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 2011  febbraio 17 Giovedì calendario

PRIMAVERA 2011. SFILA IL CARO-ABITI

Un abito? Con gli aumenti della lana grezza registrati nel 2010 il prossimo anno in negozio, potrebbe costare 800 euro invece di 600. Una camicia di cotone? 120 invece di 100. Parola di imprenditori.

E’ l’aumento delle materie prime a preoccupare i signori del tessile. Ancora oggi a Milano Unica, i migliori produttori di stoffe italiani ed europei (439 per la precisione) si stanno confrontando con compratori e stilisti in arrivo da tutto il mondo. La ripresa sicuramente caratterizza questa dodicesima edizione con numeri da capogiro se paragonati alle «miserie» del 2008 e del 2009: fatturato +11,8% (pari a 7,5 miliardi di euro), produzione +13,9, esportazioni +11,6, il tutto coronato da un saldo commerciale positivo di oltre 2,4 miliardi. Ma il caro-lana e il caro-cotone gettano luci e ombre sul futuro.

«Il tessile è finalmente tornato un po’ più vivace - spiega Nino Cerruti - ma ancora non si capisce se il fascino dell’aumento degli ordini dipende da chi sta speculando, cioè sta acquistando per esempio tessuti classici in vista degli aumenti dei listini, o se invece c’è una effettiva ripresa dei consumi. E poi non dimentichiamoci che questa euforia potrebbe essere dettata anche dal fatto che stiamo uscendo da un momento davvero difficile. Sappiamo che il peggio non è ancora del tutto passato, i margini restano sempre bassi e con gli aumenti delle materie prime occorrono finanziamenti maggiori».

Ma è pur vero che sul prezzo finale, gli aumenti delle materie prime (che gravano soprattutto sul primo anello della filiera produttiva) incideranno per una manciata di euro: se un abito in lana per la confezione richiede 3 metri di tessuto (a un costo medio di 20 euro al metro) riportato ai nuovi listini verrà a costare 65 anziché 60 euro di stoffa. Prima di arrivare in negozio però, giacca e pantaloni subiranno l’effetto valanga, purtroppo a carico del consumatore finale, quello che resta sempre con il cerino in mano.

«C’è un altro aspetto che va tenuto presente - aggiunge Alessandra Ormezzano dell’omonimo lanificio biellese, specializzato nel lino e nel cotone -. I fornitori non vendono più a prezzi stagionali e si riservano di applicare ritocchi nell’arco dei 6 mesi, cosa che noi a nostra volta noi non possiamo fare. Il lino è cresciuto dell’8% e il cotone 15%: oggi abbiamo ipotizzato un + 10% al metro ma da aprile in avanti non siamo certi di aver fatto i conti giusti».

Aspetto positivo è invece il fatto che il rincaro costringerà davvero tutti a rivedere i listini, Paesi emergenti compresi, dalla Cina all’India, che risentiranno sicuramente di più della maggiorazione rispetto a chi vende a medio o alto prezzo.

«E’ pur vero - aggiunge Paolo Zegna -che la Cina non è più da considerarsi come 10 anni fa. In questo arco di tempo c’è stato un adeguamento delle condizioni di lavoro, delle contrattazioni sindacali. Per noi resta un Paese importantissimo, anche se non ancora omogeneo, che sta sviluppando un consumo interno in continua crescita».

Se il primo sbocco dei tessuti italiani si conferma il mercato tedesco, in grado di assorbire l’11,8% dell’export totale dei tessuti Made in Italy (nei primi dieci mesi del 2010 ha evidenziato un recupero del +11,5%) anche Francia e Spagna, rispettivamente terzo e quarto mercato, tornano dinamici, segnando l’uno un incremento del +9%, l’altro del 12,8%. La performance della Cina, dopo la battuta d’arresto registrata nel 2009, risulta in crescita del +24,9% mentre dopo il «crollo» (-46,1% nei primi 10 mesi del 2009) gli Usa evidenziano un’inversione di trend (+13,1%), che riporta le vendite di tessuti sopra i 110 milioni di euro.