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 2011  febbraio 17 Giovedì calendario

Il mistero del museo dei faraoni - La maschera funeraria di Tutankhamon splende magnetica nella teca in cui l’hanno ammirata gli ultimi visitatori del museo egizio del Cairo il 24 gennaio 2011, un secolo fa

Il mistero del museo dei faraoni - La maschera funeraria di Tutankhamon splende magnetica nella teca in cui l’hanno ammirata gli ultimi visitatori del museo egizio del Cairo il 24 gennaio 2011, un secolo fa. Si mormorava che fosse stata rubata durante gli scontri, invece è qui, invulnerabile, con gli occhi di quarzo impassibili a qualsiasi rivoluzione. A passeggiare per le sale ancora chiuse al pubblico in cui è custodita la memoria dei Faraoni sembra impossibile che una settimana fa nell’antistante piazza Tahrir si combattesse per la democrazia. Il fumo della battaglia si è dissolto e il Paese può stimare i danni, a cominciare da quelli del museo, dove la notte del 28 gennaio qualcuno ha portato via almeno otto pezzi, tre dei quali, pare, recuperati nei giorni scorsi. Da allora tra gli infiniti segreti che serpeggiano nei corridoi poco illuminati c’è l’identità degli scassinatori. Malviventi, come sostiene il capo delle antichità egizie Zahi Hawass? Gli uomini della Tourism and Antiquities Police, accusati dall’ex direttrice del museo Wafaa el-Siddiq? Provocatori incaricati di criminalizzare la protesta? Tutto quanto i militari consentono di vedere nell’edificio rosso ancora presidiato dai tank è al proprio posto. Al pian terreno, dov’è esposta la statua di Chefren, il passaggio è rapido. Soldati e guardiani spingono verso lo scalone, lassù si trovano le mummie e il mitico tesoro di Tutankhamon. La curiosità brucia. Nessuno è mai entrato da quando piazza Tahrir ha suonato la carica. Divorati i gradini due a due, eccoci nel celebre labirinto di reperti archeologici. L’eco dei passi sostituisce il consueto vociare dei turisti. Lo spettacolo è quello di sempre, i sarcofagi antropoidi, i monili, gli scudi di pelle di leopardo, la maschera di Tutankhamon ancora più preziosa dopo il terrore d’averla perduta. Tanta paura per nulla, verrebbe da dire, se non fosse per la macchia di sangue secco sul pavimento della stanza 35, su cui si sofferma il direttore Tarek El Awady. «L’uomo che è stato arrestato nel museo s’era ferito calandosi con una corda da lassù» spiega indicando il finestrone. Secondo la sua riscostruzione, venerdì 28 dopo le 19, mentre duemila persone circondavano il giardino per proteggere la dote nazionale, il ladro sarebbe caduto sulla vetrina contenente la cassapanca di casa Masshiti, una nobile famiglia del 1700 a. C. Come sia andata davvero è materia da Sfinge. I danni al finestrone e alla vetrina sono stati riparati e le due statuine in legno sottratte all’esercito nubiano di Masshiti sono tornate nei ranghi. Resta quella chiazza scura in terra, il marchio dell’onta. «Il museo è salvo, il corredo di re Tut integro, i manifestanti e i sostenitori di Mubarak non hanno mai dissentito sulla tutela del patrimonio» ripete Zahi Hawass, il volto accaldato che contrasta con la glaciale imperturbabilità delle statue. L’Unesco chiede indagini urgenti. La piazza vorrebbe che lasciasse l’incarico. Lui passeggia nel suo regno: «Sarà il governo a mandarmi via se vorrà, ma tutti sanno quel che ho fatto per il Paese. Tre degli 8 pezzi spariti sono stati ritrovati nelle strade intorno al museo e ciò che aveva subito danni è stato riparato». Prova ne sia lo scudo laccato d’oro di Yuya appena restaurato nella teca nuova di zecca. «Erano dilettanti. Cercavano l’oro e appena scoprivano che gli oggetti presi erano di legno li abbandonavano» continua Tarek El Awady. Il 29 gennaio ha trovato 70 pezzi fuori dalle vetrine spaccate, una ventina parzialmente rotti. All’appello mancano ancora due statuine lignee placcate d’oro di Tutankhamon, una statua di Akhenaton con una tavola per le offerte e un’altra di Nefertiti, una testa di principessa amarniana, dieci statuette di legno. E le mummie decapitate? Il percorso è obbligato e salta le due celebri stanze con le mummie. Impossibile convincere il direttore: «Il museo riaprirà la settimana prossima, la collezione di mummie è intatta». Sicuro, sicuro? Annuisce, serio: «L’unica da risistemare è all’esterno, nel magazzino del laboratorio con lo scanner. Prima che i militari arrestassero sei teppisti fuori al padiglione orientale erano riusciti a rimuoverne la testa». Dalle finestre si scorge la piazza spazzata dal vento del deserto, quello che infiamma gli occhi. Tanti, in strada, credono a quel che vedono e per ora non è molto. «Non ci fidiamo, eravamo davanti al museo e avremmo visto se qualcuno si fosse calato dal tetto» insiste Ola Lamlout, impiegata in un’agenzia turistica. «E gli altri siti?» incalza l’amica Nihal Qassem. Zahi Hawass garantisce che sono a posto, come le piramidi e altri 24 musei. Ma il capo dipartimento restituzione delle antichità Ahmed Mostafa frena, perché «l’inventario non è ancora completo». Il museo richiude i battenti, fuori la Storia e dentro la leggenda.