" le élite politiche e imprenditoriali francesi sono state pappa e ciccia con i governi arabi nordafricani, governi ladri, come ora molti sanno grazie anche a WikiLeaks.
Il presidente Nicolas Sarkozy ha inoltre caricato l´Europa del peso di un organismo del tutto inutile, chiamato Unione per il Mediterraneo. Cofondatore, assieme allo stesso Sarkozy altri non era che Hosni Mubarak. Questo coacervo di 43 paesi dispone di una serie di comitati e progetti ingombranti e anomali, del tutto inadeguati allo scopo. Oggi che davvero serve un´unione per il Mediterraneo, dovremmo iniziare proprio dall´abolire l´Unione per il Mediterraneo.
Quanto all´altra grande potenza mediterranea europea, l´Italia, il profondo interesse personale per gli affari arabi del suo primo ministro lo ha appena portato in tribunale– imputato per aver pagato per prestazioni sessuali una ballerina di night club araba di nome Karima El Mahroug, all´epoca dei fatti minorenne.
Più seriamente, tutti i leader europei sono preoccupati per le difficoltà delle banche, i tagli alla spesa pubblica e la crisi esistenziale dell´Eurozona. Un politico spagnolo lungimirante mi dice che l´offerta che dobbiamo fare all´altra sponda del Mediterraneo è un «piano Marshall dalla forte componente politica». Il che agli occhi degli europei tartassati e costretti a stringere la cinghia sarà allettante quanto la prospettiva di cedere i propri posti di lavoro ai tunisini di Lampedusa.
Così a mente fredda si finisce per essere scettici tanto sulla probabile reazione europea al "1989 arabo" quanto sull´esito dello stesso. Ma se l´UE oggi non sa dare una risposta generosa, creativa e strategica a ciò che sta accadendo sull´altra sponda del Mediterraneo, un giorno pagheremo il conto in tutte le strade arabe d´Europa.
(www.timothygartonash.com
Traduzione di Emilia Benghi)