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 2011  febbraio 16 Mercoledì calendario

POVERA PICCOLA INGHILTERRA

È difficile credere che la Gran Bretagna, tra le culle della civiltà occidentale e nazione tra le più industrializzate al mondo, sia uno dei Paesi in Europa con i più alti tassi di povertà infantile. Invece, il tren­ta per cento dei minori inglesi si trova sotto la linea dell’indigenza, quasi quattro milio­ni in tutto, tre bambini fino ai sette anni su dieci. Nonostante forti investimenti da par­te del governo laburista al fine di sanare que­sta drammatica piaga, molti giovanissimi re­stano senza i beni necessari per condurre u­na vita adeguata ai propri bisogni.

Quelli che vivono in famiglie con un solo ge­nitore disoccupato e quelli che appartengo­no a minoranze etniche sono i più colpiti, ma negli ultimi anni il numero dei bambini poveri che vivono con padre e madre lavo­ratori è aumentato improvvisamente, rag­giungendo la cifra senza precedenti di due milioni e 100mila. Un dato che fa dubitare della promessa fatta dal nuovo esecutivo di coalizione, secondo i cui programmi «il la­voro pagherà i vostri sforzi».

Un recente rapporto della Joseph Rowntree Foundation ha infatti rivelato che, se il nu­mero totale dei piccoli indigenti del Regno è a quota tre milioni e settecentomila, la mag­gioranza di essi oggi proviene da nuclei in cui almeno un genitore lavora, il 58 per cen­to del totale. Quelli che invece appartengo­no a una famiglia di disoccupati sono scesi altrettanto rapidamente a un milione e sei­centomila, il dato più basso dal 1984.

Secondo Tom MacInness, autore del rap­porto, è ovvio che le strategie consolidate per combattere la povertà non stanno funzio­nando e che quelle nuove sono poco pro­mettenti. «Con più della metà dei bambini bisognosi che vivono in famiglie di persone occupate non è più possibile basare le poli­tiche anti-povertà sull’idea che il lavoro sia l’unico metodo efficace. La povertà infanti­le in nuclei di lavoratori deve avere la stessa priorità di quella in famiglie di disoccupati. Finché questo non accadrà, ogni dibattito sull’indigenza infantile sarà inutile».

Il calo della povertà infantile nelle famiglie di disoccupati, rileva Ma­cInness, in cui il numero dei bambini è anche cresciuto, «è certamente dovuto a un aumento consistente, dal 2008, dei sussidi statali. Sen­za, i bambini poveri sarebbe mezzo milione in più». Sal­ly Copley, di Save the Chil­dren, commentando il rap­porto ha confermato che il sistema dei sussidi sta provocando effetti biz­zarri. «La ricerca – ha sottolineato – dimostra che per un numero record di due milioni e 100mila famiglie che lavorano l’avere un’oc­cupazione non basta per salire sopra la so­glia della povertà. Il pericolo è che i tagli an­nunciati penalizzino ancora di più le fami­glie lavoratrici, che già combattono per ar­rivare alla fine del mese». Le politiche dei laburisti, ha spiegato Ma­cInness, «che in tredici anni si sono concen­trate nell’assistenza a una particolare fascia di vulnerabili, tra cui famiglie di genitori sin­gle e disoccupati, hanno ignorato un’altra categoria di poveri, quella delle famiglie la­voratrici, che sta crescendo a vista d’occhio».

Ma a parere del ministro del Lavoro, il con­servatore Iain Duncan Smith, per ridurre la povertà, non esiste altro metodo che «tor­nare al lavoro» e «riformare il welfare state». «Nell’ultimo decennio sono state spese in­genti somme nel sistema assistenziale – ha detto recentemente –, ma il numero dei po­veri continua a crescere. Sia­mo convinti che il lavoro sia il mezzo migliore per uscire dalla povertà e vogliamo as­sicurarci che questo paghi sempre e che le persone non restino intrappolate in un cir­colo vizioso di dipendenza dallo Stato e disoccupazio­ne ».

Si inserisce in questa pro­spettiva l’idea propugnata dal premier Ca­meron della Big Society, con una delega al­le amministrazioni locali e al privato socia­le di parte del Welfare, combinata a tagli del­le erogazioni a livello centrale. Ma per il col­lega liberal-democratico e viceprimo mini­stro Nick Clegg, è necessario considerare un piano più ampio invece di focalizzarsi e­sclusivamente sul reddito delle famiglie. «È più importante – ha affermato – concentrarsi sulle opportunità di un bambino, invece di cercare di portarlo qualche sterlina al di so­pra della linea della povertà».

Anche il deputato laburista Frank Field ha appoggiato la tesi di Clegg, sostenendo che «il governo deve mettere fine agli aumenti automatici dei sussidi e liberare risorse da investire in servizi più adeguati per i minori poveri». «Combattere la povertà infantile – ha continuato Field – richiede azione politica in diverse aree, tra cui la cura dell’infanzia; la disponibilità, la qualità e la flessibilità del­l’impiego e, ovviamente, anche i sussidi del­lo Stato». La povertà, ha ribadito Sally Co­pley, «ha un profondo impatto sul bambino, sulla sua famiglia e sul resto della società. Ciò fa da preludio a una spirale di esclusione so­ciale, che crea ai piccoli problemi nell’educazio­ne, nella salute fisica e mentale e nell’interazio­ne sociale». Sono oltre due milioni, ad esempio, i bambini ingle­si che nelle proprie case non hanno accesso a un computer e, dunque, a In­ternet; di questi, un mi­lione ha raggiunto l’età scolastica. «Questo – sot­tolinea Copley – ha un im­patto enorme sulla loro e­ducazione e sulla loro vi­ta sociale». Secondo un nuovo rapporto del Di­partimento della Pubbli­ca Istruzione, tali bambi­ni rischiano di avere una formazione deficitaria. Ad essere esclusi, ha aggiunto un portavoce del­l’associazione no-profit E-Learning Foun­dation, sono soprattutto i figli delle famiglie povere: «Per i bambini in età scolastica, que­sta carenza tecnologica si traduce in svan­taggi tangibili al momento di svolgere i com­piti a casa, le ricerche, gli approfondimenti personali e di comunicare con gli insegnan­ti e i compagni attraverso la piattaforma informatica delle scuole».