Massimo Gaggi, Corriere della Sera 17/02/2011, 17 febbraio 2011
«IO IN QUESTA CELLA E FUORI IL SUICIDIO DI MIO FIGLIO» —
«Non cerco scuse, ho fatto cose tremende. Le banche, però, se n’erano accorte. Vedevano, ma facevano finta di guardare da un’altra parte. Era come se mi dicessero: se fai pasticci, noi non vogliamo saperlo» . Bernard Madoff parla per la prima volta della gigantesca truffa che ha architettato, della vita da recluso nel penitenziario di Butner, in North Carolina, dove sta scontando la condanna a 150 anni di carcere. E sfiora anche la sua tragedia familiare, col suicidio, due mesi fa, del figlio Mark: «È una vicenda dolorosa di cui non voglio parlare. Certo, non avrei mai creduto che le mie malversazioni sarebbero divenute così imponenti e che si sarebbero abbattute con tanta violenza sulla mia famiglia. Hanno scritto che non ho voluto partecipare al funerale di mio figlio, ma non è vero. Non ho fatto una richiesta formale perché i dirigenti del carcere mi avevano già detto che non potevo ottenere il permesso per motivi di sicurezza. Forse non sarei andato comunque. Con la mia presenza quella cerimonia si sarebbe trasformata in un circo mediatico: sarebbe stata un’ulteriore crudeltà nei confronti della mia famiglia» . Alla fine, per scelta della famiglia di Mark e di Ruth, l’enigmatica signora Madoff, il corpo è stato cremato senza alcun funerale. L’autore della colossale truffa si confida con Diana Henriques, giornalista-scrittrice che sta per pubblicare un libro sullo scandalo e i contenuti dei colloqui finiscono sul New York Times. La Henriques, che prima ha dialogato a lungo col finanziere via email, poi l’ha incontrato per due ore in carcere a gennaio, racconta di un Madoff, ora 72enne, molto lucido e acuto nelle sue notazioni. Ma un anno e mezzo di carcere in una cella minuscola divisa con un altro detenuto e la salute precaria (avrebbe un tumore) l’hanno cambiato: l’uomo appare alla giornalista più magro, più fragile e più agitato di quello bene in carne e con l’aria tutt’altro che affranta dei giorni del processo, nel 2009. Ma si può credere a un uomo che ha mentito per tutta la vita, che ha portato avanti la sua truffa per almeno 16 anni e ha detto bugie anche quando ha cominciato a collaborare con la Giustizia? Certo, Madoff va sempre preso con le molle: come si fa a dire che le banche dovevano per forza aver capito, vista l’enormità delle sue operazioni finanziarie e dei profitti, e sostenere al tempo stesso che i suoi cari (figli, fratello e moglie) impegnati per decenni nella finanziaria di famiglia, non si erano accorti di nulla? D’altro canto, però, l’accusa alle banche non solo è lucida, ma conferma indizi oggettivi già emersi nei mesi scorsi. E Bernard, da dietro le sbarre, collabora da tempo con Irving Picard, il procuratore nominato dal tribunale per cercare di recuperare i capitali finiti nel gorgo della truffa e restituirli agli investitori. Picard ha già messo in cassa dieci miliardi, ha verificato che il danno effettivo reale non dovrebbe superare i 30 miliardi (la metà dei 65 miliardi bruciati «sulla carta» ) e ha denunciato decine di banche, fondi e finanziarie, accusati di essere state complici, di fatto, di Madoff. In cima alla lista degli accusati, JP Morgan Chase, la banca americana più solida e meglio gestita, che era anche il finanziatore di riferimento di Madoff. Picard, aiutato proprio da Bernard, col quale si è incontrato in carcere l’estate scorsa per quattro intere giornate, ha chiesto alla JP Morgan danni per 6,4 miliardi di dollari. E alla banca, che nega ogni responsabilità, ha rinfrescato la memoria pubblicando i testi di alcune email interne del 2006 e del 2007 nelle quali i manager responsabili della gestione-rischi confessavano il loro sconcerto: uno scriveva ai suoi superiori che «i guadagni di Madoff sono insensati: come fa a vantare profitti molto superiori rispetto a quelli giustificati dal suo portafoglio?» . L’altro confessava che «oggi un altro dirigente bancario mi ha detto che sulla testa di Madoff c’è una nuvola ben nota: pare che i suoi profitti siano frutto di uno "schema Ponzi"» . Cioè di una truffa. Proprio ieri, mentre comparivano le dichiarazioni di Madoff, il New York Times ha pubblicato la notizia che l’ex governatore di New York, Mario Cuomo (padre di quello attuale, Andrew), ha accettato il ruolo di mediatore tra lo stesso Picard e diversi finanzieri e investitori — compresa la famiglia Wilpon, proprietaria della squadra di baseball dei New York Mets— che avrebbero approfittato dei comportamenti truffaldini di Madoff. Gran tifoso— ed evidentemente finanziatore occulto — dei Mets.
Massimo Gaggi