PIERANGELO SAPEGNO, La Stampa 17/2/2011, pagina 21, 17 febbraio 2011
La libertà su misura della ballerina diabolica - Un tempo c’era Katharina. Ogni epoca ha avuto le sue regine della cronaca
La libertà su misura della ballerina diabolica - Un tempo c’era Katharina. Ogni epoca ha avuto le sue regine della cronaca. Oggi Katharina Miroslawa ha 49 anni, e adesso è tornata libera. Esce dal carcere della Giudecca, a Venezia, e va a fare la sarta tutti i giorni, in un laboratorio. La prima volta che l’hanno vista varcare quel portone, hanno detto che era «regale, le scarpe nere con i tacchi a spillo, e la schiena diritta». E’ rimasta bella, nonostante il tempo sia passato sui suoi anni come il cambio delle stagioni, che stinge e appassisce anche la forza dei ricordi. L’avevano condannata per l’omicidio dell’amante, Carlo Mazza. Lei ha sempre ripetuto che non c’entrava niente, che era stato suo marito a ucciderlo, per gelosia. Erano andati a prenderla a Vienna, dove lei viveva con suo padre, in un umile appartamento della Ullmanstrasse, al primo piano di un palazzo del distretto 15, una sala ingresso di mattonelle sbiadite, e due camere da letto ancora da arredare. Undici anni fa esatti: l’avevano beccata per amore, perché s’era tradita per telefonare al suo fidanzato, che viveva a Parma. Non era più la ballerina dello Schilling di Modena, che faceva girare la testa agli uomini. L’Italia, fuori, è cambiata un mucchio. Era il 1986, quando morì Mazza, doveva ancora venire tangentopoli e tutto quello che c’è adesso. Ma anche lei è cambiata un mucchio. Dice che ha trovato la fede: «Una suora mi ha aperto gli occhi e la mente». Dice che è stato «Un percorso complesso, profondo e ponderato, dopo aver passato molto tempo a leggere dentro la mia anima». In carcere, è sempre la prima ad arrivare alla messa, con il velo in testa, e parecchie volte apre pur la fila della comunione. Si è diplomata all’istituto Ruzza di Padova come «tecnico dell’abbigliamento e della moda», prima della classe con la media dell’8. La preside Lucia Tinti ha detto che era «una studentessa modello». All’Università vuole addirittura studiare teologia. Ha chiesto di iscriversi allo «Studium Generale Marcianum», fondato dal cardinale Angelo Scola. E all’ultimo Natale, quando il cardinale è venuto in carcere, lei gli ha regalato un segnalibro personalizzato con qualche riga scritta sopra. Sono in molti che hanno chiesto la sua liberà: persino Antonio Di Pietro andò in carcere a trovarla e perorò la sua causa. Katharina era stata la prima regina della cronaca nera di una stagione che stava per cominciare e che bene o male avrebbe finto per rappresentare un’epoca, l’Italia rampante di Bettino Craxi, degli yuppies e delle donne in carriera, dei soldi facili e dei debiti senza fine. Con la sua figura enigmatica, così bella e peccatrice, aveva inaugurato la stagione dei grandi processi alle donne assassine che avrebbero diviso l’Italia. La banale fantasia mediatica fece presto a consegnarle all’immnaginario popolare con le etichette più stupide: la mantide di Savona, la Circe di Viareggio, e lei, che diventò per tutti la ballerina maledetta. In quell’anno, 1986, Madonna cantava «Papa don’t preach» e sulle spiagge ascoltavamo «Adesso tu» di Eros Ramazzotti e «Bello e impossibile» di Gianna Nannini. Al cinema c’era Top Gun con Tom Cruise. Eravamo tutti più ricchi e più felici: dietro c’eravamo appena lasciati il terrorismo, gli anni di piombo, l’inflazione alle stelle, e le città con i lampioni fiochi. Il Napoli comprava Maradona, Berlusconi comprava il Milan, qualcuno comprava ancora i sogni. Nessuno ci chiedeva niente. Il lavoro non mancava, perché erano tempi che sembrava fosse infinito e che ce ne fosse per tutti. Ci stavamo imbarcando sul Titanic, ma nessuno lo sapeva. Craxi bisticciava con De Mita e faceva la voce grossa con l’America per Sigonnella. In quell’Italia diversa, dove i soldi venivano da soli, il playboy Carlo Mazza aveva fatto una polizza sulla vita da un miliardo per la sua amante, Katharina Miroslawa. Lo uccisero una mattina di febbraio, nebbia e grigio, in una viuzza di Parma: due colpi di pistola in testa. Il gelo tappò i fori e il medico sbagliò la prima diagnosi: infarto. Ma quando partirono, le indagini puntarono subito su di lei. I giornalisti correvano a intervistarla: nell’Italia del successo facile, lei era già un peccato senza colpe, come quelli che vanno di moda oggi. Assomigliavamo tanto a un popolo di arricchiti, e in fondo un po’ lo eravamo davvero. Al primo processo, Katharina fu assolta: non c’era una prova. Allora, l’assicurazione decise di pagare un detective privato che in poco tempo trovò le carte che inchiodavano il suo ex marito, Witold Kielbasinski, e il fratello di lei, Zibi: avevano noleggiato una macchina la sera del delitto e c’erano segnati i chilometri fatti da Monaco di Baviera a Parma. I due dissero sempre che Katharina era all’oscuro di tutto, Witold giurò che l’aveva fatto solo per gelosia. Ma furono lo stesso condannati tutti, l’ex marito a 24 anni e lei a 21. Negli anni del carcere ha imparato a pregare, e a cambiarsi la vita, una sartina che studia teologia. Sembra tutto così strano, come in una canzone di Vasco Rossi, e «non mi ricordo se chi c’era aveva queste facce qui, ma non mi dire che poi è così, che sono proprio quelle li...». Perché il tempo ha percorsi che non si capisce mai dove andranno. E neanche da dove vengono.