Alberto Alesina, Il Sole 24 Ore 16/2/2011, 16 febbraio 2011
PENSIONI E SANITÀ LE SPINE DI OBAMA
Ci sono luci e ombre nel piano di riduzione del deficit di Barack Obama. Cominciamo dalle prime. Il piano si basa più su tagli di spesa che aumenti di imposte. I tagli riguardano spese discrezionali, alcune delle quali care ai democratici; gli aumenti di imposte deriverebbero dal mancato rinnovo degli sgravi fiscali introdotti da George Bush per le famiglie con reddito superiore ai 250mila dollari, e dall’eliminazione di alcuni stimoli fiscali temporanei istituiti per combattere la recessione. Secondo stime abbastanza realistiche (ma inevitabilmente incerte) sulla crescita dell’economia, tutto ciò dovrebbe riportare il deficit a livelli sostenibili – circa il 3% del Pil – nel 2015, stabilizzando il debito pubblico intorno al 70-80% del Pil. Inoltre Obama parla, sia pure in modo generico, di riforma fiscale per allargare la base imponibile e ridurre le aliquote della tassazione delle imprese, oggi intorno al 35-40 per cento.
Le ombre derivano dal fatto che l’amministrazione nulla ha proposto sulle voci di spesa la cui dinamica riporterebbe automaticamente il deficit a livelli insostenibili in pochi anni dopo il 2015, ovvero la spesa per pensioni e sanità. Senza un aumento dell’età pensionabile e aggiustamenti nella spesa sanitaria, la stabilità fiscale americana nel medio-lungo periodo rimane in dubbio.
I repubblicani che controllano la Camera vorrebbero tagli più sostanziosi e si è solo all’inizio di un’accesa discussione. Si dovrà arrivare a un compromesso ma, vista la proposta iniziale di Obama, è assai probabile che il risultato sarà un piano di rientro basato soprattutto su tagli di spesa di parecchi punti di Pil e qualche aumento fiscale mirato. Tutto sommato tutto ciò fa ben sperare, ammesso che la polarizzazione politica americana si attenui un po’.
È interessante un paragone con il nostro paese. Ogni volta che appare nell’orizzonte politico la proposta di un minimo di riduzione della spesa pubblica, anche di un quarto di punto di Pil, subito si parla di "stangata" o di "macelleria sociale". E infatti la spesa pubblica in rapporto al Pil ha un trend crescente. Certo, la nostra cultura europea vuole un intervento statale maggiore di quella americana. La ricetta Obama: economisti a confronto
Ma già lo stato italiano spende il 50% del Pil, il 10% in più degli Stati Uniti (in cui il rapporto tra spesa pubblica e Pil scenderà parecchio), e del Regno Unito che sta perseguendo tagli draconiani. Spendiamo il 15% del Pil in più di Australia e Svizzera. Siamo sicuri che grazie a questo 15% i nostri servizi pubblici siano migliori? Non credo proprio.
Mentre negli Stati Uniti si parla di tagli di spesa sostanziali, in Italia si continua a ripetere che "non si può". Addirittura rispunta l’idea di una patrimoniale una tantum come risposta alla rigidità della spesa, che sarebbe l’ammissione di un totale fallimento di una classe politica nel risanare veramente la finanza pubblica. Viene da parafrasare Obama quando diceva "Yes we can". Sembrerebbe invece che "We cannot".