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 2011  febbraio 17 Giovedì calendario

I RAGAZZI DI BELGRADO DIETRO LA RIVOLUZIONE DEL CAIRO

Vi sembra d’averlo già visto, quel pugno disegnato e stampato su tante magliette dei ragazzi in Egitto? E, soprattutto, quelle dita sagomate in stile un po’ sovietico cosa c’entrano con i giovani arabi del 2010? Semplice, quel logo è copiato. Anzi, si direbbe una citazione, un richiamo alla più impensabile delle ispirazioni per un movimento rivoluzionario: la rivolta dei giovani serbi, i ragazzi di Otpor, contro Milosevic. Che, il 5 ottobre 2000 a Belgrado, vinsero. Il Cairo-Belgrado. Quei ragazzi egiziani, le loro riunioni underground, i tanti leader senza quasi nessun volto (anche se in Egitto tutti indicano Ahmed Maher, ingegnere di 30 anni, come uno dei capi) ricordano molto la vita «ribelle» nella Belgrado di Milosevic. E’ comune, o meglio copiata, anche la strategia: la non-violenza, intesa come guerriglia politica. Perché un dittatore — lezione belgradese — s’aggredisce con lo humor e il sarcasmo (ricordate i cartelli «target» , obiettivo nella Belgrado sotto le bombe, e lo slogan «Gotov je» , «è finito» riferito a Milosevic, che hanno fatto il giro del mondo? Copyright Otpor). Soprattutto, uno come Milosevic (o come Mubarak) si sconfigge senza sparare. Ma c’è di più. Come hanno ricostruito Al Jazeera con un bel documentario («The roots of Egypt’s pro democracy movement» , wagingnonviolence. org) e poi il New York Times, il movimento «6 aprile» alla guida delle proteste egiziane, s’è strutturato da almeno due anni: disordinati, ma organizzati, com’era Otpor. Dall’autunno Maher e altri leggono testi di lotte non violente: il politologo Usa Gene Sharp (il suo From Dictatorship to Democracy passava di mano in mano a Belgrado), Gandhi, testi prodotti dell’Academy of Change di Qatar. In autunno, inoltre, l’egiziano Mohammed Adel, braccio destro di Maher, è andato in Serbia per uno stage. Destinazione Canvas (il centro per la lotta non violenta, nato da Otpor), diretto da uno dei leader della rivolta serba, Srdjan Popovic, che da Belgrado conferma questi incontri. Ha studiato, l’egiziano, come condurre dimostrazioni pacifiche, evitare le cariche delle forze dell’ordine. Soprattutto, a Belgrado ha riempito le borse di video e altri materiali, è tornato a casa, e nelle stanze occupate dal gruppo «6 aprile» al Cairo i suoi ragazzi prendevano lezioni a distanza, guardando Popovic in tv. «La violenza — spiega adesso il mentore Popovic — contamina il tuo movimento, diventa la scusa per l’intervento e la repressione delle forze dell’ordine. È cruciale evitarla» . E poi ci sono i media: alleati-avversari di cui bisogna conoscere le regole e il gioco: «Se hai una marcia di 100 mila persone e un singolo idiota che lancia una pietra, diventerà lui l’eroe della giornata» . Abbracciare i soldati, blandire i media: la piazza egiziana era istruita, e s’è visto. Eppure, non è la prima volta che di quelli di Otpor (e dei gruppi nati da loro) si parla. Tirati in ballo per tutte le rivoluzioni, quella arancione in Ucraina, quella «delle rose» in Georgia, perfino quella verde in Iran: dappertutto, dove compariva un pugno nelle piazze, venivano evocati, quasi fossero una Spectre finanziata dalla Cia. Dei loro soldi, a Belgrado s’è parlato dall’inizio. Milioni fluirono per certo dall’America e da ricche Ong come quella di Soros. Popovic non nega: «L’Ue a gli Usa ci aiutarono. Milosevic ha cercato di dipingerci come traditori al soldo dell’Ovest, ma avevamo un simbolo comunista e facce pulite, loro erano burocrati grigi: non funzionò» . Il decalogo belgradese? Gli aiuti esterni vanno coltivati. «Ma tenete i diplomatici stranieri fuori dalle decisioni, se volete aver successo: le tecnologie e i consiglieri invece servono» . Insomma, i governi stranieri hanno interessi, non amici. «Le uniche rivoluzioni di successo sono quelle nate a casa, e guidate dalla gente del posto» . E poi, ci tiene a precisare, i serbi in questi eventi egiziani hanno avuto un ruolo «piccolissimo» . Una volta per uno. «Questo è il loro show» .
Mara Gergolet