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 2011  febbraio 17 Giovedì calendario

«DATECI TEMPO, IL PAESE STA RIPARTENDO»

Mehdi Houas è ministro del Turismo e del commercio tunisino da un mese, fa parte del governo provvisorio nato dalla rivoluzione del gelsomini e dalla fuga del presidente-dittatore Ben Ali. Houas è un imprenditore dell’hi-tech che vive tra Parigi e New York al suo primo incarico politico: «Sarà anche l’ultimo e spero si concluderà presto - sorride -: quando ci sarà un voto libero e sereno tornerò al mio lavoro». Il neoministro, uno dei due franco-tunisini del governo Gannouchi, è a Milano per la Borsa internazionale del turismo, settore chiave «per rilanciare l’economia, fondamentale per lo svolgimento di elezioni davvero democratiche».

Quali sono stati i suoi primi passi come ministro?

Abbiamo lanciato una campagna di comunicazione per ricostruire in fretta l’immagine del paese e ci siamo impegnati a garantire la sicurezza dei turisti, fra cui molti italiani.

Vi aspettavate le partenze di massa?

La Tunisia è sempre Africa ed è un paese del sud, i giovani guardano al nord come l’Eldorado, la rivoluzione ha paralizzato l’economia. È molto più facile salire su un barcone che avere la passione di rimanere e costruire. Io credo sia una fase congiunturale, mi ha però sorpreso la prima reazione del governo italiano e del ministro dell’Interno che ha proposto di mandare poliziotti sulle spiagge. Così non si rispetta il principio di reciprocità fra paesi. L’Italia è un paese amico ed è il nostro secondo partner commerciale dopo la Francia: la rivoluzione ha sorpreso il mondo ed è stata molto veloce, le nostre forze di polizia erano impegnate a mettere in sicurezza il paese, non avevamo abbastanza uomini per sorvegliare anche le coste. Ora che il problema interno è risolto riusciremo a bloccare o almeno limitare questo flusso come già abbiamo fatto in passato.

È dunque un problema che potete risolvere da soli?

Sì, con un po’ di pazienza e comprensione. In questi giorni sono stati amplificati i segnali negativi, abbiamo bisogno di segnali positivi che pure ci sono. Bisogna che l’Europa dica: la Tunisia deve essere un paese modello, e la Tunisia può esserlo. Gli Usa spendono miliardi perl’Iraq.

Come va il dialogo con le autorità italiane in questo momento?

Non lo so, sono qui a Milano, spero buono (risponde in italiano e sorride, ndr).

Qual è ora il clima nel paese?

Ci sono problemi di budget e rivendicazioni sociali e salariali, come in Francia e in Italia ma i tunisini si stanno comportando con una maturità eccezionale.

Alcuni temono l’Islam radicale. Esiste questo rischio?

Sì, esiste se non si fa ripartire l’economia. Il vecchio regime ha usato la forza per reprimere l’Islam radicale, la nostra risposta sarà economica: per questo abbiamo bisogno di aiuto dall’Europa e dall’Italia.

Crede che si possa tornare indietro dopo la rivoluzione?

«Non credo. I primi manifestanti uccisi non sapevano che le pallottole della polizia fossero vere. Ma quelli nelle seconde file lo sapevano, e non si sono tirati indietro».