ALESSANDRO BARBERA, La Stampa 16/2/2011, pagina 15, 16 febbraio 2011
Il dito di Cattelan allontana la finanza da Piazza Affari - Quegli undici metri di marmo di Carrara che incombono come un giudizio divino verso il tempio della finanza italiana proprio non gli vanno giù
Il dito di Cattelan allontana la finanza da Piazza Affari - Quegli undici metri di marmo di Carrara che incombono come un giudizio divino verso il tempio della finanza italiana proprio non gli vanno giù. Vagli a spiegare che l’arte è arte, che le opere non si discutono, al massimo le si può amare od odiare. Vagli a spiegare che il digitus impudicus è un gesto antichissimo, narrato ne Le Nuvole di Aristofane e poi usato da Caligola per umiliare i sudditi quando gli si avvicinavano per omaggiarlo. Vagli a spiegare che Maurizio Cattelan l’ha voluta chiamare L.O.V.E., nel senso di libertà, odio, vendetta ed eternità. Inutile tentare di convincerlo dopo che, il giorno di San Valentino, un gruppo di artisti l’ha impreziosito con un enorme anello di fidanzamento. Lui, che pure è milanese e personaggio incline all’autoironia, ora guida la Consob, la società di controllo dei mercati. E si immagina quel giorno di inizio maggio (quest’anno la relazione sarà anticipata), primo appuntamento importante della sua presidenza, con i fotografi pronti a immortalare il gotha dell’imprenditoria e della finanza, ministri e presidente della Repubblica sotto quell’enorme, provocatorio, dito medio. Ci ha riflettuto cinque minuti, ha immaginato sguardi e battute, quindi ha preso la sua decisione: o il Comune rimuove il Dito da Piazza Affari, oppure non se ne fa nulla. E poco importa se la presentazione della Relazione annuale, violando una consuetudine che dura ormai da dieci anni, dovrà traslocare altrove. Giuseppe Vegas ha già pronta un’alternativa meno imbarazzante e più evocativa: Palazzo delle Stelline. Per lui che alla sobrietà pubblica crede fino alla noia, la soluzione è perfetta: all’inizio del seicento lì trovavano dimora la «Società dell’Obbedienza» di nobili e cardinali, nonché le stanze delle «Stelline», le orfane di Milano chiamate così in onore del fu monastero delle Benedettine di Santa Maria della Stella. Il luogo consono, questo sì, per radunare banchieri e grand commis su regole e crisi, doveri e responsabilità. Difficile dire se i propositi di Vegas spingeranno Letizia Moratti a rivedere le sue convinzioni. Perché finora, nonostante le proteste, ogni critica al Dito è stata rispedita al mittente. Non più tardi del 4 gennaio - giorno in cui un sondaggio di Milano Finanza nel mondo dei banchieri indicava una valanga di no - una giunta straordinaria del Comune ha concesso la terza proroga. Posata il 24 settembre dell’anno scorso, l’opera, valore stimato due milioni di euro, doveva rimanere a Piazza Affari per un paio di settimane. Ora, fra i mugugni di molti consiglieri, la rimozione è prevista non prima del 30 settembre. L’assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory ha provato a spiegarla così: «Non è più un dito ma una mano aperta verso l’arte contemporanea. La proroga rafforzerà il programma di iniziative estive». I vertici di Borsa Italiana, ufficialmente, restano in silenzio. Ma quel Ditone, inutile dirlo, divide le coscienze dei milanesi. Il sindaco è stretto fra due fuochi, e la ragione vera della resistenza è in una frase di Cattelan: «Regalerò la scultura alla città a patto che ne venga rispettata la natura. Resti in Piazza Affari almeno per vent’anni». Per Cattelan il Dito è esattamente dove dovrebbe essere, orientato verso l’obiettivo giusto, un gestaccio irriverente a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa italiana e luogo simbolo della finanza globalizzata. Dipendesse da lui, dovrebbe diventare l’icona autoironica di Piazza Affari, un po’ come il Toro di Wall Street. Vegas permettendo.