Guido Olimpio, Corriere della Sera 16/02/2011, 16 febbraio 2011
HACKER ALL’ATTACCO DI AHMADINEJAD. PIANO USA PER LE «RIVOLTE DIGITALI» — C’è
anche Anonymous al fianco dei dimostranti iraniani. I guerrieri del web hanno attaccato i siti del regime mettendo fuori uso la «pagina» del presidente Ahmadinejad. Un’azione accompagnata da altre incursioni che potrebbe riservare una sorpresa. Anonymous ha rivelato che il gruppo avrebbe una copia di Stuxnet, il micidiale virus usato da misteriosi 007 per bloccare gli impianti nucleari di Teheran. Gli esperti, però, avvertono però che è difficile capire cosa potranno fare gli hacker con il «baco» . Sembra che Anonymous abbia rubato Stuxnet violando i segreti di una società americana che stava operando contro Wikileaks. I colpi dei «pirati» uniti al coordinamento — grazie al web — dei manifestanti hanno confermato l’importanza della piazza «virtuale» . Una realtà che sollecita nuove risposte. Pressata anche dagli eventi, Washington ha deciso di aprire un nuovo fronte sostenendo «Internet libero» e fornendo aiuto tecnologico agli attivisti che insorgono contro i dittatori. Una conseguenza di quanto è avvenuto in Tunisia, Egitto e Iran dove le comunicazioni con i telefonini o via Facebook hanno avuto un ruolo importante. La strategia è stata illustrata dal segretario di Stato Hillary Clinton con un discorso alla George Washington University dove ha riconosciuto il ruolo dei blogger che hanno appoggiato i dimostranti pro-democrazia. E la stessa cosa ha fatto Barack Obama: non spetta all’America «dettare» la linea, ma bisogna ascoltare la «sete di libertà» del Medio Oriente e sperare che gli iraniani «abbiano il coraggio» di continuare a lottare. Spiegando il progetto, Hillary Clinton ha avvertito che «non c’è la bacchetta magica» contro chi soffoca Internet, però è possibile reagire con «un approccio innovativo» e globale. Un piano basato su tre pilastri: 1) Diplomazia tradizionale e tecnologia. 2) Diffusione di strumenti per permettere di usare Internet in sicurezza. 3) Appoggio a quanti sono in prima linea. Chi reprime la «libertà di connessione» può riuscirci per un po’ — ha osservato Hillary — ma non per sempre. Un piano che vuole rispondere al blackout imposto da Iran, Egitto, Birmania e Cina in occasioni di proteste popolari. Le autorità hanno paralizzato Internet, sospeso il traffico dei cellulari, creato unità speciali per dare la caccia agli oppositori elettronici. Per dare concretezza alle promesse — spesso dimenticate— il Dipartimento di Stato intende fornire agli attivisti programmi per aggirare la censura sul web. Inoltre saranno preparati «mini-manuali» di sopravvivenza: come non lasciare traccia delle proprie email, ripulitura delle memorie dei computer e tutto ciò che possa aiutare a sottrarsi alla caccia degli apparati di sicurezza. L’idea dell’amministrazione ha sollevato plauso ma anche qualche critica. I fondi — 30 milioni di dollari — sono stati stanziati da tempo dal Congresso però il Dipartimento di stato si è dimostrato lento nell’uso: «Avremmo potuto creare una rete Internet parallela e invece nulla» , hanno accusato i repubblicani. Alcuni osservatori, pur riconoscendo l’impatto dei nuovi media, hanno ammonito a non sopravalutarne gli effetti. Alla fine conta chi scende in strada. Poi c’è un problema di coerenza. La Casa Bianca predica «Internet libero» ma scatena la guerra contro Wikileaks. E ieri la stessa Hillary Clinton ha ribadito la condanna per la fuga di notizie. Certo, c’è stato un problema di riservatezza e, in qualche caso, di sicurezza ma nello specifico i cablo hanno avuto un impatto sui manifestanti. Ed hanno provato che i diplomatici statunitensi avevano trasmesso a Washington informazioni puntuali.
Guido Olimpio