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 2011  febbraio 16 Mercoledì calendario

L’ottimismo cosmico del socialismo reale - L’ideologia egualita­rista ha prodotto un’estetica fonda­ta sull’intento edu­cativo, rivolto alle masse

L’ottimismo cosmico del socialismo reale - L’ideologia egualita­rista ha prodotto un’estetica fonda­ta sull’intento edu­cativo, rivolto alle masse. In architet­tura ciò ha significato anche un mix tra impiego brutale di cemen­to e stravaganza. Ne svela ora l’im­patto un libro fotografico del fran­cese Frédéric Chaubin. Nel suo Co­smic Communist Constructions Photographed (Taschen), egli fis­sa con implacabile acutezza visiva i segni del socialismo reale. Prima di tale sorprendente pubblicazio­ne, quasi un iconico manifesto Cc­cp ( è anche l’acronimo del titolo), non si poteva avere idea di cosa si­­gnificasse, per il blocco sovietico, una certa idea di bene astratto e universale, in nome del quale mol­ti­misfatti furono compiuti. A parti­re dall’architettura civile. Per esempio si chiama «Drusch­ba » (in russo: «amicizia») un sana­torio pianificato dalla disciolta Unione Sovietica in riva al Mar Ne­ro, a Jalta. Questo colosso d’accia­io, autarchicamente importato dalla Cecoslovacchia e messo a guardia della costa meridionale della Crimea, non faceva pensare per niente all’amicizia. Un’enor­me base rotonda e poi un cilindro­ne, circondato da tante celle con­centriche. Pareva piuttosto una ba­se missilistica... Chaubin ha im­mortalato 90 futuristici giganti di cemento in 14 stati dell’ex-Urss co­struiti per dare l’impressione d’un classicismo socialista all’avan­guardia. Eretti tra l’era di Breznev e la fine dell’Unione Sovietica, dunque tra il 1970 e il 1990, i mostri del blocco orientale potevano es­sere, contemporaneamente, cine­ma, sale da caffè e da ballo, pisci­ne, con annesse celle-dormitorio: è il caso del«Druschba»di Jalta,fir­mato dall’architetto Igor Wasi­lewski. Con la scusa d’una cronica ca­renza di materie prime e all’inse­gna del motto «meglio, a minor co­sto e più in fretta », il sistema comu­n­ista faceva atterrare le più bizzar­re architetture sperimentali alla periferia dell’impero,là dove il po­tere centrale veniva avvertito co­me più debole. Ecco il ministero dei Trasporti a Tbilisi, ideato co­me quattro robuste autostrade che si intersecano, simulando scambio&dinamismo, dall’archi­tetto George Tschachawa, guarda caso anche ministro dei Traspor­ti... Ecco l’ambasciata sovietica a Cuba, icasticamente pensata e ti­rata su come una grandiosa bom­ba a mano. Poi c’è l’Istituto per la Robotica e la Cibernetica di San Pietroburgo, a forma d’imponen­te missile-grattacielo, e ancora la Casa del Soviet a Kaliningrad, con la sua facciata che è il calco d’un robot.L’infanzia malata non meri­ta niente di meglio, nel sanatorio di Adler,d’una vasca-piscina in ce­mento, Un invincibile senso di oppres­sione promana da simili edifici, se­minati tra Almaty, in Kazachistan, e Duschanbe, in Tagikistan, tra Erewan, in Armenia, e Jalta, Vil­nius, Tallin, ovunque Chaubin possa documentare l’insana fanta­sia d’un regime che si credeva in­vincibile e perciò stesso aspirava a dominare la scena mentale dei «compagni». Una cultura monoli­­tica, senza deroghe, né grazia, an­che quando si tratti delle residen­ze estive dei politici. Così il villone di Breznev, rischiarato dalla fioca luce lituana, spunta in riva al ma­re, con tanto di spiaggia privata (ma lui non prese mai bagni), men­tre quello di Andropov, in Estonia, con annessa sala cinematografi­ca, tende al minimalismo, senza fronzoli borghesi, senza orpelli consumistici. E il monumento a Lenin, piazzato nella politicamen­te bollente Taschkent? Cita motivi islamici. Auspicabile, a questo punto del­­la nostra storia, un analogo fotodo­cumento sugli orrori perpetrati da «Architettura Democratica» tra i tardi Sessanta e i primi Ottanta sul suolo nazionale.